Passeggiare oggi sulle nostre strade equivale a vivere un safari urbano. Marciapiedi sconnessi, asfalto rattoppato, buche che sembrano trappole. Una situazione che, da anni, si ripete sotto ogni amministrazione, di qualsiasi colore politico. I cittadini inciampano, letteralmente, nell’indifferenza. E non si tratta solo di una questione estetica: si parla di sicurezza, di soldi pubblici e, forse, di qualcosa di più grave.
Durante ogni campagna elettorale le promesse abbondano: "Metteremo a posto le strade!", "Stop al degrado!". Eppure, una volta chiuse le urne, tutto resta com'è. O peggiora. La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: "problemi di bilancio". Ma davvero i soldi sono l’unico ostacolo? Oppure dietro questo disastro urbano si nasconde malafede o, nella migliore delle ipotesi, incompetenza?
A detta dei tecnici, la causa principale del deterioramento delle strade sarebbe da ricercare nelle infiltrazioni d’acqua piovana, nelle escursioni termiche e nel traffico pesante. È vero, le sollecitazioni climatiche e meccaniche stressano il manto stradale. Tuttavia, il problema reale emerge quando le opere non sono realizzate ad arte.
Secondo le norme tecniche UNI, l'asfalto deve rispettare precisi standard qualitativi. Se i materiali impiegati sono scadenti, o se gli strati di asfalto sono troppo sottili, il risultato è una superficie fragile, destinata a cedere in poco tempo. Non meno grave è l’esecuzione dei sottoservizi: scavi mal ripristinati e rattoppi improvvisati compromettono definitivamente la stabilità del fondo stradale.
E qui sorge spontanea una domanda: chi dovrebbe vigilare sulla qualità dei lavori appaltati? La risposta è chiara: il Direttore dei Lavori, nominato dal Comune. È lui il responsabile del controllo dei materiali, della corretta esecuzione, della conformità al capitolato d’appalto. Se le nostre strade sono in queste condizioni, significa che i controlli non vengono svolti adeguatamente.
A questo punto, le ipotesi sono due: o il Direttore dei Lavori è incompetente, o è ingenuamente fiducioso verso l’impresa esecutrice. Oppure, ipotesi ancor più grave, complice. Un'ombra che dovrebbe allertare non solo i cittadini, ma anche le autorità competenti, perché la mala esecuzione di opere pubbliche non è solo un danno economico, è una ferita al tessuto civile.
Non si tratta di un problema limitato a questa o a quella amministrazione. È una piaga trasversale, che si ripete a ogni cambio di governo locale, come un copione già scritto. Possibile che politici e dirigenti, camminando ogni giorno su strade dissestate, non vedano? O peggio, facciano finta di non vedere?
C'è poi l’incredibile questione della pianificazione dei lavori. Si riasfalta una strada – spesso male – salvo poi, poche settimane dopo, assegnare un nuovo appalto per realizzare sottoservizi. Risultato: scavi sull’asfalto nuovo e ripristini approssimativi che rendono vani i soldi appena spesi. Una gestione grottesca delle risorse pubbliche, che alimenta un continuo circolo vizioso di appalti e rattoppi.
A fronte di un problema così evidente, stupisce il silenzio. Nessun approfondimento giornalistico, nessuna interrogazione consiliare degna di nota, nessun dibattito pubblico acceso. Una complice unanimità nel tacere, mentre i cittadini sbandano, inciampano e pagano il prezzo di strade insicure.
Eppure le conseguenze sono gravissime: oltre al degrado urbano, si compromette la sicurezza di pedoni e automobilisti. Aumentano i costi sociali, gli incidenti, la necessità di ulteriori bandi di gara.
La domanda finale è inquietante: è forse questo l’obiettivo? Un sistema che, invece di risolvere, alimenta sé stesso? Dove il degrado diventa un’occasione di spesa continua, un business della riparazione perpetua?
Il degrado delle strade non è solo un segno di inefficienza amministrativa. È un indicatore di quanto la cura del bene comune sia stata sacrificata sull'altare di interessi opachi.