mercoledì 26 novembre 2025

Lettera aperta agli antisionisti di destra– Parte VI

 


Dunque che cosa è Il sionismo?

Non nasce all’improvviso: è il risultato di una lunga storia identitaria e, allo stesso tempo, di una svolta politica avvenuta nell’Ottocento. Possiamo immaginarlo come un fiume che scorre da millenni, ma che nell’età moderna prende una nuova forma, più organizzata e consapevole.

Le radici antiche: un popolo già connesso alla sua terra

Per capire il sionismo, bisogna partire da un fatto semplice:
il popolo ebraico ha sempre avuto un legame fortissimo con la Terra d’Israele, non solo politico, ma spirituale, culturale e identitario. Nella Bibbia, nelle preghiere, nelle festività, nelle liturgie, ricorre continuamente l’idea di: una terra promessa, un luogo d’origine, un ritorno possibile (“l’anno prossimo a Gerusalemme”). Anche dopo la diaspora, gli ebrei non hanno mai smesso di considerare quella terra come il loro centro simbolico. Questa continuità è ciò che rende diverso il percorso ebraico rispetto a molti nazionalismi europei dell’Ottocento: qui non si deve creare un popolo, perché il popolo esiste già.

L’Ottocento: modernità, antisemitismo e Risorgimenti nazionali

Arriviamo ora al vero punto di svolta. L’Ottocento è il secolo dei nazionalismi: italiani, greci, ungheresi, tedeschi, polacchi. Tutti i popoli d’Europa iniziano a chiedersi: "Chi siamo? Dove vogliamo essere? A quale terra apparteniamo?" Gli ebrei, però, vivono una situazione diversa. Da un lato iniziano finalmente ad emanciparsi: ottengono diritti civili, accedono all’università, partecipano alla vita culturale e politica delle nuove nazioni, dall’altro lato, l’antisemitismo si rafforza, soprattutto nell’Europa centro-orientale e nella Russia zarista, dove esplodono pogrom, persecuzioni e discriminazioni. Molti ebrei si accorgono che la promessa dell’integrazione non regge. L’idea comincia a circolare: per essere sicuri, liberi e pienamente se stessi, dobbiamo avere una nostra terra.

I pionieri del pensiero sionista

Prima di Herzl ci sono diversi pensatori che iniziano a parlare di un ritorno in Terra d’Israele:

  • Rabbi Yehuda Alkalai e Rabbi Zvi Hirsch Kalischer (primi teorici religiosi)
  • Moses Hess, socialista e amico di Marx, autore nel 1862 di Roma e Gerusalemme, che propone un nazionalismo ebraico moderno
  • i primi gruppi di immigrati (i proto-sionisti) che raggiungono la Palestina ottomana nella seconda metà dell’Ottocento

Questi movimenti sono ancora spontanei, frammentati, non organizzati. Il passo decisivo arriva con una persona precisa. Theodor Herzl: il fondatore del sionismo moderno.  Il “padre” politico del sionismo è Theodor Herzl, un giornalista ebreo austro-ungarico assimilato, laico, cresciuto più nella cultura europea che in quella tradizionale ebraica. Tutto cambia quando assiste al famoso Affare Dreyfus in Francia (1894): un ufficiale ebreo viene ingiustamente accusato di tradimento, e nelle piazze esplodono manifestazioni antisemite violentissime. Herzl capisce una cosa radicale: «L’assimilazione non ci proteggerà. Per vivere liberi dobbiamo avere una nostra patria.»

Nel 1896 scrive Der Judenstaat (Lo Stato degli Ebrei), un manifesto che afferma:

  • gli ebrei sono un popolo,
  • come ogni popolo hanno diritto a una patria,
  • l’unica patria possibile è la Terra d’Israele.

L’anno dopo, nel 1897, organizza a Basilea il Primo Congresso Sionista. È lì che nasce ufficialmente il movimento sionista moderno, con un programma chiaro: creare una casa nazionale per il popolo ebraico in Eretz Israel. Herzl annota nel suo diario una frase diventata celebre: «A Basilea ho fondato lo Stato ebraico. Forse non lo dirò pubblicamente oggi, ma tra cinque, dieci o cinquanta anni tutti lo capiranno.» 47 anni dopo, nel 1948, nasce lo Stato d’Israele.

Perché il sionismo è diverso dagli altri nazionalismi?

La differenza fondamentale è questa:

  • I movimenti nazionali europei (come il Risorgimento italiano)
    creano un’identità per poi creare uno Stato.
  • Il sionismo, al contrario,
    parte da un’identità già fortissima e cerca una patria per esprimerla pienamente.

Gli italiani dell’Ottocento dovevano “immaginare” un popolo comune; gli ebrei lo possedevano già. Dunque la seconda domanda è: perché negare agli ebrei una patria quando tutti i popoli europei hanno nello stesso periodo combattuto per i loro paesi? Perché gli ebrei sono odiati per il solo fatto di essere ebrei.

L’ostilità verso gli ebrei affonda le radici in una serie di falsità che, nel corso dei secoli, sono state ripetute e amplificate da varie entità per motivi di potere e controllo. La prima grande menzogna è quella del “deicidio”, diffusa per secoli anche in ambienti della Chiesa Cattolica quando questa, più che un’autorità spirituale, agiva come forza politica e di dominio su popolazioni spesso prive di istruzione. In quel contesto, la comunità ebraica – molto legata allo studio e dotata di una forte identità – veniva percepita come una possibile minaccia.

La seconda grande falsità è quella de “I Protocolli dei Savi di Sion”, un testo costruito a tavolino dalla polizia zarista per far credere all’esistenza di un complotto ebraico mondiale. Un vero e proprio falso storico, diffuso per manipolare l’opinione pubblica e orientarne l’odio. Oggi lo definiremmo una “fake news”, ma all’epoca fu presa sul serio, alimentando antisemitismo fino alla Germania nazista e, in seguito, anche nell’Italia fascista.

L’ignoranza delle masse e la propaganda martellante hanno fatto sì che queste menzogne si rafforzassero a vicenda, giustificando persecuzioni e discriminazioni. L’idea che gli ebrei, grazie alla loro cultura e alla loro identità ben radicata, potessero rappresentare un ostacolo ai progetti di chi cercava di controllare le popolazioni ha giocato un ruolo decisivo.

Oggi, però, abbiamo strumenti nuovi. Grazie ai social e alla possibilità di informarsi in modo più diretto, è diventato più difficile cadere in certe manipolazioni storiche.

Questo è importante anche perché la nostra civiltà occidentale, fondata su valori giudeo-cristiani, si trova a confrontarsi con nuove sfide: da un lato l’espansione dell’islamismo radicale, dall’altro alcune correnti ideologiche progressiste che, in nome dei diritti, facilitano flussi migratori senza sempre considerarne le conseguenze sociali e politiche. A questo si aggiunge una parte della destra antisionista che, non comprendendo il sionismo come un progetto di autodeterminazione e non di dominio, finisce per sposare narrazioni che vengono strumentalizzate dall’islamismo radicale stesso.

Così accade che una parte della destra finisca per appoggiare automaticamente la causa palestinese senza rendersi conto che, in questo modo, rischia di favorire proprio quelle forze che si oppongono ai valori che essa intende difendere. Anche qui agiscono nuove “fake news”, come quelle che parlano impropriamente di genocidio, usate per alimentare ostilità e confusione.

 

 

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