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domenica 10 marzo 2024

Stop al GENOCIDIO

 


Questa è la notizia: Quindici deputati appartenenti al Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, già membri dell’Intergruppo parlamentare per la Pace tra Israele e la Palestina, faranno parte della delegazione italiana che partirà in missione dal prossimo 3 al 6 marzo, su iniziativa dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi), verso il valico di Rafah, tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Questi 15 gloriosi parlamentari italiani che partecipano a questa passerella grottesca non hanno capito che stanno facendo il gioco di HAMAS. La pace si costruisce sul realismo e non sulle passerelle mediatiche. Loro con la loro grottesca passarella non solo hanno legittimato l'azione terroristica allontanando, semmai ci fose stata una possibilità, la possibilità di un'accordo ma si SONO SPORCATI LE MANI DEL SANGUE DEI PALESTINESI, perché HAMAS sta utilizzando la protesta finanziata in tutto il mondo nelle piazze occidentali per fare pressione su Israele. Per questo motivo impediscono che la popolazione riceva gli aiuti umanitari e mettono i civili palestinesi nelle condizioni di essere uccisi. Più si scende in piazza per gridare STOP AL GENOCIDIO più il terrorismo paga a livello politico. 

Un'altra conseguenze di questi 15 CRETINI della politica italiana, unitamente alle associazioni femministe e studentesche di sinistra, è istigare all'odio contro gli ebrei in Occidente. L'antisionismo = antisemitismo. Infatti non sfugge come queste associazioni sinistroide che vogliono tutelare i diritti umani siano promotori di proteste nelle piazze contro simboli ebraici/sionisti, attività commerciali, e contro la polizia che cerca di contenere le proteste ormai impotente sul fronte dell'ordine pubblico. Ciò che stupisce è anche il fiancheggiamento dei cattolici buonisti che in nome della pace praticano il silenzio esattamente come facevano durante la deportazione degli ebrei, quasi che segretamente condividessero la punizione di D-O. Il paradosso è che i media (di sinistra) tacciano o sorvolano su queste considerazioni rendendosi anche loro complici di queste proteste con la loro copertura mediatica.




mercoledì 14 febbraio 2024

Bambini vittime della guerra/Children Killed in War




Bambini uccisi in guerra: il conto che nessuno vuole fare
“I bambini sono sempre le prime vittime della guerra.”
È una frase che scivola spesso tra i titoli delle agenzie stampa e i discorsi ufficiali, ma che quasi mai riceve il rispetto politico e morale che merita. Perché, a ben guardare, i numeri parlano chiaro. E sono numeri che non fanno rumore.
Secondo Save the Children, almeno 545 bambini sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio del conflitto nel 2022. Una cifra drammatica, eppure accettata con relativa serenità politica dall’Occidente che, senza esitazioni, continua a finanziare l’Ucraina in quella che viene definita una guerra “di difesa”. Una guerra che, per quanto giusta sul piano del diritto internazionale, sacrifica bambini nel nome della resistenza.

Eppure, nel discorso pubblico europeo, la tragedia ucraina non riceve la stessa condanna morale che accompagna altri conflitti, come quello a Gaza o in Yemen.
Perché? Perché, se l’Ucraina è una democrazia invasa da una potenza autoritaria, Israele – anch’esso una democrazia, attaccata brutalmente il 7 ottobre 2023 – non gode dello stesso sostegno incondizionato? Perché il dolore dei bambini ucraini appare “necessario”, mentre quello dei bambini palestinesi viene amplificato come simbolo di un’aggressione?
E soprattutto: chi decide quali bambini contano? I giornalisti in base alle loro posizioni ideologiche.

Il caso Gaza: chi controlla i numeri?

Nella Striscia di Gaza, le cifre sulle vittime civili – soprattutto i bambini – provengono esclusivamente dal Ministero della Sanità gestito da Hamas, un’organizzazione definita terroristica da gran parte della comunità internazionale.
Diversi osservatori, think tank e governi occidentali contestano giustamente l'affidabilità di questi numeri:

  • Non esistono organismi indipendenti che possano verificare le informazioni sul campo.
  • Non viene chiarita la distinzione tra civili e combattenti.
  • Le cifre vengono utilizzate come strumento di propaganda, con l’intento di suscitare condanna internazionale verso Israele.

Eppure, queste stesse cifre vengono spesso rilanciate dai media occidentali organici alla sinistra, senza alcun filtro critico, generando una narrazione sbilanciata in cui l’IDF (Israel Defense Forces) – l’esercito israeliano – è sistematicamente descritto come aggressore, anche quando agisce in risposta ad attacchi terroristici e con una strategia militare fondata sull’etica operativa.

L’IDF, infatti, applica un codice di condotta unico nel suo genere:

  • Emana avvertimenti preventivi alla popolazione civile (telefonate, messaggi, volantini).
  • Si avvale di consulenti legali militari per valutare la legittimità di ogni bersaglio.
  • Utilizza armi di precisione anche in zone densamente popolate.

Ma nessun esercito, per quanto etico, può evitare il prezzo umano in una guerra urbana dove i terroristi si nascondono tra i civili, utilizzati come scudi umani, sotto scuole, ospedali e moschee. Questo è l’effetto perverso della strategia di Hamas, che viola sistematicamente le Convenzioni di Ginevra usando i propri cittadini come scudi umani. Nonostante questa evidenza le manifestazioni nelle nostre piazze, sono contro Israele con la partecipazioni di organizzazioni palestinesi fiancheggiatrici e sostenitrici di HAMAS con il consenso di ANPI e Organizzazioni sindacali di sinistra.

Altri teatri di guerra (2023–2024): i bambini sotto attacco

L’ipocrisia del sistema internazionale emerge in tutta la sua crudezza quando si analizzano i conflitti “ignorati”. In Sudan, oltre 1.200 bambini sono morti tra maggio e dicembre 2023 nei campi profughi, secondo l’UNICEF. Nessuna mobilitazione globale.
Nella Repubblica Democratica del Congo, almeno 150 bambini sono stati uccisi nel solo 2023. In Siria, la guerra “dimenticata” ha continuato a mietere vittime: almeno 100 bambini uccisi nei bombardamenti su Idlib. Nel Tigray etiope, oltre 500 bambini sono morti di fame nel 2023 per via dei blocchi agli aiuti.

Silenzio. Quasi nessuna condanna pubblica. Nessun boicottaggio. Nessun embargo. Da parte di nessun leader della sinistra.

Chi decide quali bambini valgono?

Il discorso internazionale si fonda oggi su una gerarchia morale artificiale, in cui il valore della vita infantile è piegato alle convenienze geopolitiche. Nel caso dell’Ucraina, la causa è considerata legittima: il sostegno politico, economico e militare è pieno e costante, anche se i bambini muoiono. Nel caso di Israele, la legittima difesa viene relativizzata, condizionata, problematizzata, nonostante l’attacco del 7 ottobre sia stato tra i più sanguinosi attentati contro civili nella storia recente.

Perché questa differenza di trattamento?

Le ragioni sono strutturali:

  • Petrolio e investimenti arabi: i Paesi del Golfo detengono leve finanziarie immense, con interessi in banche, infrastrutture e startup occidentali.
  • Pressione migratoria: evitare di urtare la “sensibilità araba” è diventata una scelta politica interna in molte capitali europee.
  • Ideologia politica: molte sinistre occidentali confondono il legittimo dissenso verso il governo israeliano con un rifiuto ideologico dello Stato di Israele, spingendo verso una visione monocorde del conflitto.

Ipocrisia selettiva: il vero nemico della pace

Non esiste guerra giusta per un bambino. Non esiste missile intelligente abbastanza da risparmiare un’infanzia. Il vero scandalo non è solo la morte, ma la banalizzazione della morte, il suo utilizzo strumentale come leva politica o arma mediatica.

Chi finanzia l’Ucraina e condanna Israele.
Chi difende Gaza e dimentica il Sudan.
Chi piange per Aleppo e ignora Goma.
Tutti contribuiscono a una morale selettiva che uccide due volte: con le bombe e con il silenzio.

Conclusione: il diritto dei bambini non è negoziabile

Il dolore infantile non ha bandiera, non ha passaporto, non ha confessione religiosa.
Il mondo ha bisogno di coerenza, non di fazioni. Finché la comunità internazionale continuerà a decidere quali morti meritano indignazione e quali no, sarà complice di una violenza ipocrita e selettiva. Se un bambino viene ucciso a Kherson, a Sderot, a Nyala o a Idlib, il dovere morale è lo stesso: difendere la sua memoria, condannare chi lo ha ucciso, e impedire che accada ancora. Nel caso di Gaza chi ha ucciso il bambino è Hamas ed i leader ed intellettuali occidentali di sinistra che strumentalizzano in chiave antisemita quei bambini uccisi.

 

Children Killed in War: The Toll No One Wants to Count

“Children are always the first victims of war.”
It’s a phrase that often floats through press headlines and official speeches, yet it rarely receives the political and moral weight it deserves. Because when you look closely, the numbers speak clearly—and they speak in silence.

According to Save the Children, at least 545 children have been killed in Ukraine since the conflict began in 2022. A dramatic figure, yet one that is met with political composure in the West, which continues—without hesitation—to fund Ukraine in what is described as a “defensive war.” A war that, however justified under international law, sacrifices children in the name of resistance.

And yet, in European public discourse, the Ukrainian tragedy does not receive the same moral condemnation that accompanies other conflicts, such as Gaza or Yemen.
Why?
If Ukraine is a democracy invaded by an authoritarian power, why doesn’t Israel—also a democracy, brutally attacked on October 7, 2023—receive the same unconditional support?
Why does the suffering of Ukrainian children appear “necessary,” while that of Palestinian children is amplified as a symbol of aggression?
And above all, who decides which children matter? Journalists, perhaps, guided by their ideological positions.

The Gaza Case: Who Controls the Numbers?

In Gaza, civilian casualty figures—especially those of children—are provided almost exclusively by the Ministry of Health run by Hamas, an organization designated as terrorist by the United States, the European Union, the United Kingdom, Canada, and others.

Multiple observers, security think tanks, and Western governments rightfully question the reliability of these figures:

  • There are no independent bodies able to verify the data on the ground.
  • There is no clear distinction between civilians and combatants.
  • The numbers are used as a propaganda tool to fuel international outrage against Israel.

Nevertheless, these same figures are often echoed by Western media aligned with leftist narratives, without any critical filter—creating a one-sided account in which the IDF (Israel Defense Forces) is systematically portrayed as the aggressor, even when responding to terrorist attacks and operating under a military doctrine based on ethical conduct.

In fact, the IDF implements a unique code of conduct, which includes:

  • Advance warnings to civilians (phone calls, messages, leaflets).
  • Legal advisors embedded with military units to assess target legitimacy.
  • Use of precision-guided weapons, even in densely populated areas.

But no army, no matter how ethical, can fully prevent civilian casualties in urban warfare, especially when terrorists use civilians as human shields, hiding beneath schools, hospitals, and mosques. This is the perverse effect of Hamas’s strategy, which systematically violates the Geneva Conventions by using its own population as shields.

Despite this reality, protests in our streets are directed against Israel, often organized or supported by Palestinian groups aligned with or sympathetic to Hamas, with the backing of leftist trade unions and the ANPI.

Other War Theaters (2023–2024): Children Under Attack

The hypocrisy of the international system becomes starkly evident when examining ignored conflicts.

  • In Sudan, more than 1,200 children died between May and December 2023 in refugee camps, according to UNICEF. No global mobilization.
  • In the Democratic Republic of Congo, at least 150 children were killed in 2023 alone.
  • In Syria, the "forgotten war" continued to claim victims: at least 100 children were killed in airstrikes on Idlib.
  • In Ethiopia’s Tigray region, over 500 children died of starvation in 2023 due to blocked humanitarian aid.

Silence.
Almost no public condemnation. No boycotts. No embargoes. Not from any left-wing political leader.

Who Decides Which Children Matter?

Today’s international discourse is built upon an artificial moral hierarchy, in which the value of a child’s life is shaped by geopolitical convenience.

  • In Ukraine, the cause is considered legitimate: political, economic, and military support flows constantly—even if children die.
  • In Israel, legitimate self-defense is relativized, conditional, problematized, despite the October 7th attack being one of the deadliest assaults on civilians in recent history.

Why this double standard?

The reasons are structural:

  • Oil and Arab investments: Gulf nations hold enormous financial power, with stakes in Western banks, infrastructure, and startups.
  • Migration pressure: Avoiding offense to “Arab sentiment” has become a political calculation in many European capitals.
  • Ideological bias: Many Western leftist circles confuse dissent toward Israel’s government with outright hostility toward the state’s existence, pushing a one-dimensional narrative of the conflict.

Selective Hypocrisy: The Real Enemy of Peace

There is no such thing as a just war for a child.
There is no smart bomb precise enough to spare a childhood.

The real scandal isn’t just the death of children—it’s the banalization of that death, its instrumental use as political leverage or media weapon.

Those who fund Ukraine and condemn Israel.
Those who defend Gaza and forget Sudan.
Those who weep for Aleppo and ignore Goma.
All contribute to a selective morality that kills twice: once with bombs, and once with silence.

Conclusion: The Rights of Children Are Non-Negotiable

A child’s pain knows no flag, no passport, no religion.

The world needs coherence, not factions.
As long as the international community continues to decide which deaths deserve outrage and which do not, it will remain complicit in a hypocritical and selective violence.

Whether a child is killed in Kherson, Sderot, Nyala, or Idlib, the moral duty is the same:
to honor their memory, condemn their killers, and prevent it from ever happening again.
In the case of Gaza, those responsible are Hamas—and the Western left-wing leaders and intellectuals who weaponize those children's deaths through antisemitic narratives.

 

 

lunedì 12 febbraio 2024

La vittoria di Benjamin Netanyahu


Le leadership USA e UE finanziano la guerra di liberazione dell'Ukraina ma invitano alla prudenza il governo di Israele volendo impedire l'attacco a Rafah. Con l'operazione di questa stanotte durante la quale sono stati liberati 2 ostaggi in vita, il governo di Netanyahu ha dimostrato che l'attacco a Rafah è necessario e che gli ostaggi sono prigionieri  ( non si dice pubblicamente) anche con la complicità dei civili palestinesi. L'azione di questa notte ha tolto argomentazioni alle diplomazie USA e UE creando imbarazzo tra le cancellerie. Si questa è stata una vittoria di Israele a guida Netanyahu soffocando anche le polemiche della sinistra israeliana. Se la trattativa con HAMAS non porta alla liberazione degli ostaggi, unica possibilità per dire a Israele di fermare la guerra, è giusto continuare la guerra. E' inutile ignorare che 700 km di gallerie non possono essere realizzate senza il complice silenzio dei capi religiosi musulmani e cristiani di Gaza, della popolazione civile di Gaza e dell'agenzia dell'ONU. L'operazione di GAZA ha evidenziato che la diplomazia internazionale non ha capito il problema e quindi non può fornire soluzioni. E' una guerra religiosa e non di contesa del territorio, perchè altrimenti glia rabi avrebbero accettato la soluzione politica di due popoli e due stati.

Il cavallo di Troia


Il Cavallo di Troia: quando l’inganno travolge la ragione

Tutti conosciamo la celebre vicenda narrata da Virgilio nell’Eneide: il leggendario inganno del cavallo di legno, con cui i Greci, dopo dieci anni di assedio inconcludente, riuscirono a conquistare la roccaforte troiana. Costruito da Epeo con l’aiuto della dea Atena e ideato da Ulisse, il colossale cavallo venne lasciato sulle rive di Troia mentre l’esercito acheo fingeva di ritirarsi, nascondendosi invece sull’isola vicina di Tenedo. Al suo interno, alcuni dei più valorosi guerrieri greci attendevano il momento di agire. I Troiani, ingannati dall’apparente ritirata nemica, discussero a lungo sul destino del misterioso dono, e alla fine lo trascinarono entro le mura cittadine. Quella notte stessa, i guerrieri uscirono dal cavallo, aprirono le porte della città e permisero all’esercito greco di entrare e distruggere Troia.

La forza di questa narrazione non è solo mitologica, ma eternamente attuale: essa rappresenta una strategia universale, quella dell’infiltrazione e della manipolazione, che risulta vincente quando il nemico è disorientato, quando i meccanismi di difesa razionali vengono abbassati e l’analisi critica si annebbia sotto il peso della retorica, della speranza o dell’ideologia.

Questa tecnica non si applica solo alla guerra militare, ma è spesso decisiva nei conflitti ideologici, culturali, perfino sociali. Pensiamo alla Guerra Fredda: il KGB sovietico non puntava solo alle armi ma al consenso, infiltrando ambienti universitari, movimenti pacifisti e organizzazioni culturali in Occidente. O ancora, al modo in cui regimi totalitari del XX secolo si sono serviti di intellettuali e artisti per propagandare messaggi all’apparenza pacificatori, ma funzionali a un progetto di potere.

Oggi, nel cuore del conflitto israelo-palestinese, il modello del “Cavallo di Troia” sembra riproporsi con contorni nuovi, ma dinamiche simili. Hamas – organizzazione riconosciuta come terroristica da molte nazioni – non affronta Israele solo sul piano militare, ma anche e soprattutto su quello ideologico. La narrazione del “genocidio” a Gaza, amplificata in molti contesti occidentali, ha trovato terreno fertile in movimenti legati alla tutela dei diritti civili: studenti universitari, attivisti per i diritti delle donne e delle minoranze, collettivi LGBT+, associazioni studentesche e centri sociali.

Ma qui si apre la contraddizione profonda e, per certi versi, tragica: l’Islam fondamentalista rappresentato da Hamas è radicalmente contrario a tutti i valori che questi movimenti professano. Nei territori governati da Hamas, l’omosessualità è perseguitata, le donne sono sottoposte a regole patriarcali e oppressive, la libertà di stampa e di opinione è pressoché inesistente.

Come può, allora, una parte della sinistra intellettuale europea – che affonda le sue radici storiche nella lotta contro fascismi e autoritarismi – sostenere, anche indirettamente, un’organizzazione che reprime proprio quei diritti per cui essa ha sempre combattuto? È qui che l’inganno si manifesta con la forza del paradosso: l’ideologia ha superato la realtà, la narrazione ha oscurato i fatti.

Questa forma di “utilità inconsapevole” – per citare Lenin che definiva alcuni simpatizzanti occidentali come "utili idioti" – si traduce in una disponibilità, a volte ingenua, a diventare strumenti inconsapevoli di una propaganda che nulla ha a che fare con i valori occidentali. Il cavallo, oggi, non è più di legno, ma è fatto di slogan, post virali, articoli accademici, appelli al “cessate il fuoco” che ignorano deliberatamente la matrice ideologica e violenta di Hamas.

E qui si inserisce il ruolo chiave della propaganda. Al Jazeera, emittente qatariota notoriamente vicina agli interessi dei Fratelli Musulmani – di cui Hamas è diretta emanazione – è il più potente megafono della narrazione pro-palestinese. Trasmissioni, reportage emotivi, immagini selezionate e decontestualizzate vengono rilanciate in tutto il mondo arabo e filtrate nel dibattito occidentale attraverso i social media e i media progressisti. Questo flusso unidirezionale viene poi raccolto e rilanciato nei talk show, nei telegiornali e persino nelle dichiarazioni istituzionali.

In Italia, questo fenomeno assume contorni inquietanti. Diversi leader politici si sono fatti portavoce – consapevoli o no – di questa narrazione distorta. Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) ha più volte evitato di condannare Hamas come organizzazione terroristica, preferendo parlare di “resistenza palestinese”. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha richiesto un “cessate il fuoco immediato” senza mai affrontare la responsabilità diretta di Hamas nell’innescare il conflitto e nel violare ogni principio di diritto internazionale umanitario. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha evocato il termine “genocidio” riferendosi all’operazione israeliana, ignorando completamente l’assenza di basi giuridiche per tale accusa, come evidenziato da numerosi esperti di diritto internazionale.

In questo scenario, i leader progressisti si trasformano in cassa di risonanza involontaria della propaganda di Hamas. E non si tratta solo di dichiarazioni: basti pensare alla presenza di bandiere palestinesi e striscioni filo-Hamas nei cortei per i diritti civili, all’interno di università italiane, eventi culturali e manifestazioni pacifiste. Chi lotta per la libertà, finisce così per sostenere – senza rendersene conto – chi la libertà la nega con ferocia.

Proprio come accadde a Troia, la città cadde non per forza militare, ma per ingenuità e divisione interna. Oggi il pericolo non bussa alle porte in armi, ma si insinua nei discorsi, nei post condivisi, nei talk televisivi, nei commenti dei leader politici. È il ritorno del Cavallo di Troia, in versione mediatica.

E come allora, la domanda è sempre la stessa: siamo pronti ad aprire le porte senza chiederci chi c’è nascosto dentro?

 



The Trojan Horse: When Deception Overwhelms Reason

We all know the famous story told by Virgil in the Aeneid: the legendary ruse of the wooden horse, through which the Greeks, after ten long years of fruitless siege, finally managed to conquer the fortified city of Troy. Built by Epeius with the help of the goddess Athena and conceived by Odysseus, the colossal horse was left on the shore outside Troy, while the Greek army pretended to retreat, hiding instead on the nearby island of Tenedos. Inside the horse, some of the most valiant Greek warriors waited silently. The Trojans, deceived by the apparent withdrawal, debated the fate of the mysterious gift, and ultimately brought it into the city walls. That very night, the hidden warriors emerged, opened the gates to the returning Greek army, and brought Troy to its knees.

The power of this narrative is not merely mythological but eternally relevant: it symbolizes a universal strategy—deception and infiltration—which prevails when the enemy is disoriented, and rational defenses are lowered under the weight of rhetoric, ideology, or misplaced hope.

This tactic is not limited to military conflict but is equally effective in ideological, cultural, and social struggles. Think of the Cold War: the Soviet KGB didn’t just rely on weapons but infiltrated Western universities, peace movements, and cultural organizations to win hearts and minds. Or think of how 20th-century totalitarian regimes used intellectuals and artists to spread seemingly peaceful messages that served authoritarian ends.

Today, at the center of the Israeli–Palestinian conflict, the model of the “Trojan Horse” resurfaces with new contours but familiar dynamics. Hamas—a group officially recognized as terrorist by many nations—does not face Israel solely on the battlefield but especially in the realm of ideas. The narrative of “genocide” in Gaza, amplified in many Western contexts, has found fertile ground among movements advocating civil rights: university students, women’s rights activists, LGBTQ+ collectives, minority associations, and left-wing social centers.

But here lies a profound and tragic contradiction: the fundamentalist Islam represented by Hamas is diametrically opposed to the very values these movements claim to uphold. In Hamas-controlled territories, homosexuality is criminalized, women are subject to strict patriarchal laws, and freedom of speech and press is nonexistent.

So how is it possible that a portion of the European left—historically rooted in anti-fascist and anti-authoritarian traditions—can lend support, even indirectly, to an organization that suppresses the very rights it has always defended? This is where deception takes on the force of paradox: ideology overwhelms reality, and narrative blinds truth.

This form of “useful idiocy”—to quote Lenin, who referred to sympathetic Westerners in these terms—manifests in a willingness, sometimes naive, to become unwitting instruments of propaganda completely disconnected from Western democratic values. The Trojan Horse today is not made of wood but of slogans, viral posts, academic articles, and calls for “immediate ceasefires” that deliberately ignore the violent and ideological nature of Hamas.

Here, propaganda plays a central role. Al Jazeera, the Qatari network closely aligned with the Muslim Brotherhood—of which Hamas is an offshoot—is a powerful megaphone for pro-Hamas narratives. Emotional reports, selectively edited footage, and unverified testimonies are broadcast throughout the Arab world and filtered into Western discourse via social media and progressive media outlets. This unidirectional flow is then echoed by talk shows, news broadcasts, and even official political statements.

In Italy, this phenomenon takes a particularly concerning shape. Various political leaders have become—knowingly or not—mouthpieces for this distorted narrative. Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) has repeatedly refused to label Hamas as a terrorist organization, preferring to refer to “Palestinian resistance.” Giuseppe Conte, leader of the Five Star Movement, has called for an “immediate ceasefire” without addressing Hamas’s role in triggering and perpetuating the conflict through constant violations of international humanitarian law. Elly Schlein, secretary of the Democratic Party (PD), invoked the term “genocide” in reference to Israel’s actions, ignoring the lack of any legal foundation for such an accusation, as pointed out by numerous international law experts.

In doing so, these progressive leaders have become an echo chamber for Hamas propaganda. And it’s not just words: one need only look at pro-Palestine rallies in Italy where rainbow flags fly next to posters glorifying jihadist leaders—an ideological paradox bordering on the absurd. Activists fighting for LGBTQ+ rights in Italy and France end up—perhaps unwittingly—supporting a cause represented by those who violently deny those very rights.

As in ancient Troy, the city fell not through brute force, but through internal naivety and division. Today, danger does not knock at the gates with battering rams but slips in through speeches, social media posts, primetime talk shows, and political declarations. The horse is already within the walls.

And just like then, the fundamental question remains:
Are we truly prepared to open the gates without asking who’s hiding inside?


LES MORTS INNOCENTS DE GAZA

 Au peuple français de la part de l'Italie Lettre ouverte à ceux qui manifestent contre Israël Benjamin Netanyahu peut ne pas plaire à ...