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domenica 12 ottobre 2025

Israele, Palestina e diritto internazionale: tra legittimità, religione e storia


Il diritto internazionale trova le sue radici nei trattati e nelle convenzioni stipulate tra Stati sovrani – bilaterali o multilaterali – o tra organizzazioni internazionali.

A questi si aggiungono le consuetudini internazionali, che, pur non essendo scritte, sono considerate vincolanti come i trattati, e i principi generali del diritto, derivati dai sistemi giuridici nazionali.
Completano il quadro le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, del Tribunale per il Diritto del Mare e le risoluzioni delle Nazioni Unite, che, se considerate parte integrante del diritto internazionale, assumono un valore normativo e politico rilevante.

Le origini legali e politiche dello Stato di Israele

In questa prospettiva, la Risoluzione 181 (II) dell’Assemblea Generale dell’ONU, approvata il 29 novembre 1947, rappresenta la premessa giuridica per la fondazione dello Stato di Israele.
La risoluzione prevedeva la spartizione della Palestina mandataria in due Stati indipendenti — uno ebraico e uno arabo — con Gerusalemme posta sotto amministrazione internazionale.

Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion, capo dell’Agenzia Ebraica, proclamò ufficialmente la nascita dello Stato di Israele a Tel Aviv, poche ore prima della fine del mandato britannico.
Il giorno seguente, il 15 maggio 1948, gli eserciti di Egitto, Siria, Giordania, Libano e Iraq attaccarono il nuovo Stato, dando inizio alla prima guerra arabo-israeliana. Israele respinse l’aggressione e conquistò territori oltre i confini previsti dal piano ONU.

Il rifiuto arabo del piano di spartizione ebbe conseguenze profonde:
gli stessi Stati arabi che dichiararono guerra a Israele rifiutarono di fondare uno Stato palestinese, lasciando così un vuoto politico. I territori occupati da Israele dopo la guerra del 1948 non appartenevano a un’entità sovrana palestinese, ma erano ex territori del mandato britannico, non rivendicati formalmente dagli Stati arabi. Israele, quindi, si trovò ad amministrare territori privi di sovranità riconosciuta.

Una presenza ebraica ininterrotta in Terra d’Israele

Spesso si dimentica che gli ebrei non “ritornarono” semplicemente in Palestina nel Novecento, ma non se ne erano mai del tutto andati.
Dopo la distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.) e la rivolta di Bar Kokhba (132–135 d.C.), una parte della popolazione ebraica continuò a vivere nella regione, soprattutto in Galilea, Gerusalemme, Hebron e Safed.

Nei secoli successivi — sotto domini bizantino, arabo e ottomano — le comunità ebraiche mantennero una presenza stabile e riconosciuta, con centri religiosi, scuole rabbiniche e attività economiche.
Durante il periodo ottomano (1517–1917), gli ebrei erano presenti nelle cosiddette “quattro città sante” dell’ebraismo: Gerusalemme, Hebron, Safed e Tiberiade.

Quando nel 1917 la Palestina passò sotto Mandato britannico, vivevano nel territorio circa 60–80.000 ebrei, molti dei quali discendenti di famiglie autoctone presenti da secoli.
Le successive ondate migratorie (aliyot) provenienti dall’Europa orientale, dallo Yemen e dal Nord Africa si innestarono dunque su una continuità storica preesistente.

Per secoli, ebrei e arabi vissero fianco a fianco, spesso in rapporti di collaborazione commerciale e culturale.
La contrapposizione etnica e politica emerse solo in epoca moderna, con la nascita del sionismo politico e del nazionalismo arabo, due ideologie parallele ma contrapposte che trasformarono un’antica convivenza in un conflitto identitario.

Dalla nascita di Israele alla questione palestinese

Solo quarant’anni dopo la fondazione di Israele, il 15 novembre 1988, durante una riunione ad Algeri, il Consiglio Nazionale Palestinese proclamò simbolicamente la nascita dello Stato di Palestina.
Fu un atto politico e simbolico, non sostenuto da un controllo territoriale reale: un’espressione di autodeterminazione del popolo palestinese, che in larga parte era composto da profughi provenienti da Egitto e Giordania.
La proclamazione richiamava i confini del mandato britannico e il piano ONU del 1947, che prevedeva due Stati, ma senza che questi fossero mai realmente nati.

Tra il 1948 e il 1988, la regione fu scossa da quattro guerre principali — la Crisi di Suez (1956), la Guerra dei Sei Giorni (1967), la Guerra del Kippur (1973) e l’invasione del Libano (1982) — tutte originate da iniziative militari arabe.

Nel frattempo, la Carta delle Nazioni Unite (1945) sanciva, all’articolo 2, paragrafo 4, che gli Stati devono astenersi dall’uso della forza contro l’integrità territoriale di altri Stati.
Ma questo principio era inapplicabile alla Palestina: uno Stato palestinese non esisteva, e la sua mancata esistenza era il risultato diretto del rifiuto arabo del 1947.

Tra il 1948 e il 1974 si registrarono 19 attentati terroristici attribuiti a gruppi palestinesi.
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nata nel 1964, ottenne nel 1974 il riconoscimento da parte dell’ONU come “unico legittimo rappresentante del popolo palestinese”.

La questione dello status dei territori e il dibattito sulla legittimità

Alla luce di queste premesse, la narrazione secondo cui “Israele occupa la Palestina” risulta giuridicamente imprecisa.
Israele amministra territori contesi, non appartenenti a uno Stato sovrano.
Secondo la Convenzione di Montevideo del 1933, per essere considerato Stato, un’entità deve possedere quattro elementi: popolazione stabile, territorio definito, governo effettivo e capacità di relazioni internazionali.
La Palestina, in assenza di un effettivo controllo territoriale e di una sovranità riconosciuta, non soddisfa pienamente questi criteri.

La posizione del mondo arabo e la questione di Gerusalemme

Dopo la proclamazione di Israele nel 1948, la Lega Araba ne rifiutò il riconoscimento, considerandolo una “creazione illegittima sul territorio arabo”.
Solo nel 1979, l’Egitto, membro fondatore, firmò con Israele il Trattato di pace di Camp David, primo passo verso una normalizzazione diplomatica.
Negli anni successivi, anche altri Paesi arabi — Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan — hanno stabilito relazioni ufficiali con Israele attraverso gli Accordi di Abramo (2020).
Tuttavia, la Lega Araba nel suo insieme continua a non riconoscere formalmente Israele, condizionando ogni riconoscimento alla creazione di uno Stato palestinese sovrano.

Alla base di questo rifiuto resta una convinzione radicata: la nascita di Israele sarebbe stata imposta dalle potenze occidentali dopo l’Olocausto, senza il consenso delle popolazioni arabe locali, che all’epoca costituivano la maggioranza.

Il nodo religioso: Gerusalemme contesa

Il conflitto israelo-palestinese non è solo politico, ma profondamente religioso e simbolico.
Per i musulmani, Gerusalemme Est è la capitale ideale del futuro Stato palestinese e la terza città santa dell’Islam.
Per gli ebrei, invece, Gerusalemme (Yerushalayim) è la città sacra per eccellenza, menzionata oltre 600 volte nella Bibbia ebraica:
la città di Davide, sede del Primo Tempio di Salomone, e luogo del sacrificio di Isacco.
Per la tradizione ebraica, Gerusalemme è il punto d’incontro tra Dio e il popolo d’Israele, la dimora della presenza divina (Shekhinah) e il simbolo eterno del legame con la propria terra.

Conclusione: il conflitto che non si estingue

La nascita di un “popolo palestinese” come entità politica moderna ha avuto anche la funzione di rafforzare la rivendicazione araba sull’intero territorio della Palestina storica, secondo lo slogan “dal fiume al mare”.
Da qui, la formula diplomatica “due popoli, due Stati” appare più come un ideale occidentale che come una soluzione realistica, poiché ignora le profonde radici religiose e culturali del conflitto.

Le tregue e gli accordi temporanei — come la liberazione di ostaggi o i cessate il fuoco — non rappresentano una pace duratura, ma solo pause tattiche in un conflitto che, per una parte del mondo arabo e islamico, può dirsi concluso solo con il pieno controllo islamico della Palestina.


lunedì 6 ottobre 2025

La banalità degli slogan: tra “due popoli, due Stati” e “dal fiume al mare”

 


Quante volte abbiamo sentito i leader occidentali ripetere, quasi fosse una formula magica: “due popoli, due Stati”? È un mantra che torna puntuale a ogni crisi mediorientale, invocato come soluzione inevitabile ma mai realizzata. Dall’altra parte, alle manifestazioni pro-palestinesi, riecheggia immancabilmente un altro slogan: “Dal fiume al mare”.

Due frasi, due visioni contrapposte, ma ripetute con la stessa leggerezza di chi non ne comprende fino in fondo il significato. Da qui la metafora: da un lato i “pappagalli”, le leadership occidentali che ripetono uno slogan ormai svuotato; dall’altro i “lupi”, i leader palestinesi, coerenti con i propri principi ideologici e religiosi.

I “pappagalli” occidentali: slogan senza sostanza

Le classi politiche europee e statunitensi continuano a sostenere la soluzione “due popoli, due Stati” come se fosse un dato di fatto politico. In realtà, questo progetto non è mai stato accettato né perseguito in modo coerente dai principali attori arabi e palestinesi.

Sin dalla Risoluzione ONU del 1947 sulla spartizione della Palestina, la maggioranza dei Paesi arabi ha rifiutato la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno ebraico. Il motivo, spesso frainteso in Occidente, non è semplicemente politico o anticoloniale, ma teologico e giuridico: secondo il pensiero islamico classico, una terra definita “islamica” non può essere governata da non musulmani.

La base giuridico-religiosa: dār al-Islām

La dottrina islamica si fonda su versetti coranici e tradizioni profetiche che definiscono come un territorio debba entrare a far parte della comunità islamica (dār al-Islām).

  • Sura 8, versetto 39: «Combattete contro di loro finché non cessi la persecuzione e la religione non sia tutta per Allah».
  • Sura 9, versetto 29: introduce la jizya, la tassa che consente a territori non musulmani di entrare sotto dominio islamico senza conversione obbligatoria.
  • Sura 9, versetto 5 (il “versetto della spada”): comanda la lotta contro i politeisti finché non accettino l’Islam o un trattato di sottomissione.

Negli Hadith e nella Sunna si trovano esempi concreti: Medina, Mecca e Khaybar furono integrate nella comunità islamica dopo resa o conquista; le lettere inviate dal Profeta ai sovrani vicini invitavano alla sottomissione religiosa e politica.

“Dal fiume al mare”: il significato reale

In questo contesto, lo slogan “Dal fiume al mare” assume un significato ben preciso: la Palestina, compresa Gerusalemme, è considerata terra islamica e, in quanto tale, deve essere governata da autorità musulmane.

È questa visione che nel 1948 spinse i Paesi arabi a rifiutare la spartizione della Palestina: erano convinti di poter sconfiggere Israele militarmente e controllare l’intero territorio. Tale linea è coerente anche con la strategia della Lega Araba, che mantiene ancora oggi un dipartimento dedicato al boicottaggio del sionismo.

Riconoscimenti formali e realtà politiche

Nel 1993, con gli Accordi di Oslo, l’OLP mediante uno scambio di lettere di mutuo riconoscimento tra il governo israeliano e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) in cui indirettamente  OLP  in rappresentanza dei palestinesi— riconobbe formalmente lo Stato di Israele. Tuttavia, nonostante l'apparente riconoscimento, il primo atto fondativo del 28/05/1964 si dichiarava:

  • l'art  2 dichiarava "La Palestina, con i suoi confini al tempo del Mandato britannico, è un’unità territoriale indivisibile." e
  • l'Articolo 4vdichiarava:"Il popolo della Palestina determina il proprio destino quando avrà completato la liberazione della sua patria, in conformità ai suoi desideri, alla sua libera volontà e scelta.

e con la revisione dell’Atto Fondativo dello Stato di Palestina del 25 marzo 2023 conferma un orientamento identitario chiaro attenuando la precedente carta fondativa comunque riaffermando indirettamente gli stessi obiettivi:

  • Articolo 4: Gerusalemme è dichiarata capitale dello Stato di Palestina.
  • Articolo 5: la lingua ufficiale è l’arabo, la religione ufficiale è l’Islam.

Questi principi, profondamente radicati, si scontrano con l’idea di coesistenza statale promossa in Occidente.

“Lupi” e “Pappagalli”: due coerenze diverse

I “lupi” — i leader palestinesi e parte del mondo arabo — sono coerenti con i loro obiettivi religiosi e politici: lo slogan “Dal fiume al mare” è perfettamente allineato alla dottrina islamica classica e alle strategie storiche arabe.

I “pappagalli” — le leadership occidentali — continuano invece a ripetere una formula diplomatica ormai disancorata dalla realtà, ignorando il fondamento religioso e ideologico che rende impraticabile la soluzione “due popoli, due Stati” così come concepita dagli europei.

La retorica politica semplifica questioni complesse. Dietro slogan apparentemente innocui si celano visioni del mondo incompatibili: da un lato, una prospettiva teologico-giuridica radicata nell’Islam; dall’altro, un approccio occidentale laico e diplomatico. Finché l’Occidente continuerà a comportarsi da “pappagallo” e non affronterà il nodo ideologico alla base del rifiuto arabo-palestinese, la soluzione dei “due popoli e due Stati” resterà un’illusione.

lunedì 28 luglio 2025

E' possibile il dialogo in medio oriente?

 What Gaza looks like today, after 15 months of war - February 12, 2025 ...

 "Capisco bene chi invoca il dialogo, è una posizione nobile. Ma permettetemi di spiegare perché, secondo me, questa prospettiva, se non è ancorata alla realtà concreta e storica di quel contesto, rischia di essere solo retorica.

Per comprendere davvero ciò che accade in Medio Oriente, dobbiamo fare un passo indietro. Non possiamo analizzare quella realtà con le nostre categorie mentali occidentali, quelle che derivano dalla rivoluzione francese, dalla secolarizzazione e dal relativismo moderno. Il nostro sguardo è quello di chi ha interiorizzato il concetto di Stato laico, di dialogo tra religioni, di compromesso politico. Ma laggiù, in quelle terre, la logica è profondamente diversa.

Parliamoci chiaro: Israele esiste dal 1948, è uno Stato, è una potenza militare, ed è sostenuto dalla stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo, anche da quelli non religiosi. Che si sia o meno d’accordo con le politiche israeliane, questo è un dato di realtà. E se davvero vogliamo parlare di dialogo, dobbiamo prima accettare questo fatto, altrimenti stiamo immaginando soluzioni che partono da premesse false.

Poi c’è un altro punto, fondamentale: il conflitto non è solo territoriale. Se fosse così, come nel caso Russia-Ucraina, potremmo almeno ipotizzare una soluzione negoziale. Ma qui c'è di più: c’è una componente religiosa profonda, viscerale, che coinvolge visioni del mondo inconciliabili. L’Iran sciita, ad esempio, non ha mai nascosto di voler distruggere Israele. Non è una mia deduzione: è scritto, proclamato, è parte di una visione religiosa e ideologica. E agiscono in tal senso, armando e finanziando gruppi come Hamas, Hezbollah, gli Houthi.

Certo, molti parlano di dialogo interreligioso: tra cattolici ed ebrei, tra musulmani e cristiani... ma diciamoci la verità, spesso è un racconto che ci facciamo per stare meglio, per coltivare l’illusione di un "buon vicinato" globale. La religione, in quei contesti, non è una questione privata, ma identitaria, collettiva, totalizzante. Non è separabile dalla politica. Perciò, un laico, o un pensatore occidentale, non può pretendere di razionalizzare tutto ciò partendo dal proprio schema mentale: deve prima fare lo sforzo di capire la visione del mondo dell’altro.

Pensateci: per i cristiani, il dialogo è frutto di una maturazione storica, iniziata dopo le evangelizzazioni forzate e culminata con la secolarizzazione. Ma l’ebraismo non cerca proseliti, si fonda sull’alleanza con la propria terra, su Gerusalemme, sulla Torah. L’islam invece, almeno nella sua versione storica e tradizionale, promuove apertamente la diffusione della fede e la superiorità dell’umma islamica. Sono visioni molto diverse, che si confrontano in uno spazio dove la religione è ancora motore della storia.

E ancora: nel mondo islamico non c’è un fronte unico. C’è una lotta interna tra sciiti e sunniti. L’Iran sciita pretende la leadership spirituale e politica del mondo musulmano, mentre i Paesi sunniti più moderati – Arabia Saudita, Egitto, Emirati – pur contestando Israele a parole, di fatto temono l’Iran molto più. Per questo non si oppongono davvero a Tel Aviv: Israele, volenti o nolenti, sta facendo il lavoro sporco per loro, arginando l’espansione iraniana e il jihadismo sciita.

E i palestinesi? Sono diventati una pedina. Nessun Paese arabo li ha davvero integrati. Perché? Perché la cultura del martirio e della lotta armata li ha resi un popolo difficile da assorbire. E perché, anche per i Paesi arabi, la “questione palestinese” è utile a livello politico: mantiene alta la pressione su Israele e permette ai leader arabi di continuare a recitare la parte dei difensori dell’islam, senza compromettersi troppo.

In definitiva, io non sono contrario al dialogo. Ma il dialogo vero nasce dalla comprensione autentica dell’altro, non da una proiezione delle nostre categorie morali e razionali su chi non le condivide. Non è la buona volontà che basta, ma la capacità di vedere la storia, le ideologie, le fedi religiose per ciò che sono. E da lì – solo da lì – forse si può iniziare a parlare.

Altrimenti, è come voler dialogare tra sordi e ciechi. E in questo scenario, purtroppo, si rischia di alimentare illusioni pericolose. Se vogliamo davvero contribuire alla pace, dobbiamo iniziare ad ascoltare con le orecchie del Medio Oriente, non con quelle dell’Europa laica."

lunedì 2 giugno 2025

I MORTI INNOCENTI DI GAZA



ITALIANO
Lettera Aperta a chi protesta contro Israele

Benjamin Netanyahu può non piacere: rappresenta la destra religiosa. Ma in questo momento storico è l’uomo giusto per affrontare un’aggressione che minaccia l’esistenza stessa di Israele.

Proviamo a ribaltare le vostre convinzioni, a patto che ci sia onestà intellettuale e che non siate antisemiti.
Israele attacca e rade al suolo gli edifici dove si annidano i terroristi?
Sì, ed è giusto che lo faccia. Quegli edifici sono basi di fuoco, nascondono trappole per i soldati israeliani e depositi di armi. Non ci sono alternative.

Negli attacchi dell’IDF possono morire civili e bambini?
Sì, ma la colpa non è di Israele. Hamas conta proprio su quelle vittime innocenti, le sfrutta come carne da propaganda. Senza quei morti, non potrebbero mobilitare masse di manifestanti in Occidente, guidati da leader che strumentalizzano il dolore altrui per guadagnare consensi politici.

I cittadini di Gaza sono responsabili di quanto accade?
Sì. Perché sanno dove sono nascosti gli ostaggi. Perché conoscono la rete di tunnel armati costruiti sotto case, scuole, ospedali e moschee: 700 km di bunker terroristici. Eppure non denunciano nulla. Sono complici consapevoli, ottimi attori nel teatro della menzogna.

I palestinesi combattono per la loro terra?
No. Se lo facessero davvero, avrebbero accettato la risoluzione ONU per due popoli e due stati. Avrebbero chiesto il riconoscimento della Palestina come obiettivo di tregua. Ma combattono per cancellare Israele, come gridano nei nostri cortei: “dalla riva al mare”.

Perché non liberano gli ostaggi?
Perché la guerra serve a loro. Non vogliono la pace: vogliono la guerra mediatica contro Israele e contro gli ebrei. Il vero fronte non è Gaza, ma le nostre piazze.

Chi fornisce alla stampa occidentale immagini strazianti di donne e bambini palestinesi morti?
Al Jazeera, emittente del Qatar che ospita Hamas. E il “Ministero della Salute” di Hamas, protagonista del massacro del 7 ottobre e della presa di ostaggi. Non sono fonti credibili. E il personale palestinese delle agenzie ONU è stato loro complice. Così, gli utili idioti dell’Occidente danno credito al carnefice, non alla vittima.

E allora, chi uccide davvero i civili e i bambini di Gaza?
Voi.
Voi leader della sinistra, che per calcoli elettorali cavalcate la menzogna di Israele genocida, distinguendo furbescamente fra antisemitismo e antisionismo.
Voi giornalisti che, con disonestà intellettuale, non fate informazione: rilanciate la propaganda di Hamas, magari finanziati dal Qatar.
Voi cittadini comuni, studenti, rettori, che seguite i cattivi maestri senza farvi domande, comportandovi come utili idioti, legittimando l’azione terroristica.

Voi tutti avete le mani sporche del sangue che fingete di voler difendere.
Perché con le vostre piazze e il vostro silenzio rendete utile ad Hamas trattenere gli ostaggi e sacrificare i bambini.

Complimenti: siete i veri responsabili morali di quanto accade a Gaza. Non Israele, che si difende. Non Hamas, che fa il suo gioco. Ma voi, criminali inconsapevoli, per calcolo politico o per semplice stupidità. 

English language

Open Letter to Those Protesting Against Israel

Benjamin Netanyahu may not be to everyone’s liking: he represents the religious right. But at this moment in history, he is the right man to face an aggression that threatens Israel’s very existence.

Let us try to overturn your convictions—provided there is intellectual honesty and you are not antisemites.
Does Israel attack and level the buildings where terrorists hide?
Yes, and rightly so. Those buildings are bases of fire, they hide traps for Israeli soldiers and store weapons. There is no alternative.

Are there civilian casualties and children killed in IDF attacks?
Yes, but it is not Israel’s fault. Hamas depends on those innocent victims, especially children, using them as pawns for propaganda. Without those deaths, they could not mobilize masses of protesters in the West, led by leaders who exploit that suffering to boost their own political fortunes.

Are the citizens of Gaza responsible for what is happening?
Yes. Because they know where the hostages are hidden. Because they know about the network of armed tunnels built under homes, schools, hospitals and mosques: 700 km of fortified bunkers. Yet they do not denounce them. They are willing accomplices, skilled actors in this theater of lies.

Are the Palestinians fighting for their land?
No. If they were, they would have accepted the UN resolution for two peoples and two states. They would have demanded that the ceasefire include recognition of Palestine as a state. Instead, they fight to erase Israel, as they shout in our streets: “from the river to the sea.”

Why don’t they release the hostages?
Because the war serves them. They do not want peace: they want the media war against Israel and the Jews. The real frontline is not Gaza, it is our own streets.

Who provides the Western media with vivid images of dead Palestinian women and children?
Al Jazeera, the Qatari broadcaster that hosts Hamas. And the “Ministry of Health” of Hamas, the very same group behind the October 7th massacre and hostage-taking. These are not credible sources. And the Palestinian staff of UN agencies have been complicit. In this way, the useful idiots of the West end up giving credibility to the executioner, not the victim.

So, who is really killing the civilians and children of Gaza?
You.
You, leaders of the left, who for electoral gain ride the lie of “genocidal Israel,” drawing a convenient distinction between antisemitism and antizionism.
You, journalists who, with intellectual dishonesty, do not do your job of informing but instead amplify Hamas propaganda, perhaps funded by Qatar.
You, ordinary citizens, students, rectors—following bad teachers without asking questions, behaving like useful idiots, legitimizing terrorist actions.

All of you have blood on your hands—blood you pretend to care about.
Because with your protests and your silence, you make it easier for Hamas to hold hostages and sacrifice children.

Congratulations: you are the real moral culprits of what is happening in Gaza. Not Israel, which is defending itself. Not Hamas, which is playing its game.
You—criminals unaware of your own complicity, whether out of political calculation or sheer stupidity

idioma español

Carta Abierta a Quienes Protestan Contra Israel

Benjamin Netanyahu puede no gustar a todos: representa a la derecha religiosa. Pero en este momento histórico, es el hombre adecuado para enfrentar una agresión que amenaza la existencia misma de Israel.

Intentemos desmontar sus convicciones, siempre que haya honestidad intelectual y que no sean antisemitas.
¿Israel ataca y arrasa los edificios donde se esconden los terroristas?
Sí, y con razón. Esos edificios son bases de fuego, esconden trampas para los soldados israelíes y almacenan armas. No hay alternativa.

¿En los ataques del IDF mueren civiles y niños?
Sí, pero no es culpa de Israel. Hamas depende de esas víctimas inocentes, especialmente de los niños, utilizándolos como carne de propaganda. Sin esas muertes, no podrían movilizar a las masas de manifestantes en Occidente, dirigidas por líderes que explotan ese sufrimiento para fortalecer su propio poder político.

¿Son responsables los ciudadanos de Gaza de lo que está sucediendo?
Sí. Porque saben dónde están escondidos los rehenes. Porque conocen la red de túneles armados construidos bajo sus casas, escuelas, hospitales y mezquitas: 700 km de búnkeres fortificados. Sin embargo, no los denuncian. Son cómplices conscientes, excelentes actores en este teatro de mentiras.

¿Los palestinos luchan por su tierra?
No. Si realmente lucharan por su tierra, habrían aceptado la resolución de la ONU para dos pueblos y dos estados. Habrían exigido que la tregua incluyera el reconocimiento de Palestina como estado. En cambio, luchan por borrar a Israel, como gritan en nuestras calles: “del río al mar”.

¿Por qué no liberan a los rehenes?
Porque la guerra les conviene. No quieren la paz: quieren la guerra mediática contra Israel y contra los judíos. La verdadera línea del frente no es Gaza, sino nuestras propias calles.

¿Quién le proporciona a la prensa occidental las imágenes impactantes de mujeres y niños palestinos muertos?
Al Jazeera, la emisora de Qatar que alberga a Hamas. Y el “Ministerio de Salud” de Hamas, el mismo grupo responsable de la masacre del 7 de octubre y de la toma de rehenes. No son fuentes creíbles. Y el personal palestino de las agencias de la ONU ha sido cómplice. Así, los idiotas útiles de Occidente terminan dando credibilidad al verdugo, no a la víctima.

Entonces, ¿quién está matando realmente a los civiles y a los niños de Gaza?
Ustedes.
Ustedes, líderes de la izquierda, que por cálculo electoral cabalgan la mentira de un “Israel genocida”, distinguiendo astutamente entre antisemitismo y antisionismo.
Ustedes, periodistas que, con deshonestidad intelectual, no informan: amplifican la propaganda de Hamas, quizás financiada por Qatar.
Ustedes, ciudadanos comunes, estudiantes, rectores, que siguen a malos maestros sin hacerse preguntas, comportándose como idiotas útiles, legitimando la acción terrorista.

Todos ustedes tienen las manos manchadas de la sangre de aquellos que dicen querer defender.
Porque con sus manifestaciones y su silencio, hacen que a Hamas le resulte más fácil retener a los rehenes y sacrificar a los niños.

Felicidades: ustedes son los verdaderos responsables morales de lo que ocurre en Gaza.
No Israel, que se defiende. No Hamas, que juega su propio juego.  Ustedes: criminales inconscientes, por cálculo político o por simple estupidez.

langue française

Lettre ouverte à ceux qui manifestent contre Israël

Benjamin Netanyahu peut ne pas plaire à tout le monde : il représente la droite religieuse. Mais en ce moment historique, c’est l’homme qu’il faut pour affronter une agression qui menace l’existence même d’Israël.

Essayons de renverser vos convictions, à condition qu’il y ait honnêteté intellectuelle et que vous ne soyez pas antisémites.
Israël attaque-t-il et rase-t-il les immeubles où se cachent les terroristes ?
Oui, et c’est bien normal. Ces immeubles sont des bases de tir, ils dissimulent des pièges pour les soldats israéliens et stockent des armes. Il n’y a pas d’alternative.

Y a-t-il des victimes civiles et des enfants tués lors des attaques de l’IDF ?
Oui, mais ce n’est pas la faute d’Israël. Hamas compte sur ces victimes innocentes, surtout les enfants, qu’il utilise comme chair à propagande. Sans ces morts, ils ne pourraient pas mobiliser les foules de manifestants en Occident, menés par des dirigeants qui exploitent cette souffrance pour renforcer leur pouvoir politique.

Les habitants de Gaza sont-ils responsables de ce qui se passe ?
Oui. Parce qu’ils savent où sont cachés les otages. Parce qu’ils connaissent le réseau de tunnels fortifiés construits sous leurs maisons, écoles, hôpitaux et mosquées : 700 km de bunkers armés. Pourtant, ils ne dénoncent rien. Ils sont des complices conscients, de véritables acteurs dans ce théâtre du mensonge.

Les Palestiniens se battent-ils pour leur terre ?
Non. S’ils le faisaient vraiment, ils auraient accepté la résolution de l’ONU prévoyant deux peuples et deux États. Ils auraient exigé que la trêve inclue la reconnaissance de la Palestine comme État. Au lieu de cela, ils combattent pour effacer Israël, comme ils le scandent dans nos rues : « du fleuve à la mer ».

Pourquoi ne libèrent-ils pas les otages ?
Parce que la guerre leur est utile. Ils ne veulent pas la paix : ils veulent la guerre médiatique contre Israël et les Juifs. Le vrai front n’est pas Gaza, mais nos propres rues.

Qui fournit aux médias occidentaux ces images poignantes de femmes et d’enfants palestiniens tués ?
Al Jazeera, la chaîne qatarie qui abrite Hamas. Et le « Ministère de la Santé » de Hamas, l’organisation même responsable du massacre du 7 octobre et de la prise d’otages. Ce ne sont pas des sources crédibles. Et le personnel palestinien des agences de l’ONU a été complice. Ainsi, les idiots utiles de l’Occident finissent par donner du crédit au bourreau, non à la victime.

Alors, qui tue réellement les civils et les enfants de Gaza ?
Vous.
Vous, dirigeants de gauche, qui par calcul électoral chevauchez le mensonge d’un « Israël génocidaire », en distinguant habilement antisémitisme et antisionisme.
Vous, journalistes qui, par malhonnêteté intellectuelle, n’informez pas : vous amplifiez la propagande de Hamas, peut-être financée par le Qatar.
Vous, citoyens ordinaires, étudiants, recteurs, qui suivez de mauvais maîtres sans vous poser de questions, vous comportant comme des idiots utiles, légitimant l’action terroriste.

Vous tous, vous avez les mains tachées du sang de ceux que vous prétendez vouloir défendre.
Parce qu’avec vos manifestations et votre silence, vous rendez plus facile pour Hamas de retenir les otages et de sacrifier les enfants.

Félicitations : vous êtes les véritables responsables moraux de ce qui se passe à Gaza.
Pas Israël, qui se défend. Pas Hamas, qui joue son jeu.
Vous : des criminels inconscients, par calcul politique ou par simple stupidité.

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