Dunque che
cosa è Il sionismo?
Non nasce
all’improvviso: è il risultato di una lunga storia identitaria e, allo stesso
tempo, di una svolta politica avvenuta nell’Ottocento. Possiamo immaginarlo
come un fiume che scorre da millenni, ma che nell’età moderna prende una nuova
forma, più organizzata e consapevole.
Le radici
antiche: un popolo già connesso alla sua terra
Per capire
il sionismo, bisogna partire da un fatto semplice:
il popolo ebraico ha sempre avuto un legame fortissimo con la Terra d’Israele,
non solo politico, ma spirituale, culturale e identitario. Nella Bibbia, nelle
preghiere, nelle festività, nelle liturgie, ricorre continuamente l’idea di: una
terra promessa, un luogo d’origine, un ritorno possibile (“l’anno prossimo a
Gerusalemme”). Anche dopo la diaspora, gli ebrei non hanno mai smesso di
considerare quella terra come il loro centro simbolico. Questa continuità è ciò
che rende diverso il percorso ebraico rispetto a molti nazionalismi europei
dell’Ottocento: qui non si deve creare un popolo, perché il popolo esiste già.
L’Ottocento:
modernità, antisemitismo e Risorgimenti nazionali
Arriviamo
ora al vero punto di svolta. L’Ottocento è il secolo dei nazionalismi:
italiani, greci, ungheresi, tedeschi, polacchi. Tutti i popoli d’Europa
iniziano a chiedersi: "Chi siamo? Dove vogliamo essere? A quale terra
apparteniamo?" Gli ebrei, però, vivono una situazione diversa. Da un
lato iniziano finalmente ad emanciparsi: ottengono diritti civili, accedono
all’università, partecipano alla vita culturale e politica delle nuove nazioni,
dall’altro lato, l’antisemitismo si rafforza, soprattutto nell’Europa
centro-orientale e nella Russia zarista, dove esplodono pogrom, persecuzioni e
discriminazioni. Molti ebrei si accorgono che la promessa dell’integrazione non
regge. L’idea comincia a circolare: per essere sicuri, liberi e pienamente
se stessi, dobbiamo avere una nostra terra.
I pionieri
del pensiero sionista
Prima di
Herzl ci sono diversi pensatori che iniziano a parlare di un ritorno in Terra
d’Israele:
- Rabbi Yehuda Alkalai e Rabbi Zvi Hirsch
Kalischer (primi teorici religiosi)
- Moses Hess, socialista e amico di Marx,
autore nel 1862 di Roma e Gerusalemme, che propone un nazionalismo
ebraico moderno
- i primi gruppi di immigrati (i proto-sionisti)
che raggiungono la Palestina ottomana nella seconda metà dell’Ottocento
Questi movimenti sono ancora spontanei, frammentati, non organizzati. Il
passo decisivo arriva con una persona precisa. Theodor Herzl: il fondatore del
sionismo moderno. Il “padre” politico
del sionismo è Theodor Herzl, un giornalista ebreo austro-ungarico assimilato,
laico, cresciuto più nella cultura europea che in quella tradizionale ebraica. Tutto
cambia quando assiste al famoso Affare Dreyfus in Francia (1894): un ufficiale
ebreo viene ingiustamente accusato di tradimento, e nelle piazze esplodono
manifestazioni antisemite violentissime. Herzl capisce una cosa radicale:
«L’assimilazione non ci proteggerà. Per vivere liberi dobbiamo avere una nostra
patria.»
Nel 1896
scrive Der Judenstaat (Lo Stato degli Ebrei), un manifesto che
afferma:
- gli ebrei sono un popolo,
- come ogni popolo hanno diritto
a una patria,
- l’unica patria possibile è la
Terra d’Israele.
L’anno dopo,
nel 1897, organizza a Basilea il Primo Congresso Sionista. È lì che
nasce ufficialmente il movimento sionista moderno, con un programma
chiaro: creare una casa nazionale per il popolo ebraico in Eretz Israel. Herzl
annota nel suo diario una frase diventata celebre: «A Basilea ho fondato lo
Stato ebraico. Forse non lo dirò pubblicamente oggi, ma tra cinque, dieci o
cinquanta anni tutti lo capiranno.» 47 anni dopo, nel 1948, nasce lo Stato
d’Israele.
Perché il
sionismo è diverso dagli altri nazionalismi?
La
differenza fondamentale è questa:
- I movimenti nazionali europei
(come il Risorgimento italiano)
creano un’identità per poi creare uno Stato. - Il sionismo, al contrario,
parte da un’identità già fortissima e cerca una patria per esprimerla pienamente.
Gli italiani
dell’Ottocento dovevano “immaginare” un popolo comune; gli ebrei lo possedevano
già. Dunque la seconda domanda è: perché negare agli ebrei una patria quando
tutti i popoli europei hanno nello stesso periodo combattuto per i loro paesi?
Perché gli ebrei sono odiati per il solo fatto di essere ebrei.
L’ostilità verso gli ebrei affonda le radici in una serie di falsità che,
nel corso dei secoli, sono state ripetute e amplificate da varie entità per
motivi di potere e controllo. La prima grande menzogna è quella del “deicidio”,
diffusa per secoli anche in ambienti della Chiesa Cattolica quando questa, più
che un’autorità spirituale, agiva come forza politica e di dominio su
popolazioni spesso prive di istruzione. In quel contesto, la comunità ebraica –
molto legata allo studio e dotata di una forte identità – veniva percepita come
una possibile minaccia.
La seconda grande falsità è quella de “I Protocolli dei Savi di Sion”, un testo
costruito a tavolino dalla polizia zarista per far credere all’esistenza di un
complotto ebraico mondiale. Un vero e proprio falso storico, diffuso per
manipolare l’opinione pubblica e orientarne l’odio. Oggi lo definiremmo una
“fake news”, ma all’epoca fu presa sul serio, alimentando antisemitismo fino
alla Germania nazista e, in seguito, anche nell’Italia fascista.
L’ignoranza delle masse e la propaganda
martellante hanno fatto sì che queste menzogne si rafforzassero a vicenda,
giustificando persecuzioni e discriminazioni. L’idea che gli ebrei, grazie alla
loro cultura e alla loro identità ben radicata, potessero rappresentare un
ostacolo ai progetti di chi cercava di controllare le popolazioni ha giocato un
ruolo decisivo.
Oggi, però, abbiamo strumenti nuovi. Grazie ai
social e alla possibilità di informarsi in modo più diretto, è diventato più
difficile cadere in certe manipolazioni storiche.
Questo è importante anche perché la nostra
civiltà occidentale, fondata su valori giudeo-cristiani, si trova a
confrontarsi con nuove sfide: da un lato l’espansione dell’islamismo radicale,
dall’altro alcune correnti ideologiche progressiste che, in nome dei diritti,
facilitano flussi migratori senza sempre considerarne le conseguenze sociali e
politiche. A questo si aggiunge una parte della destra antisionista che, non
comprendendo il sionismo come un progetto di autodeterminazione e non di
dominio, finisce per sposare narrazioni che vengono strumentalizzate
dall’islamismo radicale stesso.
Così accade che una parte della destra finisca
per appoggiare automaticamente la causa palestinese senza rendersi conto che,
in questo modo, rischia di favorire proprio quelle forze che si oppongono ai
valori che essa intende difendere. Anche qui agiscono nuove “fake news”, come
quelle che parlano impropriamente di genocidio, usate per alimentare ostilità e
confusione.
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