Il Risorgimento e il Sionismo:
due strade diverse verso la nascita di una nazione
Per capire
davvero il senso del sionismo come movimento identitario, può essere utile
ripartire dalla nostra storia nazionale, quella del Risorgimento. Le due
vicende hanno molti punti di contatto, ma si sviluppano seguendo logiche quasi
opposte. Ed è proprio questo contrasto che le rende interessanti.
L’Italia prima dell’Italia
Nel
Settecento la storia era un affare riservato ai filosofi, alle élite e ai
sovrani. Il popolo, inteso come comunità con tradizioni, lingua e usanze
comuni, non aveva ancora un ruolo nella narrazione storica. Era più spettatore
che protagonista.
Poi arriva
l’Ottocento, e con lui un vento nuovo. Nasce un’idea diversa di popolo: non una
massa indistinta, ma una comunità viva, con una voce, un carattere, una
missione. È il Romanticismo a dare questa svolta. Non a caso, proprio in quegli
anni filosofi come Herder parlano del Volksgeist, lo “spirito del
popolo”, un concetto che diventerà carburante per molti movimenti di
liberazione nazionali.
E l’Italia?
A quel tempo era solo una penisola fatta di regni, ducati, imperi stranieri.
Ognuno parlava il suo dialetto, seguiva le sue leggi, viveva la sua storia. La
gente non si sentiva “italiana”: si sentiva piemontese, veneta, toscana,
napoletana.
Eppure, proprio
in quell’epoca nasce nelle menti degli intellettuali l’idea di un’Italia
possibile. Prima nasce un sogno, poi un progetto, molto prima di vedere la
realtà.
Lenti che cambiano: dalla cultura alla politica
L’identità
italiana si costruisce a poco a poco.
Gli scrittori e i poeti le danno una lingua comune: Manzoni, Foscolo, Leopardi.
I pensatori politici, Mazzini su tutti, le danno una missione morale.
E infine i protagonisti della politica e della guerra, Cavour e Garibaldi, la
trasformano in un obiettivo concreto.
Potremmo
riassumere così: prima si immagina il popolo italiano, poi si costruisce
l’Italia.
E un momento
simbolico di questa nascita c’è: il 1831, quando Mazzini fonda a
Marsiglia la Giovine Italia. Per la prima volta viene formulato un
programma chiaro: un’Italia unita, libera dagli stranieri, repubblicana e
basata sulla volontà del popolo. È il primo vero progetto politico moderno
dell’unità.
Dal sogno alle armi: le guerre del Risorgimento
Tra il 1848
e il 1870 l’Italia vive una stagione in cui idealismo e guerra camminano fianco
a fianco.
La Prima
Guerra d’Indipendenza nasce sull’onda dei moti del ’48. Carlo Alberto guida il
Regno di Sardegna contro l’Austria, sostenuto dalle rivolte popolari di Milano
e Venezia. L’entusiasmo è grande, ma le sconfitte di Custoza e Novara chiudono
il primo tentativo.
Si riparte
nel 1859 con la Seconda Guerra d’Indipendenza. Questa volta Cavour punta sulla
diplomazia: si allea con la Francia di Napoleone III. L’Austria viene
sconfitta, la Lombardia entra nel Regno di Sardegna e, tramite plebisciti,
anche Toscana, Emilia e Romagna scelgono l’unione. È il momento in cui la mappa
comincia davvero a prendere forma.
Poi arrivano
gli anni di Garibaldi. Nel 1860 parte con mille volontari dalla Liguria e, in
pochi mesi, conquista Sicilia e Sud Italia, sospinto dalla speranza di
popolazioni stanche del regime borbonico. Quell’impresa straordinaria apre la
strada all’unificazione del Mezzogiorno sotto Vittorio Emanuele II.
Nel 1866
l’Italia entra nella guerra austro-prussiana. Anche qui i risultati militari
non sono brillanti, ma la vittoria della Prussia permette all’Italia di
ottenere il Veneto.
Infine, nel
1870, arriva Roma. Le truppe italiane entrano nello Stato Pontificio attraverso
la breccia di Porta Pia. La città viene annessa al Regno d’Italia e l’unità
territoriale può dirsi compiuta.
Ed ecco il parallelo con il Sionismo
Ora, se
guardiamo al sionismo, la differenza è immediata: l’Italia ha costruito un
popolo per arrivare allo Stato; il sionismo parte da un popolo già formato e
cerca di ricondurlo alla sua terra.
Gli ebrei,
infatti, avevano da millenni:
- una tradizione religiosa coesa,
- una lingua comune,
- una memoria storica condivisa,
- un’identità fortissima,
sopravvissuta anche alla diaspora.
Quando Herzl
e gli altri fondano il sionismo moderno, non devono “inventare” un popolo:
devono dargli una patria. È un percorso inverso a quello italiano.
Due storie, un desiderio comune
Alla fine,
Risorgimento e Sionismo raccontano la stessa aspirazione: il bisogno di un
popolo di vivere secondo la propria identità.
Ma lo fanno
percorrendo due sentieri diversi:
- l’Italia immagina un’identità nazionale
e poi la trasforma in realtà politica;
- gli ebrei custodiscono un’identità
millenaria e la trasformano in uno Stato moderno.
Due strade
diverse, entrambe mosse da una forza che l’Ottocento riscopre con passione:
l’idea che un popolo, per essere davvero se stesso, debba avere una casa dove
vivere la propria storia.
Una nota di colore: La tradizione storica più accreditata racconta che il
primo colpo di cannone contro Porta Pia fu sparato da un soldato ebreo.
Il nome che
ricorre nelle fonti è quello dell’artigliere Giacomo (o Giacomo “Jacob”)
Segre, appartenente alla 5ª batteria del 9º Reggimento Artiglieria da
Campagna del Regno d’Italia.
Segre, proveniente da una famiglia ebraica piemontese, è ricordato come il
cannoniere che diede l’avvio al fuoco che aprì la celebre breccia di Porta Pia
il 20 settembre 1870, permettendo alle truppe italiane di entrare a Roma. L’episodio
è rimasto simbolico perché un soldato ebreo contribuì in modo diretto alla
presa della città che, fino a quel momento, era il centro del potere temporale
della Chiesa.
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