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sabato 29 novembre 2025

“Il marchese del Grillo” e l'antisionismo

 

Una domanda me la sono posta, e non riesco a togliermela dalla testa: com’è possibile che, dopo Nostra Aetate (1965) del Concilio Vaticano II — documento sbandierato come svolta epocale nel rapporto con gli ebrei — oggi l’antisemitismo continui indisturbato, riciclandosi nell’antisionismo più tossico?
E com’è possibile che proprio coloro che durante il Covid hanno smontato una a una le bugie dei media occidentali, etichettati come “complottisti” per aver verificato i fatti, gli stessi… abbiano poi bevuto senza fiatare le menzogne sul presunto genocidio israeliano diffuse da Hamas tramite Al Jazeera? Nessuna verifica, nessuna analisi, niente. Come se non avessero mai imparato nulla.

Alla fine, la risposta l’ho trovata: sotto l’antisionismo di oggi — persino quello dei “ribelli” anti-mainstream — ci sono duemila anni di bugie teologiche cattoliche mai davvero smentite.

Nostra Aetate, per quanto presentato come rivoluzionario, non ha scalfito il vero problema. Sì, condanna l’idea del “deicidio collettivo”, e Giovanni Paolo II si è affrettato a chiamarlo “una distorsione”. Ma la radice avvelenata resta: l’idea che “alcuni ebrei” abbiano ucciso Dio. Una dottrina assurda, pericolosa, e soprattutto perfetta per generare aberrazioni morali: permette di accusare un intero popolo per l’azione di pochi. È lo stesso meccanismo mentale che porta a dire: “i siciliani sono mafiosi”.

Questa colpa collettiva, predicata dalla Chiesa per oltre 1500 anni, ha scolpito nelle menti europee la figura dell’ebreo come “deicida”. E la Chiesa, dopo il Concilio, cos’ha fatto per rimediare? Nulla. Nessuna catechesi di massa, nessun mea culpa davvero operativo, nessuna pulizia teologica delle proprie macerie. Perché?

Perché il problema è più profondo: nasce da un errore teologico dei Padri della Chiesa — l’invenzione del “deicidio”.
Un errore che ha prodotto persecuzioni, pogrom e stermini, ma che non può essere eliminato senza toccare la dottrina cristologica stessa: se Gesù è Dio, allora per molti cattolici continuerà a serpeggiare il pensiero che “un ebreo” abbia consegnato Dio ai Romani.

E poi arriva il secondo pilastro, quello che regge tutto il castello: la teologia della sostituzione.
Secondo questa dottrina, la Chiesa avrebbe “rimpiazzato” Israele come Popolo eletto. Le promesse bibliche? Non più per Israele, ma riscattate dalla Chiesa. Israele non riconosce Gesù? Allora perde l’elezione. Via la radice, avanti il ramo nuovo.

Questa teologia è il carburante dell’antisionismo moderno. Perché se la Chiesa è il “vero Israele”, allora gli ebrei non hanno alcun diritto a tornare in Eretz Israel. E non sorprende che Avvenire, il quotidiano ufficiale della CEI, diffonda posizioni filo-palestinesi, rilanci accuse infondate di genocidio e si guardi bene dal riconoscere legittimità allo Stato ebraico.
Guai a dire che Israele esiste perché Dio lo ha voluto: significherebbe ammettere che la Chiesa non ha sostituito nessuno.

E qui viene il punto: due millenni di catechesi antiebraica e poi antisionista hanno plasmato la cultura occidentale, e persino oggi, mentre molti gridano “non crediamo ai media!”, sono prontissimi a bersi qualunque propaganda palestinese. Non è pensiero critico: è condizionamento religioso travestito da opinione politica.

E poi c’è un dettaglio imbarazzante: la Chiesa sostiene che il Papa è il rappresentante di Dio sulla terra. Ma se Dio non revoca le sue promesse — e Paolo lo dice chiaramente — come può Dio aver rinnegato Israele?
Paolo, nella Lettera ai Romani, non lascia spazio ai dubbi. Nel capitolo 11 si domanda se, non avendo molti ebrei riconosciuto Gesù, Dio abbia abbandonato il suo popolo.
La risposta? Lapidaria:

«Dio non ha affatto respinto il suo popolo.»
E ancora:
«I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili.» (Rm 11,29)

Fine della discussione. Dio non revoca un’alleanza che ha fatto Lui.

Non a caso molte chiese evangeliche contestano apertamente la teologia della sostituzione: semplicemente non sta in piedi biblicamente.

A questo punto, tutta la vicenda ricorda la celebre scena del film di Alberto Sordi Il marchese del Grillo.
La Chiesa, per secoli, ha di fatto detto agli ebrei ciò che dice Sordi al povero carbonaio:

«Io so’ io… e voi nun siete niente.»

Ecco il problema: la teologia cattolica è rimasta intrappolata in questa mentalità. La Chiesa è Israele; gli ebrei, per definizione, no.
E quando gli ebrei osano tornare nella loro terra, costruire uno stato, difendersi, prosperare… la narrazione salta. La struttura teologica scricchiola.
E l’Occidente — impregnato di secoli di catechesi antiebraica — reagisce con nuovo antisemitismo travestito da “solidarietà” verso i palestinesi.

Il risultato?
Persone che non credono più alle bugie dei media… che però credono ancora, senza saperlo, alle bugie della teologia cattolica di ieri.

lunedì 24 novembre 2025

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte V

 


Il Risorgimento e il Sionismo: due strade diverse verso la nascita di una nazione

Per capire davvero il senso del sionismo come movimento identitario, può essere utile ripartire dalla nostra storia nazionale, quella del Risorgimento. Le due vicende hanno molti punti di contatto, ma si sviluppano seguendo logiche quasi opposte. Ed è proprio questo contrasto che le rende interessanti.

L’Italia prima dell’Italia

Nel Settecento la storia era un affare riservato ai filosofi, alle élite e ai sovrani. Il popolo, inteso come comunità con tradizioni, lingua e usanze comuni, non aveva ancora un ruolo nella narrazione storica. Era più spettatore che protagonista.

Poi arriva l’Ottocento, e con lui un vento nuovo. Nasce un’idea diversa di popolo: non una massa indistinta, ma una comunità viva, con una voce, un carattere, una missione. È il Romanticismo a dare questa svolta. Non a caso, proprio in quegli anni filosofi come Herder parlano del Volksgeist, lo “spirito del popolo”, un concetto che diventerà carburante per molti movimenti di liberazione nazionali.

E l’Italia? A quel tempo era solo una penisola fatta di regni, ducati, imperi stranieri. Ognuno parlava il suo dialetto, seguiva le sue leggi, viveva la sua storia. La gente non si sentiva “italiana”: si sentiva piemontese, veneta, toscana, napoletana.

Eppure, proprio in quell’epoca nasce nelle menti degli intellettuali l’idea di un’Italia possibile. Prima nasce un sogno, poi un progetto, molto prima di vedere la realtà.

Lenti che cambiano: dalla cultura alla politica

L’identità italiana si costruisce a poco a poco.
Gli scrittori e i poeti le danno una lingua comune: Manzoni, Foscolo, Leopardi.
I pensatori politici, Mazzini su tutti, le danno una missione morale.
E infine i protagonisti della politica e della guerra, Cavour e Garibaldi, la trasformano in un obiettivo concreto.

Potremmo riassumere così: prima si immagina il popolo italiano, poi si costruisce l’Italia.

E un momento simbolico di questa nascita c’è: il 1831, quando Mazzini fonda a Marsiglia la Giovine Italia. Per la prima volta viene formulato un programma chiaro: un’Italia unita, libera dagli stranieri, repubblicana e basata sulla volontà del popolo. È il primo vero progetto politico moderno dell’unità.

Dal sogno alle armi: le guerre del Risorgimento

Tra il 1848 e il 1870 l’Italia vive una stagione in cui idealismo e guerra camminano fianco a fianco.

La Prima Guerra d’Indipendenza nasce sull’onda dei moti del ’48. Carlo Alberto guida il Regno di Sardegna contro l’Austria, sostenuto dalle rivolte popolari di Milano e Venezia. L’entusiasmo è grande, ma le sconfitte di Custoza e Novara chiudono il primo tentativo.

Si riparte nel 1859 con la Seconda Guerra d’Indipendenza. Questa volta Cavour punta sulla diplomazia: si allea con la Francia di Napoleone III. L’Austria viene sconfitta, la Lombardia entra nel Regno di Sardegna e, tramite plebisciti, anche Toscana, Emilia e Romagna scelgono l’unione. È il momento in cui la mappa comincia davvero a prendere forma.

Poi arrivano gli anni di Garibaldi. Nel 1860 parte con mille volontari dalla Liguria e, in pochi mesi, conquista Sicilia e Sud Italia, sospinto dalla speranza di popolazioni stanche del regime borbonico. Quell’impresa straordinaria apre la strada all’unificazione del Mezzogiorno sotto Vittorio Emanuele II.

Nel 1866 l’Italia entra nella guerra austro-prussiana. Anche qui i risultati militari non sono brillanti, ma la vittoria della Prussia permette all’Italia di ottenere il Veneto.

Infine, nel 1870, arriva Roma. Le truppe italiane entrano nello Stato Pontificio attraverso la breccia di Porta Pia. La città viene annessa al Regno d’Italia e l’unità territoriale può dirsi compiuta.

Ed ecco il parallelo con il Sionismo

Ora, se guardiamo al sionismo, la differenza è immediata: l’Italia ha costruito un popolo per arrivare allo Stato; il sionismo parte da un popolo già formato e cerca di ricondurlo alla sua terra.

Gli ebrei, infatti, avevano da millenni:

  • una tradizione religiosa coesa,
  • una lingua comune,
  • una memoria storica condivisa,
  • un’identità fortissima, sopravvissuta anche alla diaspora.

Quando Herzl e gli altri fondano il sionismo moderno, non devono “inventare” un popolo: devono dargli una patria. È un percorso inverso a quello italiano.

Due storie, un desiderio comune

Alla fine, Risorgimento e Sionismo raccontano la stessa aspirazione: il bisogno di un popolo di vivere secondo la propria identità.

Ma lo fanno percorrendo due sentieri diversi:

  • l’Italia immagina un’identità nazionale e poi la trasforma in realtà politica;
  • gli ebrei custodiscono un’identità millenaria e la trasformano in uno Stato moderno.

Due strade diverse, entrambe mosse da una forza che l’Ottocento riscopre con passione:
l’idea che un popolo, per essere davvero se stesso, debba avere una casa dove vivere la propria storia.

Una nota di colore: La tradizione storica più accreditata racconta che il primo colpo di cannone contro Porta Pia fu sparato da un soldato ebreo.

Il nome che ricorre nelle fonti è quello dell’artigliere Giacomo (o Giacomo “Jacob”) Segre, appartenente alla 5ª batteria del 9º Reggimento Artiglieria da Campagna del Regno d’Italia.
Segre, proveniente da una famiglia ebraica piemontese, è ricordato come il cannoniere che diede l’avvio al fuoco che aprì la celebre breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870, permettendo alle truppe italiane di entrare a Roma. L’episodio è rimasto simbolico perché un soldato ebreo contribuì in modo diretto alla presa della città che, fino a quel momento, era il centro del potere temporale della Chiesa.


domenica 23 novembre 2025

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte IV

 


Dal IV–V secolo d.C., con la fine dell’Impero Romano d’Occidente (476), la penisola italiana entra in una lunga fase di frammentazione. Le strutture romane crollano e il territorio viene occupato da popolazioni diverse: latini romanizzati, Visigoti, Ostrogoti. Non esiste alcun “popolo italiano”; esistono gruppi distinti che convivono sotto ciò che resta dell’autorità romana prima e sotto regni romano-barbarici poi.

Nello stesso periodo, in Medio Oriente, in Terra d’Israele vive una componente stabile del popolo ebraico, sotto dominio romano e poi bizantino. Gli ebrei mantengono una forte identità religiosa, normativa e linguistica e restano un soggetto storico unitario sia nella terra d’origine sia nella diaspora, soprattutto babilonese.

VI–VIII secolo: Italia frammentata, continuità ebraica sotto nuovi imperi

Tra VI e VIII secolo l’Italia è ulteriormente divisa: dominio ostrogoto, parziale riconquista bizantina (Esarcato di Ravenna), invasione longobarda. Le identità diventano locali: romani d’Italia, longobardi, popolazioni miste. Nascono regni regionali e il papato assume un ruolo politico. Ancora nessuna idea di un’unica nazione italiana.

Nel Medio Oriente, nel frattempo, dopo la fase bizantina arriva la conquista arabo-islamica (VII secolo). Gli ebrei restano minoranza in Terra d’Israele — soprattutto in Galilea e Gerusalemme — mentre fioriscono grandi centri rabbinici in Babilonia, Persia ed Egitto. In questo periodo si sviluppano la Halakhah, le accademie rabbiniche e si fissa il Talmud babilonese, che consolida l’identità del popolo ebraico nel mondo.

IX–X secolo: l’Italia come mosaico di popoli; l’ebraismo come popolo unitario disperso

Tra IX e X secolo l’Italia è un mosaico di ducati longobardi, territori carolingi, principati locali e aree bizantine. In Sicilia si afferma anche una presenza araba. Le identità sono cittadine e regionali: romani, longobardi, “lombardi”, napoletani, siciliani, ecc. Il nome “Italia” ha solo un significato geografico, non politico né nazionale.

Il popolo ebraico, invece, vive in tre grandi aree:

  1. Terra d’Israele, con comunità piccole ma stabili;
  2. Il mondo islamico (Spagna, Nord Africa, Medio Oriente), dove spesso prospera;
  3. Le prime comunità in Europa cristiana (Francia, Germania).

Pur disperso, l’ebraismo mantiene una continuità culturale e religiosa: stessa Torah, stesso calendario, stessa liturgia. È un popolo senza Stato, ma non un popolo senza identità.

XI–XIII secolo: l’Italia dei Comuni; il popolo ebraico tra crociati e potenze islamiche

Tra XI e XIII secolo, in Italia esplodono i Comuni e le città-stato: Milano, Firenze, Pisa, Genova, Venezia. Coesistono Sacro Romano Impero, Stati della Chiesa, Regno di Sicilia. Non c’è alcuna unità politica e nessuna identità italiana condivisa; le identità sono cittadine: “fiorentini”, “veneziani”, “lombardi”.

In Terra d’Israele si alternano i crociati e poi le dinastie musulmane (Ayyubidi, Mamelucchi). Le comunità ebraiche vivono spesso tra tolleranza e persecuzioni, ma persistono a Gerusalemme, Hebron, Tiberiade, Safed. Parallelamente fioriscono grandi centri della cultura ebraica in Europa e nel mondo islamico (Rashi, Maimonide). Il popolo ebraico resta un’unica realtà culturale e religiosa, nonostante la dispersione.

XIV–XV secolo: Rinascimento italiano e rinascite ebraiche nel mondo ottomano

Durante XIV e XV secolo l’Italia è segnata da crisi (peste nera), guerre e successivamente dal Rinascimento. Nascono grandi Stati regionali come il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, Firenze dei Medici, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli. Le identità sono regionali: toscani, lombardi, veneziani, napoletani. Non esiste una nazione italiana.

Nel Medio Oriente domina il Sultanato mamelucco; nel 1492 gli ebrei espulsi dalla Spagna si stabiliscono in gran numero nell’Impero Ottomano, inclusa Terra d’Israele. Nascono fiorenti comunità sefardite a Safed, Gerusalemme, Hebron. La continuità del popolo ebraico si rinnova e si rafforza.

XVI–XVII secolo: Italia politicamente divisa; ebraismo spiritualmente unito

Tra XVI e XVII secolo l’Italia è suddivisa tra domini spagnoli, asburgici, repubbliche indipendenti, ducati e lo Stato Pontificio. Non esiste uno Stato italiano né una lingua comune: si parlano volgari regionali. L’italianità è un concetto letterario, non nazionale.

Nel Medio Oriente l’Impero Ottomano controlla Terra d’Israele. Le comunità ebraiche — soprattutto Safed, Gerusalemme e Tiberiade — vivono una fase di rinascita mistica e culturale (la cabala di Safed). Nel resto del mondo, Polonia, Lituania, Impero Ottomano e anche alcune città italiane ospitano importanti comunità ebraiche. Torah, Shabbat, lingua ebraica e legame con Sion mantengono vivo un popolo unitario, pur senza Stato.

XVIII secolo – 1800: Italia divisa; popolo ebraico riconoscibile nel mondo

Alla vigilia dell’Ottocento l’Italia è ancora frammentata in una miriade di Stati: Savoia, Toscana, Stato Pontificio, Napoli, Venezia, Parma, Modena, ecc. Le conquiste napoleoniche ridisegnano i confini, ma ancora non esiste uno Stato italiano, né un popolo italiano nel senso moderno. L’identità nazionale nascerà solo nel XIX secolo con il Risorgimento.

In Terra d’Israele continua la presenza ebraica sotto dominio ottomano, con quartieri ebraici stabili a Gerusalemme, Safed, Hebron, Tiberiade. Parallelamente, l’Illuminismo e l’Emancipazione trasformano lo status degli ebrei in Europa. Nonostante la dispersione, il popolo ebraico rimane riconoscibile come nazione religiosa, culturale e storica, unita dalla Torah, dalla memoria condivisa e dal legame con la terra d’origine.

Conclusione e domanda chiave

Dunque, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino al 1800, la penisola italiana non conobbe mai un popolo unico né uno Stato unitario. Esistevano molti popoli, molte lingue, molte culture e molti Stati diversi. L’Italia moderna è una costruzione politica recente. Al contrario, nello stesso arco di tempo, il popolo ebraico ha mantenuto una continuità sorprendente:

  • stessa fede,
  • stesso codice normativo,
  • stessa identità culturale,
  • stessa memoria storica,
  • stessa terra d’origine, pur essendo spesso dominato e disperso.

Da qui nasce la domanda inevitabile: Per quale motivo un’Italia — che per oltre un millennio non è mai esistita come popolo unico né come Stato — ha potuto rivendicare legittimamente un’unificazione nazionale, mentre agli ebrei, che sono sempre esistiti come popolo e come identità culturale legata alla stessa terra, si vorrebbe negare il diritto ad avere uno Stato proprio?

 

 

sabato 22 novembre 2025

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte III

 

 

Gli ebrei hanno ucciso Gesù (accusa di Deicidio)

Sulla mia pagina FB, oggi nel 2025, molti conoscenti ed amici affermano che se gli ebrei hanno ucciso D-O (Gesù) è normale che possano fare un genocidio, cadendo così nell’inganno delle bugie antisemite. Ciò dimostra che il seme avvelenato seminato nei secoli, nonostante i chiarimenti storici e della Chiesa Cattolica continua a produrre il suo effetto.

Facciamo chiarezza.

Quando si affronta la questione secondo cui “i giudei avrebbero ucciso Gesù (D-o per i cristiani)”, è necessario dire subito una cosa: si tratta di una costruzione storicamente falsa.
La morte di Gesù avvenne tramite crocifissione, una pena tipicamente romana, riservata ai sovversivi politici e applicata esclusivamente dall’autorità imperiale.

Il responsabile giuridico dell’esecuzione fu Ponzio Pilato, prefetto romano della Giudea.
La condanna fu romana.
L’esecuzione fu romana.
E questo è un fatto storico solido, riconosciuto da tutti gli studiosi.

Nei Vangeli compare il ruolo di alcuni componenti dell’élite sacerdotale giudaica, che vedevano in Gesù una minaccia di natura religiosa o sociale. Ma non si parla mai di “tutti gli ebrei”.
Si fa riferimento a pochi membri del Sinedrio, una ristretta classe dirigente di Gerusalemme.
Il popolo ebraico nel suo complesso non fu coinvolto, né tantomeno consultato. Anzi, gli stessi testi evangelici descrivono folle ebraiche che ascoltavano Gesù e lo seguivano.

Va inoltre precisato che le autorità ebraiche non avevano alcun potere di infliggere la crocifissione, che era uno strumento romano. Potevano formulare accuse religiose interne, ma non emettere condanne capitali attraverso mezzi romani.
Dunque, il coinvolgimento ebraico, per come appare nei testi, è circoscritto a una élite locale, non all’intero popolo.

La posizione delle Chiese cristiane

Oggi le principali Chiese cristiane sono concordi nel respingere l’accusa di responsabilità collettiva.
Il Concilio Vaticano II, con il documento Nostra Aetate (1965), afferma in modo inequivocabile:

“Non si possono imputare agli Ebrei del tempo, né agli Ebrei di oggi, responsabilità per la morte di Gesù.”

Anche Giovanni Paolo II condannò con forza l’idea del “deicidio ebraico”, definendola una grave distorsione, priva di basi teologiche e fonte di antisemitismo.

Gli studi esegetici moderni confermano che l’espressione greca οἱ Ἰουδαῖοι, tradotta come “i Giudei”, nei Vangeli indica spesso le autorità religiose di Gerusalemme, non il popolo ebraico nel suo complesso.
Questa distinzione, chiara nella lingua antica, venne fraintesa e generalizzata nei secoli successivi.

Dal punto di vista ebraico, inoltre, non vi era alcun interesse nel far eliminare Gesù:

  • non era un avversario politico,
  • non minacciava la sicurezza nazionale,
  • e soprattutto il popolo ebraico non aveva il potere di infliggere la pena della crocifissione.

Nell’ebraismo Gesù è ricordato come un ebreo osservante, un maestro itinerante, non come un nemico del popolo.

Come nasce allora il mito del “deicidio”?

L’idea che “gli ebrei hanno ucciso Dio” non proviene dai testi evangelici ma dalle interpretazioni medievali, che alterarono il senso originario delle scritture.
Con il passare dei secoli, la lettura teologica medievale trasformò episodi narrati nei Vangeli in un’accusa contro l’intero popolo ebraico, creando uno dei pilastri dell’antisemitismo europeo.

A consolidare questa visione furono:

Padri della Chiesa

  • Giovanni Crisostomo (IV sec.), con le sue omelie Adversus Iudaeos, accusa gli ebrei di aver rifiutato e ucciso Cristo: un’opera destinata a segnare profondamente la mentalità medievale.
  • Sant’Ambrogio insiste sulla responsabilità ebraica, pur senza usare il termine “deicidio”.
  • Sant’Agostino descrive gli ebrei come “popolo testimone”, destinato all’umiliazione per non aver riconosciuto Gesù. Questa idea, pur non violenta nelle intenzioni, contribuì alla costruzione teologica del disprezzo.

Concili medievali

  • Concilio di Toledo (VI–VII sec.): introduce norme discriminatorie basandosi sulla presunta colpa ebraica.
  • Concilio Lateranense IV (1215): impone i segni distintivi agli ebrei, rafforzando l’idea che fossero “colpevoli” di un crimine religioso.

Teologi medievali

Autori come Pietro Crisologo, Pier Damiani, Bernardo di Chiaravalle e Tommaso d’Aquino, pur con sfumature diverse, contribuirono a mantenere viva e teologicamente rispettabile l’idea che gli ebrei fossero responsabili della morte di Cristo.

Predicatori popolari e teatro religioso

Le prediche pasquali, i drammi della Passione e le campagne dei crociati resero popolare la narrativa dei “deicidi”, trasformando la teoria in cultura di massa.
In queste rappresentazioni gli ebrei venivano messi in scena come carnefici brutali, alimentando pregiudizi radicati.

Papa Innocenzo III (XIII sec.)

Figura chiave nella definizione dottrinale.
Pur non sostenendo violenze dirette, affermò che gli ebrei erano “condannati da Dio alla schiavitù perpetua per il loro crimine contro Cristo”.
Fu la prima grande autorità papale a dare legittimazione formale a questa idea.

Il tardo Medioevo

Tra XIII e XV secolo, l’accusa diventa pensiero comune:

  • statuti cittadini vietano agli ebrei ruoli pubblici,
  • predicatori francescani e domenicani la diffondono,
  • l’arte medievale raffigura gli ebrei come assassini di Cristo.

A questo punto il “deicidio” non è più un’interpretazione, ma un dogma sociale.

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte II

 

L’impero romano-introduzione

Roma e Gerusalemme

Quando mettiamo a confronto Roma e Gerusalemme, non stiamo semplicemente accostando due città antiche: stiamo osservando due idee opposte di comunità, potere e identità.

Roma nasce come un piccolo insediamento latino che, nel giro di pochi secoli, assorbe, conquista e unifica una miriade di popoli italici diversi: Etruschi, Sabini, Sanniti, Umbri, Veneti, Lucani, Celti. La sua missione storica diventa chiara fin dall’inizio: espandere, integrare, dominare. Roma forgia un progetto politico universale, in cui la cittadinanza non dipende dal sangue ma dall’appartenenza allo Stato. È una visione imperialista e inclusiva, che trasforma una città in un impero e un impero in un’identità.

Gerusalemme è esattamente il contrario.
Non nasce per unire popoli diversi, né per espandere confini. Diventa capitale con re Davide e custodisce il Tempio con re Salomone: il suo significato non è politico ma sacro. Gerusalemme è il centro religioso di un solo popolo — gli Ebrei — e il simbolo della loro alleanza con Dio. Non aspira a inglobare altre nazioni: aspira a preservare la propria. È una città che non definisce un impero, ma definisce un’identità spirituale.

Così, mentre Roma costruisce l’unità imponendola dall’alto,
Gerusalemme custodisce l’unità perché la riceve dall’Alto.

Il parallelismo tra le due città rivela quindi una verità fondamentale:
Roma rappresenta l’ambizione politica dell’universalità;
Gerusalemme rappresenta la radice religiosa della particolarità.

Due modelli opposti, due vocazioni diverse, due modi di concepire la storia degli uomini.

Nascita e sviluppo dell'impero

Roma comincia la sua storia tra il X e l’VIII secolo a.C. come un piccolo villaggio latino sulle rive del Tevere. In quel momento, mentre Roma muove i primi passi come insediamento locale, Israele è già un regno unificato sotto due figure storiche e fondative: Davide e Salomone (X secolo a.C.). Roma diventa una monarchia e solo in seguito, nel 509 a.C., si trasforma in Repubblica. Nello stesso arco di tempo, nel Vicino Oriente, il regno di Israele si era già diviso in due stati distinti:

  • Regno di Israele (Nord)
  • Regno di Giuda (Sud)

Il regno di Giuda sopravvive fino all’esilio babilonese del 586 a.C., un evento drammatico ma non definitivo.

Roma si espande, Israele resiste e ricostruisce

Tra il V e il IV secolo a.C., Roma entra in una fase di grande espansione nella penisola italiana: conquista Etruschi, Sanniti, Umbri, Celti e procede verso l’unificazione militare e politica dell’Italia. Nello stesso periodo, gli Ebrei ritornano dall’esilio e ricostruiscono il Secondo Tempio (516 a.C.). È l’epoca delle dominazioni persiana ed ellenistica, ma nonostante i poteri stranieri la comunità ebraica mantiene continuità culturale, religiosa e identitaria.

Due destini paralleli: un impero e un regno che risorge

Tra il III e il II secolo a.C., Roma conquista tutto il Mediterraneo: Cartagine, Grecia, Siria. Diventa una potenza imperiale. Contemporaneamente, nella storia ebraica si afferma la dinastia asmonea (descritta nei Libri dei Maccabei). A seguito della rivolta dei Maccabei, gli Ebrei riconquistano la sovranità e fondano lo Stato giudaico indipendente (140–63 a.C.). È un periodo di piena autonomia nazionale.

Roma diventa Impero, Israele mantiene identità

Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. nasce l’Impero Romano. Nel 63 a.C., Roma conquista la Giudea (non “la Palestina”, denominazione successiva). Nonostante la dominazione romana, gli Ebrei mantengono la loro identità, la loro lingua, la loro legge e il loro Tempio. Nel 70 d.C., con l’Impero al suo apice sotto la dinastia flavia, Tito distrugge il Secondo Tempio. Ma questo non cancella il popolo ebraico: esso continua a vivere sia in Terra Santa sia nella diaspora.

Le rivolte e la continuità ebraica in Terra d’Israele

Tra il 132 e il 135 d.C., Roma reprime la rivolta di Bar Kokhba. La Giudea viene duramente colpita e molti Ebrei vengono dispersi. Tuttavia una parte significativa della popolazione ebraica rimane stabilmente in Galilea e in altre regioni della Terra d’Israele.

Tra il II e il IV secolo d.C., mentre l’Impero Romano raggiunge la sua massima estensione, la vita ebraica continua attivamente in Galilea, nel Golan, a Gerusalemme, a Lydda e a Tiberiade. Proprio in questo periodo viene redatta la Mishnah (II secolo d.C.), uno dei testi fondamentali dell’ebraismo rabbinico. Nel IV secolo d.C. Roma si cristianizza (Editto di Milano 313; Teodosio 380), mentre la presenza ebraica in Terra d’Israele continua ininterrotta anche sotto il dominio bizantino.

Gli italiani non esistevano. Gli Ebrei sì.

Durante tutto questo periodo la penisola italiana non ha ancora un popolo unitario.
È composta da: Latini, Etruschi, Umbri, Sabini, Sanniti, Lucani, Bruzi, Veneti, Liguri, Celti (Galli cisalpini), Iapigi (Dauni, Peucezi, Messapi), Greci della Magna Grecia, Sardi nuragici, Siculi, Sicani, Elimi. Non esiste un’identità italiana.Non esiste un popolo italiano.Non esiste una lingua italiana. Gli “Italiani” come identità etno-nazionale nasceranno solo molti secoli dopo, tra Medioevo ed età moderna.

Conclusione chiara e inequivocabile

Quando Roma stava ancora unificando i popoli italici e mentre gli “italiani” non esistevano come popolo, gli Ebrei erano già da tempo una nazione con una propria terra, una propria lingua, una propria cultura e una capitale: Gerusalemme. La storia non lascia margini di dubbio.

 

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte I

 


Iniziamo dalla preistoria

Questa riflessione nasce da un punto cieco che molti, nella destra antisionista, continuano a ignorare: la concezione di patria che difendono con orgoglio è sorprendentemente simile alla visione sionista, eppure la contrastano come se rappresentasse un nemico ideologico.
Chiedi a un uomo di destra quali siano i cardini della sua identità e di solito risponde: Dio, Patria, Famiglia. Chiedi a un sionista e il contenuto è lo stesso: Dio (ebraismo), Patria (Israele), Famiglia. Le radici emotive, culturali, spirituali: identiche. E tuttavia, uno percepisce l’altro come antitetico. Non per ragioni storiche, ma per il peso di un mito costruito – il presunto “complotto ebraico” – alimentato per decenni da falsificazioni e letture distorte della tradizione ebraica.

A rendere il quadro ancora più paradossale contribuisce un altro fatto: l’antisionismo di destra e quello di sinistra finiscono per toccarsi, pur partendo da premesse opposte.
La matrice comunista ha sempre visto nelle identità nazionali un ostacolo e nella religione un impedimento ideologico. Da qui la fascinazione per un Islam politico percepito non come fede, ma come strumento di unificazione collettiva dentro un progetto “internazionalista”. Il risultato? Entrambi i fronti, per motivi diversi, hanno adottato la “causa palestinese” come vessillo: una causa che, storicamente, è stata modellata da diversi regimi arabi come leva geopolitica contro l’Occidente cristiano.

Ed ecco il nodo che nessuno vuole vedere: molti antisionisti di destra finiscono per sostenere proprio quei movimenti islamisti che vogliono distruggere i valori che loro ritengono sacri – Dio, Patria, FamigliaUna contraddizione gigantesca, resa possibile dalla scarsa conoscenza della storia del sionismo e della radice storica dell’identità ebraica.

Per capire meglio, torniamo indietro: alla preistoria.

Se mettiamo a confronto la formazione dei popoli italiani e quella dei popoli del Medio Oriente, la differenza temporale appare enorme.

Fine dell’Età del Bronzo (2200–1200 a.C.)

In Italia non esistevano gli “italiani”. La penisola era una scacchiera di gruppi differenti:

  • al Nord genti alpine e transalpine, spesso pre-indoeuropee;
  • al Centro popolazioni locali, non ancora strutturate in “popoli” storici;
  • al Sud Micenei, Ciprioti, Fenici e altri navigatori del Mediterraneo.

I popoli che conosciamo – Etruschi, Latini, Umbri, Sanniti, Veneti – non erano ancora nati. Compariranno solo nell’Età del Ferro (1000–900 a.C.). In quel periodo non esisteva alcun popolo italiano.

Nel frattempo, nel Medio Oriente…La situazione era completamente diversa.
Qui esistevano già stati veri e propri:

  • Hittiti,
  • regni siriaci,
  • Fenici,
  • Aramei (dai quali deriva Abramo),
  • prime formazioni politiche ebraiche (Israele e Giuda),
  • stati neo-ittiti anatolici.

Gli Arabi non erano ancora comparsi come entità storica, ma gli Ebrei sì: popolo, identità, lingua, culto.

Età del Ferro (900–300 a.C.)

In Italia finalmente compaiono identità più definite:

  • Etruschi,
  • Latini,
  • Sabini,
  • Umbri,
  • Piceni,
  • Golasecca e Leponti al Nord (culture celtiche),
  • DauniPeucezi e Messapi al Sud (origine balcanica),
  • SiculiSicaniElimi in Sicilia.

Un mosaico di lingue, culti, tradizioni diverse: nessun popolo unitario.

Nel Medio Oriente, invece, dominano imperi strutturati e centralizzati:

  • Neo-Assiro,
  • Neo-Babilonese,
  • Persiano achemenide.

E fra i popoli soggetti a questi imperi ci sono gli Ebrei, già pienamente riconoscibili come nazione storica.

Il caso specifico d’Israele

  • Età del Ferro I (1200–1000 a.C.): le tribù israelitiche sono già insediate in Samaria e Giudea.
  • Età del Ferro II (1000–586 a.C.): si forma il Regno Unito di Israele, che poi si divide in:
    • Regno di Israele (Nord, capitale Samaria),
    • Regno di Giuda (Sud, capitale Gerusalemme).

Parliamo di un popolo con una storia, una lingua, una fede e una struttura politica ben definite.

E l’Italia?

Fino al IV–III secolo a.C. non esisteva alcun popolo unitario: solo Etruschi, Latini, Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti, Lucani, Bruzi, Veneti, Liguri, Celti, Iapigi, Siculi, Sicani, Elimi, Sardi nuragici. Ognuno con tradizioni e lingue proprie. L’identità unitaria nascerà soltanto con Roma.

La conclusione è inevitabile: quando gli Ebrei erano già un popolo con città, una cultura e una lingua, gli italiani non esistevano ancora.
Questa è storia, non ideologia. Ed è proprio da qui che occorre partire per comprendere la legittimità storica dell’idea di patria nel pensiero ebraico – la stessa idea che molti antisionisti di destra difendono quando parlano dell’Italia, ma rifiutano quando riguarda Israele.


mercoledì 3 settembre 2025

Perché oggi assistiamo a un risveglio dell’antisemitismo/antigiudaismo?/Why are we witnessing a resurgence of anti-Semitism/anti-Judaism today?/Pourquoi assistons-nous aujourd’hui à une résurgence de l’antisémitisme/antijudaïsme ?/¿Por qué estamos asistiendo hoy a un resurgimiento del antisemitismo y del antijudaísmo?

Un’inchiesta sulle radici storiche, teologiche e politiche di un fenomeno che attraversa i secoli.

L’antisemitismo non è una piaga recente: affonda le sue radici nei primi secoli del cristianesimo. Il punto di svolta viene spesso individuato nel Concilio di Nicea (325 d.C.), quando la Chiesa nascente definì la deità di Gesù. Una scelta legittima sul piano della fede, ma che aprì la strada a un pericoloso equivoco: attribuire al popolo ebraico una colpa collettiva per la morte di “Dio incarnato”.

Da lì prese forma la cosiddetta "teologia della sostituzione": secondo questa visione, la Chiesa sarebbe la “nuova Israele”, unica erede delle promesse divine, mentre gli ebrei sarebbero stati rigettati a causa del loro presunto tradimento. Ma perché era necessario censurare e marginalizzare gli ebrei? La risposta sembra chiara: consolidare l’identità di una Chiesa che stava assumendo un ruolo politico e sociale sempre più forte.

Le tappe di una lunga persecuzione


Antichità tardo-romana e Alto Medioevo
IV-V secolo: limitazioni ai diritti civili e religiosi degli ebrei, divieto di costruire nuove sinagoghe, esclusione dalle cariche pubbliche.

Dal IV secolo: i Concili ecclesiastici introducono divieti di matrimoni misti e ulteriori restrizioni sociali e giuridiche.


Medioevo
VII secolo (Spagna visigota): conversioni forzate, confische e divieto di praticare il culto ebraico.

XI secolo (Prime Crociate): massacri di comunità ebraiche in Renania.

XII-XIII secolo: accuse infamanti di omicidio rituale e profanazione dell’ostia.

1215: il IV Concilio Lateranense impone agli ebrei segni distintivi, come la “rotella gialla”.

XIII secolo: roghi del Talmud e nuove espulsioni da vari regni europei.
 

Tardo Medioevo e Inizio Età Moderna
Espulsioni sistematiche: Inghilterra (1290), Francia (1306 e 1394), Spagna (1492), Portogallo (1496).

XIV secolo: durante la Peste Nera, pogrom in tutta Europa con l’accusa di avvelenare i pozzi.

XV secolo: l’Inquisizione perseguita i conversos, gli ebrei convertiti.

Età Moderna
Dal 1516: istituzione dei ghetti (il primo a Venezia), segregazione sociale e professionale.

Conversioni forzate di minori e orfani.

Umiliazioni rituali e obbligo di presenziare a prediche cristiane.
 

Età Contemporanea
Persistono discriminazioni legali fino all’Ottocento.

1858: il caso Mortara a Bologna (bambino ebreo battezzato segretamente e sottratto alla famiglia).

XIX-XX secolo: l’ostilità secolare alimenta un terreno favorevole all’antisemitismo moderno, che sfocerà nello sterminio nazista.

La posizione della Chiesa e il ruolo delle teologie

Secondo una lettura critica, la Chiesa cattolica ha avuto bisogno dell’antisemitismo per legittimare la propria identità. Un’interpretazione forte, che si basa sul fatto che per secoli la teologia della sostituzione è stata utilizzata per distinguere il “nuovo Israele” dal “vecchio”, attribuendo alla Chiesa un primato salvifico.

Diverso l’approccio delle comunità evangeliche, che hanno sviluppato la cosiddetta "teologia dell’innesto": i gentili che credono in Gesù non sostituiscono Israele, ma si innestano sull’albero dell’alleanza, che rimane radicato nel popolo ebraico. Questo spiega perché molti gruppi evangelici moderni siano apertamente sionisti, al contrario di gran parte del cattolicesimo.

Dal passato al presente: la questione palestinese

L’antisemitismo cattolico, sostengono alcuni analisti, oggi si manifesta in forme più sottili e ipocrite. Basta osservare il linguaggio di alcune testate vicine al mondo ecclesiale, come "Avvenire", che spesso riprendono la terminologia di emittenti filo-palestinesi come Al Jazeera: “territori occupati”, “genocidio”, “fame”, uccisione di bambini. Non mancano casi simbolici: sacerdoti che vestono statue di Gesù con la kefiah, altari adornati con la bandiera palestinese. Gesti che, anziché chiarire la complessità del conflitto, rischiano di alimentare un linguaggio dell’odio contro Israele, appoggiando di fatto le narrazioni di gruppi terroristici come Hamas. Infatti in questa testata, come in altre testate vicine alla sinistra, non si mettono mai a confronto le versioni: palestinese (HAMAS) e Israeliana, ma sempre e contuinuamente si prende per vera un'unica fonte quella di Al Jazeera che notoraimente veicola informazioni del Ministero della Sanità di Hamas, ovvero di terroristi.

Propaganda e antisemitismo: dal metodo Goebbels a Hamas

Un tassello decisivo per comprendere il radicarsi dell’antisemitismo moderno è il ruolo della propaganda. Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda nazista, elaborò una tecnica semplice ed efficace:

  • La bugia come strumento di massa: non importa se ciò che si afferma sia vero, ciò che conta è che sia semplice, emotivo e ripetuto senza sosta.

  • La ripetizione crea realtà: una falsità, se ripetuta ossessivamente, diventa una verità percepita dalle masse.

  • Emozione contro ragione: le persone non vengono convinte con argomenti razionali, ma condizionate attraverso paura, odio e slogan.

Questo schema fu applicato con spietata coerenza contro gli ebrei dal regime nazista, trasformando accuse secolari (avidità, complotti, omicidi rituali) in “certezze popolari” che giustificarono persecuzioni e infine la Shoah.

Ma il metodo non è rimasto confinato al passato. Hamas ha fatto propria questa logica di propaganda, utilizzandola su scala globale:

  • diffondendo narrazioni distorte (Israele come “Stato genocida”, gli ebrei come “oppressori coloniali”);

  • ripetendo incessantemente questi messaggi attraverso media, social network e alleanze con emittenti internazionali;

  • facendo leva sulle emozioni collettive di rabbia e ingiustizia per colpire l’immagine di Israele in Occidente e minare la sua legittimità.

In sintesi: così come la propaganda nazista trasformò menzogne in realtà percepite, oggi Hamas utilizza la stessa strategia per alimentare l’antisemitismo in Occidente e indebolire lo Stato ebraico.

 Conclusioni

Dalla teologia della sostituzione alle prese di posizione sul conflitto israelo-palestinese, un filo rosso attraversa la storia del cristianesimo cattolico: la necessità, implicita o esplicita, di definire la propria identità in contrapposizione all’ebraismo.

Che oggi questo si traduca in forme di antisemitismo velato o in narrative filo-palestinesi, resta un fatto: l’ebraicità di Gesù continua a rappresentare una sfida teologica e identitaria per la Chiesa cattolica. Ed è forse proprio questo il motivo per cui l’antisemitismo, nonostante secoli di sangue e persecuzioni, conosce ancora un inquietante risveglio.

A questo scenario si aggiunge un elemento ulteriore: il metodo di propaganda elaborato da Joseph Goebbels, basato sulla ripetizione ossessiva della menzogna fino a trasformarla in verità percepita. Oggi questo schema è stato adottato da Hamas, che utilizza narrazioni manipolate per alimentare l’odio contro Israele in Occidente e indebolire lo Stato ebraico.

Il tutto è reso ancora più efficace dal supporto mediatico di alcune testate occidentali di sinistra e persino cattoliche, come Avvenire, che riprendono e diffondono terminologie e cornici narrative vicine a quelle della propaganda filo-palestinese. Un cortocircuito che, anziché promuovere chiarezza e riconciliazione, contribuisce a rinnovare — sotto forme nuove e apparentemente “legittimate” — il linguaggio dell’odio contro gli ebrei.

English version

 An Inquiry into the Historical, Theological and Political Roots of a Phenomenon that Spans Centuries

Antisemitism is not a recent plague: it has its roots in the earliest centuries of Christianity. The turning point is often identified with the Council of Nicaea (325 CE), when the nascent Church defined the divinity of Jesus. A legitimate choice on the level of faith, but one that opened the way to a dangerous misunderstanding: attributing to the Jewish people a collective guilt for the death of the “incarnate God.”

From there arose the so-called “theology of substitution”: according to this view, the Church would be the “new Israel,” the sole heir of the divine promises, while the Jews would have been rejected because of their alleged betrayal. But why was it necessary to censor and marginalize the Jews? The answer seems clear: to consolidate the identity of a Church that was assuming an ever more powerful political and social role.

The Stages of a Long Persecution

Late Roman Antiquity and Early Middle Ages

  • 4th–5th century: restrictions on the civil and religious rights of Jews, ban on building new synagogues, exclusion from public office.
  • From the 4th century: Church councils introduce bans on mixed marriages and further social and legal restrictions.

Middle Ages

  • 7th century (Visigothic Spain): forced conversions, confiscations and ban on practicing Jewish worship.
  • 11th century (First Crusade): massacres of Jewish communities in the Rhineland.
  • 12th–13th centuries: defamatory accusations of ritual murder and host desecration.
  • 1215: the Fourth Lateran Council imposes distinctive signs on Jews, such as the “yellow badge.”
  • 13th century: burnings of the Talmud and new expulsions from various European kingdoms.

Late Middle Ages and Early Modern Period

  • Systematic expulsions: England (1290), France (1306 and 1394), Spain (1492), Portugal (1496).
  • 14th century: during the Black Death, pogroms across Europe with the accusation of poisoning wells.
  • 15th century: the Inquisition persecutes the conversos, Jews converted to Christianity.

Modern Era

  • From 1516: establishment of ghettos (the first in Venice), social and professional segregation.
  • Forced conversions of minors and orphans.
  • Ritual humiliations and obligation to attend Christian sermons.

Contemporary Era

  • Legal discriminations persisted until the 19th century.
  • 1858 (Mortara case, Bologna): a Jewish child secretly baptized and taken from his family.
  • 19th–20th centuries: centuries of hostility fostered fertile ground for modern antisemitism, which culminated in the Nazi extermination.

The Position of the Church and the Role of Theologies

According to a critical interpretation, the Catholic Church needed antisemitism to legitimize its own identity. A strong interpretation, based on the fact that for centuries the theology of substitution was used to distinguish the “new Israel” from the “old,” attributing to the Church a salvific primacy.

The approach of evangelical communities is different: they developed the so-called “theology of grafting” — Gentiles who believe in Jesus do not replace Israel, but graft themselves onto the tree of the covenant, which remains rooted in the Jewish people. This explains why many modern evangelical groups are openly Zionist, in contrast to much of Catholicism.

From Past to Present: The Palestinian Question

Catholic antisemitism, some analysts argue, today manifests itself in more subtle and hypocritical forms. Just look at the language of certain outlets close to the ecclesial world, such as Avvenire, which often adopt the terminology of pro-Palestinian broadcasters such as Al Jazeera: “occupied territories,” “genocide,” “famine,” “killing of children.”

Symbolic cases are not lacking: priests dressing statues of Jesus with the keffiyeh, altars adorned with the Palestinian flag. Gestures which, instead of clarifying the complexity of the conflict, risk fueling a language of hatred against Israel, in fact supporting the narratives of terrorist groups like Hamas. Indeed, in this newspaper, as in other outlets close to the political left, the two versions — Palestinian (Hamas) and Israeli — are never compared, but a single source is continually and systematically taken as true: Al Jazeera, which notoriously conveys information from Hamas’ Ministry of Health — in other words, from terrorists.

Propaganda and Antisemitism: From the Goebbels Method to Hamas

A decisive key to understanding the entrenchment of modern antisemitism is the role of propaganda. Joseph Goebbels, Nazi Minister of Propaganda, devised a simple yet effective technique:

  • The lie as a tool for the masses: it doesn’t matter whether what is said is true; what matters is that it is simple, emotional, and endlessly repeated.
  • Repetition creates reality: a falsehood, if obsessively repeated, becomes a perceived truth among the masses.
  • Emotion over reason: people are not convinced by rational arguments but conditioned through fear, hatred and slogans.

This scheme was applied with ruthless consistency against the Jews by the Nazi regime, transforming age-old accusations (greed, conspiracies, ritual murders) into “popular certainties” that justified persecutions and ultimately the Shoah.

But the method did not remain confined to the past. Hamas has adopted this logic of propaganda, using it on a global scale:

  • spreading distorted narratives (Israel as a “genocidal state,” Jews as “colonial oppressors”);
  • relentlessly repeating these messages through media, social networks, and alliances with international broadcasters;
  • exploiting collective emotions of anger and injustice to damage Israel’s image in the West and undermine its legitimacy.

In summary: just as Nazi propaganda turned lies into perceived realities, today Hamas uses the same strategy to fuel antisemitism in the West and weaken the Jewish state.

Conclusions

From the theology of substitution to positions on the Israeli-Palestinian conflict, a red thread runs through the history of Catholic Christianity: the need, implicit or explicit, to define its identity in opposition to Judaism.

That today this translates into forms of veiled antisemitism or pro-Palestinian narratives remains a fact: the Jewishness of Jesus continues to represent a theological and identity challenge for the Catholic Church. And perhaps this is precisely why antisemitism, despite centuries of blood and persecution, still knows a disturbing resurgence.

To this scenario must be added another element: the propaganda method devised by Joseph Goebbels, based on the obsessive repetition of lies until they become perceived truth. Today this scheme has been adopted by Hamas, which manipulates narratives to fuel hatred against Israel in the West and weaken the Jewish state.

The whole process is made even more effective by the media support of certain left-wing Western outlets and even Catholic ones, such as Avvenire, which adopt and disseminate terminology and frameworks close to pro-Palestinian propaganda. A short circuit which, instead of promoting clarity and reconciliation, contributes to renewing — in new and apparently “legitimized” forms — the language of hatred against the Jews.

 French version

 Une enquête sur les racines historiques, théologiques et politiques d’un phénomène qui traverse les siècles

L’antisémitisme n’est pas un fléau récent : il plonge ses racines dans les premiers siècles du christianisme. Le tournant est souvent identifié avec le Concile de Nicée (325 ap. J.-C.), lorsque l’Église naissante a défini la divinité de Jésus. Un choix légitime sur le plan de la foi, mais qui a ouvert la voie à un dangereux malentendu : attribuer au peuple juif une culpabilité collective pour la mort du « Dieu incarné ».

De là est née la soi-disant « théologie de la substitution » : selon cette vision, l’Église serait le « nouvel Israël », seul héritier des promesses divines, tandis que les Juifs auraient été rejetés à cause de leur prétendue trahison. Mais pourquoi était-il nécessaire de censurer et de marginaliser les Juifs ? La réponse semble claire : consolider l’identité d’une Église qui assumait un rôle politique et social de plus en plus puissant.

Les étapes d’une longue persécution

Antiquité tardive et Haut Moyen Âge

  • IVe–Ve siècle : restrictions des droits civils et religieux des Juifs, interdiction de construire de nouvelles synagogues, exclusion des charges publiques.
  • À partir du IVe siècle : les conciles ecclésiastiques introduisent des interdictions de mariages mixtes et d’autres restrictions sociales et juridiques.

Moyen Âge

  • VIIe siècle (Espagne wisigothique) : conversions forcées, confiscations et interdiction de pratiquer le culte juif.
  • XIe siècle (Première Croisade) : massacres de communautés juives en Rhénanie.
  • XIIe–XIIIe siècles : accusations infamantes de meurtres rituels et de profanation d’hosties.
  • 1215 : le IVe Concile du Latran impose aux Juifs des signes distinctifs, comme la « rouelle jaune ».
  • XIIIe siècle : bûchers du Talmud et nouvelles expulsions de divers royaumes européens.

Bas Moyen Âge et Début de l’époque moderne

  • Expulsions systématiques : Angleterre (1290), France (1306 et 1394), Espagne (1492), Portugal (1496).
  • XIVe siècle : pendant la Peste Noire, pogroms dans toute l’Europe avec l’accusation d’empoisonner les puits.
  • XVe siècle : l’Inquisition persécute les conversos, Juifs convertis au christianisme.

Époque moderne

  • À partir de 1516 : création de ghettos (le premier à Venise), ségrégation sociale et professionnelle.
  • Conversions forcées de mineurs et d’orphelins.
  • Humiliations rituelles et obligation d’assister à des sermons chrétiens.

Époque contemporaine

  • Les discriminations légales persistent jusqu’au XIXe siècle.
  • 1858 (Affaire Mortara, Bologne) : un enfant juif secrètement baptisé et enlevé à sa famille.
  • XIXe–XXe siècles : des siècles d’hostilité préparent un terrain favorable à l’antisémitisme moderne, qui culminera dans l’extermination nazie.

La position de l’Église et le rôle des théologies

Selon une lecture critique, l’Église catholique a eu besoin de l’antisémitisme pour légitimer son identité. Une interprétation forte, fondée sur le fait que, pendant des siècles, la théologie de la substitution a servi à distinguer le « nouvel Israël » de l’« ancien », en attribuant à l’Église une primauté salvatrice.

L’approche des communautés évangéliques est différente : elles ont développé la « théologie de l’insertion » — les païens qui croient en Jésus ne remplacent pas Israël, mais s’insèrent dans l’arbre de l’alliance, qui reste enraciné dans le peuple juif. Cela explique pourquoi de nombreux groupes évangéliques modernes sont ouvertement sionistes, contrairement à une grande partie du catholicisme.

Du passé au présent : la question palestinienne

L’antisémitisme catholique, affirment certains analystes, se manifeste aujourd’hui sous des formes plus subtiles et hypocrites. Il suffit d’observer le langage de certains médias proches du monde ecclésial, comme Avvenire, qui reprennent souvent la terminologie de chaînes pro-palestiniennes comme Al Jazeera : « territoires occupés », « génocide », « famine », « enfants tués ».

Les cas symboliques ne manquent pas : prêtres habillant des statues de Jésus avec le keffieh, autels ornés du drapeau palestinien. Des gestes qui, au lieu d’éclairer la complexité du conflit, risquent d’alimenter un langage de haine contre Israël, soutenant de fait les récits de groupes terroristes comme le Hamas. En effet, dans ce quotidien comme dans d’autres journaux proches de la gauche, les deux versions — palestinienne (Hamas) et israélienne — ne sont jamais mises en parallèle : on adopte systématiquement comme unique source Al Jazeera, qui véhicule notoirement les informations du ministère de la Santé du Hamas, c’est-à-dire de terroristes.

Propagande et antisémitisme : de la méthode Goebbels au Hamas

Un élément décisif pour comprendre l’enracinement de l’antisémitisme moderne est le rôle de la propagande. Joseph Goebbels, ministre nazi de la Propagande, avait mis au point une technique simple mais efficace :

  • Le mensonge comme outil de masse : peu importe si ce qui est affirmé est vrai ; ce qui compte, c’est que ce soit simple, émotionnel et répété sans relâche.
  • La répétition crée la réalité : un mensonge, s’il est répété de façon obsessionnelle, devient une vérité perçue par les masses.
  • L’émotion contre la raison : les gens ne sont pas convaincus par des arguments rationnels, mais conditionnés par la peur, la haine et les slogans.

Ce schéma a été appliqué avec une cohérence impitoyable contre les Juifs par le régime nazi, transformant des accusations séculaires (avidité, complots, meurtres rituels) en « certitudes populaires » qui justifièrent persécutions et, en fin de compte, la Shoah.

Mais la méthode n’est pas restée confinée au passé. Le Hamas s’est approprié cette logique de propagande et l’a utilisée à l’échelle mondiale :

  • en diffusant des récits déformés (Israël comme « État génocidaire », les Juifs comme « oppresseurs coloniaux ») ;
  • en répétant sans cesse ces messages à travers les médias, les réseaux sociaux et des alliances avec des diffuseurs internationaux ;
  • en exploitant les émotions collectives de colère et d’injustice pour nuire à l’image d’Israël en Occident et miner sa légitimité.

En résumé : tout comme la propagande nazie a transformé des mensonges en réalités perçues, aujourd’hui le Hamas utilise la même stratégie pour alimenter l’antisémitisme en Occident et affaiblir l’État juif.

Conclusions

De la théologie de la substitution aux prises de position sur le conflit israélo-palestinien, un fil rouge traverse l’histoire du christianisme catholique : la nécessité, implicite ou explicite, de définir son identité en opposition au judaïsme.

Que cela se traduise aujourd’hui par des formes d’antisémitisme voilé ou par des récits pro-palestiniens reste un fait : la judéité de Jésus continue de représenter un défi théologique et identitaire pour l’Église catholique. Et c’est peut-être précisément la raison pour laquelle l’antisémitisme, malgré des siècles de sang et de persécutions, connaît encore une inquiétante résurgence.

À ce scénario s’ajoute un autre élément : la méthode de propagande mise au point par Joseph Goebbels, fondée sur la répétition obsessionnelle du mensonge jusqu’à ce qu’il devienne une vérité perçue. Aujourd’hui, ce schéma a été adopté par le Hamas, qui manipule les récits pour alimenter la haine contre Israël en Occident et affaiblir l’État juif.

Le tout est rendu encore plus efficace par le soutien médiatique de certains journaux occidentaux de gauche et même catholiques, comme Avvenire, qui adoptent et diffusent des terminologies et des cadres proches de la propagande pro-palestinienne. Un court-circuit qui, au lieu de promouvoir la clarté et la réconciliation, contribue à renouveler — sous des formes nouvelles et apparemment « légitimées » — le langage de la haine contre les Juifs.

Spanish version

Una investigación sobre las raíces históricas, teológicas y políticas de un fenómeno que atraviesa los siglos

El antisemitismo no es una plaga reciente: hunde sus raíces en los primeros siglos del cristianismo. El punto de inflexión suele identificarse con el Concilio de Nicea (325 d.C.), cuando la Iglesia naciente definió la divinidad de Jesús. Una elección legítima en el plano de la fe, pero que abrió el camino a un peligroso malentendido: atribuir al pueblo judío una culpa colectiva por la muerte del “Dios encarnado”.

De allí surgió la llamada “teología de la sustitución”: según esta visión, la Iglesia sería el “nuevo Israel”, único heredero de las promesas divinas, mientras que los judíos habrían sido rechazados a causa de su presunta traición. Pero ¿por qué era necesario censurar y marginar a los judíos? La respuesta parece clara: consolidar la identidad de una Iglesia que asumía un papel político y social cada vez más fuerte.

Las etapas de una larga persecución

Antigüedad tardía y Alta Edad Media

  • Siglos IV-V: limitaciones a los derechos civiles y religiosos de los judíos, prohibición de construir nuevas sinagogas, exclusión de los cargos públicos.
  • Desde el siglo IV: los concilios eclesiásticos introducen prohibiciones de matrimonios mixtos y otras restricciones sociales y jurídicas.

Edad Media

  • Siglo VII (España visigoda): conversiones forzadas, confiscaciones y prohibición de practicar el culto judío.
  • Siglo XI (Primera Cruzada): masacres de comunidades judías en Renania.
  • Siglos XII-XIII: acusaciones infamantes de asesinatos rituales y profanación de hostias.
  • 1215: el IV Concilio de Letrán impone a los judíos signos distintivos, como la “rodela amarilla”.
  • Siglo XIII: hogueras del Talmud y nuevas expulsiones de varios reinos europeos.

Baja Edad Media e Inicio de la Edad Moderna

  • Expulsiones sistemáticas: Inglaterra (1290), Francia (1306 y 1394), España (1492), Portugal (1496).
  • Siglo XIV: durante la Peste Negra, pogromos en toda Europa con la acusación de envenenar pozos.
  • Siglo XV: la Inquisición persigue a los conversos, judíos convertidos al cristianismo.

Edad Moderna

  • Desde 1516: creación de guetos (el primero en Venecia), segregación social y profesional.
  • Conversiones forzadas de menores y huérfanos.
  • Humillaciones rituales y obligación de asistir a sermones cristianos.

Edad Contemporánea

  • Las discriminaciones legales persistieron hasta el siglo XIX.
  • 1858 (caso Mortara, Bolonia): un niño judío bautizado en secreto y arrebatado a su familia.
  • Siglos XIX-XX: siglos de hostilidad prepararon un terreno favorable para el antisemitismo moderno, que culminó en el exterminio nazi.

La posición de la Iglesia y el papel de las teologías

Según una interpretación crítica, la Iglesia católica necesitó del antisemitismo para legitimar su identidad. Una interpretación fuerte, basada en el hecho de que durante siglos la teología de la sustitución se utilizó para distinguir al “nuevo Israel” del “antiguo”, atribuyendo a la Iglesia una primacía salvífica.

El enfoque de las comunidades evangélicas es diferente: desarrollaron la llamada “teología del injerto” —los gentiles que creen en Jesús no reemplazan a Israel, sino que se injertan en el árbol de la alianza, que permanece enraizado en el pueblo judío. Esto explica por qué muchos grupos evangélicos modernos son abiertamente sionistas, a diferencia de gran parte del catolicismo.

Del pasado al presente: la cuestión palestina

El antisemitismo católico, según algunos analistas, hoy se manifiesta en formas más sutiles e hipócritas. Basta observar el lenguaje de ciertos medios cercanos al mundo eclesial, como Avvenire, que a menudo adoptan la terminología de cadenas pro-palestinas como Al Jazeera: “territorios ocupados”, “genocidio”, “hambre”, “niños asesinados”.

No faltan casos simbólicos: sacerdotes que visten estatuas de Jesús con la kefiah, altares adornados con la bandera palestina. Gestos que, en lugar de aclarar la complejidad del conflicto, corren el riesgo de alimentar un lenguaje de odio contra Israel, apoyando de hecho las narrativas de grupos terroristas como Hamas. De hecho, en este periódico, como en otros cercanos a la izquierda, nunca se contrastan las dos versiones —palestina (Hamas) e israelí—, sino que siempre y continuamente se da por cierta una única fuente: Al Jazeera, que notoriamente transmite la información del Ministerio de Salud de Hamas, es decir, de terroristas.

Propaganda y antisemitismo: del método Goebbels a Hamas

Un elemento decisivo para comprender el arraigo del antisemitismo moderno es el papel de la propaganda. Joseph Goebbels, ministro nazi de Propaganda, ideó una técnica simple pero eficaz:

  • La mentira como herramienta de masas: no importa si lo que se afirma es cierto; lo que importa es que sea simple, emotivo y repetido sin cesar.
  • La repetición crea realidad: una falsedad, si se repite obsesivamente, se convierte en una verdad percibida por las masas.
  • Emoción contra razón: la gente no se convence con argumentos racionales, sino que se condiciona mediante el miedo, el odio y los eslóganes.

Este esquema fue aplicado con implacable coherencia contra los judíos por el régimen nazi, transformando acusaciones seculares (avaricia, complots, asesinatos rituales) en “certezas populares” que justificaron persecuciones y, en última instancia, la Shoah.

Pero el método no quedó confinado al pasado. Hamas se ha apropiado de esta lógica de propaganda, utilizándola a escala global:

  • difundiendo narrativas distorsionadas (Israel como “Estado genocida”, los judíos como “opresores coloniales”);
  • repitiendo incesantemente estos mensajes a través de medios de comunicación, redes sociales y alianzas con emisoras internacionales;
  • explotando emociones colectivas de ira e injusticia para dañar la imagen de Israel en Occidente y socavar su legitimidad.

En resumen: así como la propaganda nazi transformó mentiras en realidades percibidas, hoy Hamas utiliza la misma estrategia para alimentar el antisemitismo en Occidente y debilitar al Estado judío.

Conclusiones

Desde la teología de la sustitución hasta las posturas sobre el conflicto israelí-palestino, un hilo rojo recorre la historia del cristianismo católico: la necesidad, implícita o explícita, de definir su identidad en oposición al judaísmo.

Que hoy esto se traduzca en formas de antisemitismo velado o en narrativas pro-palestinas sigue siendo un hecho: la judeidad de Jesús continúa representando un desafío teológico e identitario para la Iglesia católica. Y quizás sea precisamente por ello que el antisemitismo, a pesar de siglos de sangre y persecuciones, aún conoce un inquietante resurgimiento.

A este escenario se suma otro elemento: el método de propaganda ideado por Joseph Goebbels, basado en la repetición obsesiva de la mentira hasta transformarla en verdad percibida. Hoy este esquema ha sido adoptado por Hamas, que manipula narrativas para alimentar el odio contra Israel en Occidente y debilitar al Estado judío.

Todo ello se ve reforzado por el apoyo mediático de ciertos periódicos occidentales de izquierda e incluso católicos, como Avvenire, que adoptan y difunden terminologías y marcos cercanos a la propaganda pro-palestina. Un cortocircuito que, en lugar de promover claridad y reconciliación, contribuye a renovar —bajo formas nuevas y aparentemente “legitimadas”— el lenguaje del odio contra los judíos.

 




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