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domenica 11 maggio 2025

Il Genocidio degli armeni

 



Armenia, 1915. Ma il tempo non ha chiuso quella ferita

Cento anni non bastano per seppellire la verità. Il genocidio armeno – il massacro sistematico di oltre un milione e mezzo di armeni cristiani da parte dell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916 – resta un crimine senza giustizia. Nonostante l’ampia documentazione, le testimonianze oculari, le foto degli ufficiali tedeschi e persino gli ordini scritti dai vertici ottomani, la Turchia moderna continua a negare. E nel 2025, quel rifiuto pesa più che mai.

Dietro la parola “negazionismo” si cela una strategia politica raffinata, radicata in un nazionalismo che non ammette colpe né memoria. È qui che storia e geopolitica si incrociano, in un labirinto di alleanze, tensioni internazionali e silenzi diplomatici. Per Ankara, il genocidio armeno non è mai esistito: le morti sarebbero state la conseguenza tragica della guerra civile e delle epidemie. Ma gli archivi – quelli turchi compresi – raccontano altro.

Negli ultimi anni, alcuni governi hanno deciso di rompere l’omertà. Gli Stati Uniti, nel 2021, hanno fatto il passo che molti attendevano da decenni: con una dichiarazione ufficiale, il presidente Biden ha usato la parola proibita, “genocidio”. Una mossa simbolica e politica, accolta con rabbia dal governo turco. Anche Germania, Francia, Italia e altri Paesi europei hanno formalizzato il loro riconoscimento. Ma a quale prezzo?

Ogni pronunciamento innesca ritorsioni: ambasciatori richiamati, rapporti economici congelati, proteste ufficiali. Il genocidio armeno è divenuto un test di coerenza per la politica estera globale. Una linea rossa che separa la diplomazia dalla verità.

Ma le ripercussioni non si fermano agli uffici dei ministeri. In Armenia, il ricordo del genocidio ha ritrovato nuova forza nel conflitto con l’Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh. Dopo la guerra del 2020 e la perdita di territori storici, molti armeni hanno avvertito un déjà-vu inquietante: la sensazione di essere di nuovo minacciati, isolati, dimenticati. Il coinvolgimento diretto della Turchia a fianco dell’Azerbaigian ha alimentato una narrativa che lega passato e presente, memoria e geopolitica. Per molti armeni, quella guerra non è solo per un lembo di terra: è il seguito mai chiuso del 1915.

Eppure, la memoria resiste. Lo fa attraverso la diaspora armena, sparsa tra Parigi, Beirut, Los Angeles, Mosca. Ogni anno, il 24 aprile, migliaia di persone sfilano con candele, immagini e cartelli per chiedere ciò che dovrebbe essere scontato: il riconoscimento. Nelle scuole, nei musei, nei teatri, nelle università, la storia del genocidio viene trasmessa come patrimonio e come missione. Perché dimenticare, dicono in molti, sarebbe come uccidere due volte.

Ma non tutti hanno il privilegio di parlare liberamente. In Turchia, chi osa pronunciare la parola “genocidio” rischia. Studiosi come Taner Akçam, uno dei pochi storici turchi ad aver rotto il silenzio, vivono sotto scorta, tra minacce e processi. Scrivere la verità, lì, è un atto di coraggio.

E allora la domanda è: perché tutto questo silenzio? Perché così pochi governi, così pochi intellettuali, così pochi giornalisti si confrontano con questa pagina della storia? La risposta è scomoda, ma necessaria. Perché riconoscere un genocidio significa incrinare alleanze, disturbare equilibri, compromettere interessi strategici.

Eppure, l’eco di quella marcia nel deserto, di quei treni piombati, di quei villaggi armeni rasi al suolo, è ancora qui. E finché non ci sarà giustizia, il genocidio armeno non apparterrà solo al passato. Apparterrà a noi.

sabato 17 agosto 2024

La Tregua secondo l'Islam?



La tregua non è la pace. 

La tregua è una pausa per poi riprendere successivamente le ostilità. 

La prima tregua con Quraysh fu concordata da Maometto a seguito della sua sconfitta per consentirgli di recuperare le forze e saccheggiare, vicino Medina, una colonia ebraica che ospitava la tribù Ebraica dei Banu an-Nadir. La tregua di Hudaybiyyah viene considerata dagli esegeti dell’Islam un’abile strattagemma politico: fare pace con un avversario i quel momento troppo forte per recuperare le forze e concentrarsi su un altro piú debole, per poi tornare alla carica non appena ci sono i presupposti per una vittoria. 

Nell'805 d.C. Costantino firmo una tregua con  Ibrāhīm ibn al-Aghlab emiro delle province romane dell'africa. Questa tregua non impedì ai musulmani di attaccare la Sicilia, la Sardegna e cosi la storia si sviluppa nel tempo, tregue e guerre. 

La pace con i cristiani e gli ebrei non è contemplata nell'islam, ma le tregue si, perché consentono di riorganizzarsi per il successivo scontro; quante tregue furono stabilite con i leader palestinesi? Nonostante le tregue, attentati terroristici, lanci di razzi ecc. Ciò che non comprende la società occidentale è che non sarà mai possibile una pace in Palestina, perché l'obiettivo dei paesi arabi non è la formazione di due stati per due popoli, ma la cancellazione dello stato sionista di Israele. Semmai si raggiungerà una tregua a Gaza, questa non sarà finalizzata alla pace, ma alla riorganizzazione per un'ennesima aggressione. Perché la tregua sia propedeutica alla pace è necessario che i paesi membri della Lega Araba riconoscano definitivamente lo stato di Israele (cambiando il loro statuto), allora si che la tregua sarebbe una fase per raggiungere la pace. 

Quando il 29/11/1947 l'ONU approvò a maggioranza di 2/3 la spartizione della Palestina in uno stato ebraico ed in uno stato arabo, il piano fu osteggiato dagli arabi, infatti Israele non intrattiene relazioni diplomatiche con stati arabi eccetto la Turchia. Quando il 14/05/1948 fu fondato lo stato di Israele vi fu subito dopo nel 15/05/1948 la prima aggressione degli arabi Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, Arabia Saudita, Yemen  con l'obiettivo di creare lo stato arabo Palestinese non riconoscendo la spartizione dell'ONU. In occasione di questa aggressione araba gli israeliani riuscirono ad espandere il territorio anche ad aree inizialmente assegnata agli arabi. Gli Israeliani si insediarono legittimamente su alcuni territori a seguito di una guerra di aggressione mossa loro. Durante questo conflitto ci furono 3 tregue.

Nel 1963 Israele fu attaccata da parte Egitto, Siria e Giordania, conosciuta come Guerra di Yon Kippur; anche questa volta Israele respinse gli attacchi ed avanzò in territorio conteso, ma fu costretto ancora una volta al ritiro dalle grandi potenze. 

Nel 1964 nasce l'OLP con l'obiettivo di eliminare Israele. Egitto e Giordania aggredirono Israele nota con la guerra dei 5 giorni (5-10 giugno 1967)  Israele vinse e acquisì altri territori. L'ONU con la risoluzione 242 condannava le occupazioni israeliane, ma Israele e l'OLP non riconobbero la risoluzione. In questo periodo ci furono tregue imposte dalla comunità internazionale. Yasser Arafat presidente dell'OLP (1968) scelse la via terroristica come metodo di lotta. 

Il 26 marzo 1979 presidente egiziano Sadat, in seguito alla mediazione americana  firmò gli accordi di Camp Daviduna storica pace con Israele. Sadat fu infatti ucciso nel 1981 dai fondamentalisti islamici della Jihad. Da questo momento la guerra Araba-Israeliana prosegue con gli attentati terroristici, dirottamenti di aerei e navi. Tutto questo per non riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele.

L'Italia e la Germania a seguito della sconfitta della 2 guerra mondiale cedettero terre, Israele a seguito diverse guerre di aggressione ha acquisito nuovi territori, ma non si tratta di occupazione ma di terre contese. La Carta delle Nazioni Unite, adottata nel 1945, stabilisce il principio del rispetto della sovranità territoriale e dell'integrità politica degli Stati, ma gli Stati Arabi non accettarono la spartizione non riconoscendo lo stato di Israele, impedendo di fatto la nascita dello stato della Palestina determinando una situazione ibrida

Israele legittimamente ha acquisito un territorio rifiutato dagli Arabi perché la ripartizione ONU non è condivisa e quindi prevale la storia, e storicamente le terre contese sono ebraiche anche se hanno subito diverse occupazioni, 1000 anni a.C. Re Davide occupo Gerusalemme (poi ci furono persiani, greci, romani,) e nel 600 d.C. fu occupata dai Musulmani, ma gli ebrei continuavano ad esistere anche sotto l'occupazione ottomana e il protettorato inglese. Oggi dopo il riconoscimento dello Stato di Israele e il rifiuto degli Arabi legittimamente Israele amministra quei territori. 

Io non credo che possa esistere un tregua per la pace, perché non è contemplata nel pensiero islamico, che concepisce una tregua solo come una pausa per riorganizzarsi e riprendere la guerra fino alla vittoria.

Ora davanti alla storia ed agli eventi di oggi esistono tre categorie di persone: coloro che per posizione ideologia sono antisionisti (semiti sono anche gli arabi) e quindi si alimentano delle ragioni di coloro che auspicano la cancellazione di Israele, e questa posizione è chiara; i sostenitori di Israele perché hanno conoscenza della storia del precedente secolo e che desiderano ricercare un equilibrio che porti alla pace; gli idioti, coloro che fanno proprie le ragioni antisioniste perché in modo acritico, sposano la causa di Hamas e del genocidio. 

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domenica 21 aprile 2024

Il boicottaggio delle Università Italiane nei confronti di quelle Israeliane

 



Lettera aperta ai Rettori che hanno accettato o promosso il boicottaggio delle Istituzioni Universitarie Israeliane

Se è vero che la cultura e lo sport dovrebbero essere espressione dell'umanità e contribuire al dialogo, il boicottaggio di Atenei impegnati nella ricerca scientifica e degli atleti in caso di conflitti (ora Russo-Uraina e Israele - Palestinese) costituiscono un arretramento etico nei confronti del "concetto di Pace". Coloro che promuovono la pace non possono promuovere il boicottaggio. 

Nel caso delle Università italiane e di altri paesi che boicottano le istituzioni Universitarie Israeliane ed i reciproci progetti di ricerca non solo danno un segnale non di "indipendenza della cultura" ma di "rottura" che non ha precedenti se consideriamo che le nostre Università cooperano e collaborano, come è giusto che sia, con Istituzioni culturali di tutto il mondo indipendentemente dal fatto che appartengano a paesi che violano costantemente le libertà individuali dei loro cittadini.

La Cina,...è considerata responsabile di crimini contro i suoi stessi cittadini[1]. La situazione dei diritti umani nella Repubblica Popolare internazional Cinese continua a subire numerose critiche da parte della maggior parte delle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani che riportano numerose testimonianze di abusi ben documentati in violazione delle norme (fonte https://osservatorioterzosettore.fandom.com). Non parliamo dell'Iran, dove ...diritti Lgbt violati da Stato e famiglia (fonte https://www.osservatoriodiritti.it). Questo per fare alcuni esempi. A fronte di queste evidenze, i rettori delle Università che boicottano le Università israeliane, di un paese dove esiste l'unica democrazia del medio-oriente dove sono tutelati diritti delle minoranze religiose e sessuali (LGBT). Boicottano università che danno il maggior contributo alla ricerca in campo medico e tecnologico dove a perdere da questo boicottaggio sono solo le nostre università. Questi boicottaggi sono chiaramente un segno di antisemitismo e di incitazione all'odio.

Purtroppo queste posizioni di taluni rettori ci devono far riflettere la grave politicizzazione delle nostre università dove la sinistra ha seminato docenti non certo per merito, facendo perdere credibilità alle nostre istituzioni universitarie, e sul cattivo segnale che essi danno ai nostri giovani degradando la cultura a mezzo di strumentalizzazione politica e non di elevazione del libero pensiero. A questo punto dobbiamo pensare se questa caduta di livello dei rettori e dei docenti universitari sia frutto di un processo ideologico o di finanziamenti di dubbia provenienza. 

Erminio Petronio




venerdì 1 marzo 2024

Lo stupro e l'islam

 

 

 

Il 17 Luglio del  2023 a Palermo si consuma uno orrendo stupro di gruppo da parte di 7 ragazzi italiani ai danni di una ragazza di 19 anni. Stupro di una ragazzina di 13 anni a Catania da parte di 7 egiziani. Ovviamente i media hanno dato molto rilievo alla vicenda di Palermo perché erano italiani e scarso rilievo alla vicenda di Catania perché erano immigrati arabi in un centro di accoglienza. In questo articolo desidero sottolineare le differenze ferme restando che si tratta sempre di un orribile crimine. 

Con un post del 19/08/2023 l'associazione di Palermo Le Onde ETS esprimono solidarietà alla vittima. A Catania un esempio l'associazione Thamaia denuncia la circostanza il  28/02/2024 su Catania Today. Alle associazioni femminili generalmente militanti di sinistra sfugge una differenza: la cultura di provenienza. Infatti l'evento di Catania è quasi ignorato dalle TV e dai Giornalisti perché si teme che parlare di stupratori tunisini o egiziani  possa creare un preconcetto sui "rifugiati" ospiti di un centro di accoglienza. 

La questione è un'altra, che non si tratta di un problema che riguarda gli ospiti di una struttura di accoglienza ma di cultura islamica. I criminali italiani di Palermo hanno si stuprato perchè erano in preda all'alcol o alle droghe o altro. Ma loro sapevano e sanno che è un atto criminale e le famiglie di appartenenza vivranno con vergogna l'azione dei loro figli e pagheranno per la loro BRAVATA CRIMINALE. I giovani arabi di Catania no.  E' parte della loro cultura islamica stuprare donne non musulmane. Secondo Suad Salih, professoressa all’università di al Azhar, possedere le mogli del nemico per il proprio piacere durante la guerra è lecito ed autorizzato dall’islam.  Secondo i giuristi di Daesh, nell'islam, è permesso vendere, comprare o offrire donne schiave, anche bambine. Perché giustificare questi crimini selvaggi contro esseri umani solo perché essi non sono musulmani? Queste affermazioni devono far riflettere e non sottovalutare il fenomeno degli stupri ad opera di immigrati musulmani (https://www.asianews.it/notizie-it/Imam-Drouiche:-Lo-stupro-di-cristiane-e-yazide-non-si-pu%C3%B2-considerare-un-diritto-islamico-(I)-42986.html). Loro vedranno come un atto di giustizia l'zione che hanno compito e le sentenze del tribunale lasciandoli a piede libero la prenderanno come una debolezza del sistema.

domenica 18 febbraio 2024

La lega araba e la palestina


Lega Araba: cooperazione, politica e un’agenda che divide

La Lega Araba nasce ufficialmente il 22 marzo 1945 – come confermato dal portale ufficiale legaaraba.org – anticipando persino la fondazione delle Nazioni Unite. La missione dichiarata: promuovere la cooperazione tra i Paesi arabi. Fin qui, tutto sembra rientrare nella normale dinamica delle alleanze regionali.

Ma una lettura più attenta dei documenti costitutivi e della struttura organizzativa solleva interrogativi scomodi. Tra gli obiettivi politici, la Lega evidenzia accordi di cooperazione non solo con le Nazioni Unite, ma anche con l’Organizzazione per l’Unità Africana e l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Quest’ultimo dettaglio è cruciale: l’orientamento politico-religioso dell’istituzione sembra assumere una connotazione chiaramente islamica, escludendo rapporti formali di consultazione con altre confessioni religiose presenti nei Paesi membri, come cristianesimo ed ebraismo.

La struttura interna della Lega rende ancora più evidente questa impostazione. Due dipartimenti spiccano per il loro peso politico: il “Dipartimento Generale degli Affari della Palestina” e il “Bureau Principale per il Boicottaggio di Israele”. Una combinazione che suggerisce una linea di condotta ben precisa e un’interpretazione della questione mediorientale che va oltre la semplice diplomazia.

Secondo alcuni analisti, questa impostazione non è neutrale: sembrerebbe puntare a un progetto di lungo termine volto a ridefinire il Medio Oriente, marginalizzando la presenza ebraica e rafforzando l’egemonia islamica. Non si tratterebbe dunque solo di cooperazione regionale, ma di una strategia politico-religiosa che arriva a influenzare persino il dibattito globale.

E qui la questione diventa internazionale. I Paesi arabi membri della Lega siedono alle Nazioni Unite con posizioni politiche e religiose già delineate, influenzando la narrativa storica e politica che arriva all’opinione pubblica occidentale. Mentre in Europa e negli Stati Uniti si parla di dialogo e convivenza, flussi di denaro – provenienti anche da Paesi legati all’islamismo radicale – finanziano università di prestigio (Harvard è uno degli esempi più citati) e centri culturali, contribuendo a plasmare il dibattito accademico e mediatico.

Il risultato? Un racconto che rischia di occultare i lati più controversi della vicenda. Secondo fonti critiche, questo ha favorito anche il lavoro di agenzie internazionali come l’UNHCR, accusate di aver indirettamente finanziato Hamas tramite stipendi e aiuti, consentendo a quest’ultima di costruire una rete sotterranea di tunnel a Gaza lunga oltre 700 chilometri, spesso sotto ospedali, scuole e luoghi di culto. Risorse che, secondo le accuse, sarebbero state dirottate da aiuti umanitari destinati ai civili a scopi militari e terroristici.

Il vero nodo della questione, per molti osservatori, non è quindi una disputa territoriale risolvibile con la formula “due popoli, due Stati”, ma un conflitto ideologico e religioso. Una guerra a più fasi: prima contro gli ebrei, poi contro i cristiani e, secondo questa lettura, in prospettiva contro altri modelli di società. Una prospettiva che, se confermata, renderebbe la tanto invocata soluzione a due Stati una mera illusione diplomatica.


venerdì 16 febbraio 2024

L'islamizzazione dell'Occidente



L’Europa e la sfida dell’islamizzazione: tra libertà religiosa e rischio ideologico

In tutta Europa la presenza di moschee e luoghi di culto islamici è in costante crescita. Oggi se ne contano circa 1.800 nel Regno Unito, 2.500 in Francia, 1.000 in Spagna, 800 in Italia e oltre 2.600 in Germania. Un fenomeno in espansione che, se da un lato è espressione del diritto alla libertà religiosa, dall’altro solleva interrogativi sul futuro assetto sociale e culturale del continente.

Un monito in tal senso arrivava già oltre vent’anni fa dal Sinodo dei Vescovi per l’Europa. In quella sede, Mons. Giuseppe Germano Bernardini, arcivescovo di Izmir, riportò la convinzione di diversi leader musulmani: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». Un messaggio, ribadito anche da altri esponenti religiosi, che interpretava l’avanzata dell’Islam non come una semplice questione di pluralismo religioso, ma come un disegno politico-culturale.

Secondo alcuni osservatori, il processo di islamizzazione non si limita alla sfera spirituale ma procede su più fronti: dalla jihad alla leva demografica, fino ai finanziamenti per la promozione culturale e per lo sviluppo di attività economiche legate al mondo islamico. Il punto critico – sostengono i critici – non è la presenza dell’Islam in sé, ma l’assenza di una chiara visione laica nella sua dimensione politica. Ciò rischierebbe di trasformare le società ospitanti, sfruttando i meccanismi democratici, fino a raggiungere una posizione dominante quando la presenza musulmana diventerà socialmente ed economicamente rilevante.

Il dibattito si intreccia oggi con la questione palestinese, che ha riacceso manifestazioni e proteste in tutta Europa. Molti movimenti progressisti, nel loro sostegno alla causa palestinese, rischiano – secondo alcuni analisti – di sposare in modo acritico un’idea di società che non necessariamente garantisce la parità di diritti tra uomini e donne, la libertà sessuale e la tutela delle minoranze. La sinistra, nel suo impegno per i diritti umani, sarebbe così esposta a una manipolazione ideologica che strumentalizza la retorica dell’integrazione e dell’antirazzismo.

In questo contesto, la domanda centrale resta aperta: l’Europa sta davvero costruendo una società pluralista e inclusiva, o sta sottovalutando i rischi di un cambiamento culturale che potrebbe minare i suoi stessi valori democratici?


Papa Leone XIV sceglie di inaugurare il suo pontificato a Nicea

Il neoeletto Papa Leone XIV sceglie di inaugurare il suo pontificato con una visita pastorale a Nicea, come se bastasse tornare sul luogo de...