Israele: 4.000 anni di storia e il filo rosso di una presenza mai interrotta
Nel dibattito contemporaneo sul Medio Oriente, la memoria storica gioca un ruolo cruciale. Mentre le piazze si riempiono di slogan e semplificazioni, vale la pena fermarsi a guardare i dati storici e archeologici, che raccontano un legame tra il popolo ebraico e la terra di Israele lungo quasi quattro millenni.
Riprendiamo una cronologia essenziale, spesso dimenticata, che ricostruisce la continuità della presenza ebraica su quel territorio:
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1900 a.C. – Abramo, secondo la tradizione biblica, viene scelto da Dio come patriarca del popolo ebraico.
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1850 a.C. – Giacobbe, nipote di Abramo, guida le tribù di Israele.
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1400 a.C. – Mosè libera gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto e li guida verso la “terra promessa”.
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1010 a.C. – Re Davide unisce le dodici tribù e stabilisce Gerusalemme come capitale.
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970 a.C. – Salomone, figlio di Davide, costruisce il Primo Tempio, cuore spirituale dell’ebraismo.
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722-586 a.C. – Le due monarchie ebraiche cadono prima sotto l’Assiria e poi sotto Babilonia. Gerusalemme viene distrutta e la popolazione deportata, ma la memoria e il legame con la terra non si spezzano.
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539-520 a.C. – I persiani conquistano Babilonia e permettono il ritorno degli esuli e la ricostruzione del Tempio.
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333 a.C. - 70 d.C. – La regione passa di mano più volte: Greci, Tolomei, Seleucidi e infine Romani, che distruggono il Secondo Tempio nel 70 d.C. Ma anche in questa fase, comunità ebraiche continuano a vivere in Israele.
Dopo la caduta di Gerusalemme, il territorio fu governato da Bizantini, Arabi, Crociati, Mamelucchi, Ottomani e infine dagli Inglesi sotto mandato britannico. Eppure, fonti storiche e testimonianze archeologiche attestano che non c’è mai stato un periodo in cui gli ebrei fossero del tutto assenti dalla regione.
La continuità non è solo fisica, ma culturale e spirituale: comunità che sopravvivono, sinagoghe che vengono ricostruite, pellegrinaggi che continuano nei secoli. L’ebraismo mantiene un legame indissolubile con la sua terra, anche in esilio.
Nel 1948, dopo la Seconda guerra mondiale e la Shoah, l’ONU vota la nascita dello Stato di Israele. Per il popolo ebraico, non fu la “concessione” di una terra, ma il riconoscimento internazionale di un legame storico e identitario.
Alla luce di questi dati, le rivendicazioni che negano il diritto degli ebrei a vivere in Israele appaiono storicamente deboli. Non si tratta di propaganda: la presenza ebraica è documentata da secoli di fonti storiche, testi religiosi, cronache romane e arabe, reperti archeologici.
Il cuore del conflitto odierno non è solo politico, ma narrativo: si tratta di chi controlla la storia. Ridurre la questione a uno “scontro territoriale” rischia di oscurare una realtà molto più complessa, che riguarda identità, fede e la sopravvivenza stessa di un popolo.
Il reportage si chiude con un invito, più che con una conclusione: ricostruire i fatti, studiare la storia e leggere le fonti originali. Solo così l’opinione pubblica potrà emanciparsi dalle semplificazioni e dai falsi storici che alimentano l’odio.





