domenica 6 aprile 2025

LA CASA NEGATA: GIOVANI, FAMIGLIE E IL NUOVO GHETTO DELL’ABITARE

 


Un sogno sempre più irraggiungibile.
È questa la realtà che si presenta a migliaia di giovani coppie, studenti e famiglie monoreddito che cercano di costruirsi una vita autonoma. Trovare una casa oggi in Italia, specie nelle grandi città come Roma e Milano, è diventato un lusso riservato a pochi. Se non sei figlio di un professionista, di un imprenditore, di un politico o di un dirigente con un solido patrimonio immobiliare alle spalle, il mercato ti esclude o ti espelle.

Dati alla mano, la situazione è drammatica.
Secondo il rapporto ISTAT 2023, oltre il 40% dei giovani under 35 vive ancora nella casa dei genitori, non per scelta, ma per necessità economica. A Roma, l’affitto medio di un monolocale ha superato i 900 euro mensili, mentre a Milano si sfiorano i 1.100 euro. Per studenti universitari o neolaureati con contratti precari, accedere a un affitto regolare è un’impresa titanica.

E non basta poter pagare: ai futuri inquilini vengono richieste garanzie spropositate, come fideiussioni bancarie o genitori garanti con redditi alti, condizioni che di fatto escludono la maggior parte delle persone normali. Come se si stesse richiedendo un mutuo e non la semplice locazione di un piccolo appartamento.

Le famiglie monoreddito e le madri single sono ancora più penalizzate.
Secondo il CENSIS, 1 famiglia su 5 in Italia vive in condizioni di vulnerabilità abitativa. Il risultato? Una crescente marginalizzazione sociale. Nel frattempo, in ogni angolo delle nostre città spuntano Bed&Breakfast e affitti turistici: il numero di B&B a Roma è aumentato del 29% negli ultimi cinque anni (fonte: Confcommercio 2024), riducendo ulteriormente l’offerta di immobili destinati all’affitto residenziale.

Ma quali sono le cause di questa emergenza abitativa?
Una parte della sinistra politica tende a indicare nella “proprietà privata” la radice del problema, legittimando, di fatto, pratiche come l’occupazione abusiva delle case. Non a caso, l’Onorevole Ilaria Salis, eletta al Parlamento Europeo nonostante una pendenza penale, ha più volte sostenuto l’occupazione come strumento di rivendicazione sociale. Questo messaggio, già di per sé pericoloso, si somma all'azione di gruppi criminali organizzati, spesso composti da immigrati irregolari o comunità rom, che occupano illegalmente appartamenti pubblici e privati.

A questo si aggiunge un altro fenomeno sommerso:
Sempre più spesso, persone che hanno perso il lavoro smettono di pagare l'affitto e, protette da una normativa estremamente garantista, restano negli immobili per mesi o anni, rendendo complesso e costoso il procedimento di sfratto. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2023 ci sono stati oltre 53.000 sfratti esecutivi pendenti, ma solo il 18% è stato effettivamente eseguito.

Il quadro si complica ulteriormente quando si affrontano le occupazioni abusive. In Italia, il recupero di un immobile occupato è spesso lento e ostacolato da interpretazioni giurisprudenziali che, in nome dell’inclusione sociale, sacrificano i diritti dei proprietari.

E allora, viene naturale chiedersi: perché i proprietari oggi chiedono così tante garanzie? Perché preferiscono gli affitti brevi turistici invece di rischiare lunghi contenziosi legali? La risposta non è nella "cattiveria" del privato, ma in un sistema legislativo che penalizza chi affitta in modo regolare e tutela chi viola le regole.

La vera radice del problema è un impianto normativo sbagliato, che protegge l’illegalità e disincentiva il mercato residenziale. Leggi confuse, procedure di sfratto farraginose e una magistratura spesso imbrigliata da pregiudizi ideologici creano un ambiente tossico, in cui il diritto alla casa si trasforma in privilegio per pochi.

In questo contesto, senza sponsor politici o appoggi influenti, trovare casa diventa quasi impossibile.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: giovani costretti a restare a casa dei genitori, famiglie spezzate, studenti fuori sede in difficoltà cronica. E intanto il tessuto sociale delle nostre città si sfilaccia, mentre nessuno sembra voler cambiare davvero le regole del gioco.


Va-icra Levitico 1-5 Sacrificare il proprio EGO

 



L'Olocausto, in ebraico olah (עֹלָה), deriva da una radice che significa "salire". Era un sacrificio completamente bruciato sull'altare: il fumo si innalzava verso Dio, senza che nessuna parte dell’animale venisse consumata. Era un gesto di dedizione totale e sottomissione alla volontà divina, non necessariamente legato al peccato, ma espressione di amore assoluto verso Dio.

Accanto a questo tipo di sacrificio troviamo i shelamim (שְׁלָמִים), i sacrifici di pace o offerte di benessere. Il termine evoca pace, completezza e armonia. In questo caso, l’animale veniva sacrificato ma il dono era condiviso: una parte veniva bruciata sull’altare, una parte mangiata dai sacerdoti e una parte dallo stesso offerente, spesso in compagnia di amici e parenti, in un banchetto sacro che celebrava l'armonia con Dio.

Esistevano anche sacrifici legati all’espiazione dei peccati, come il chatat (חַטָּאת) e l’asham (אָשָׁם). Il chatat veniva offerto per errori involontari, mentre l’asham era richiesto per colpe più gravi, come appropriazioni indebite o profanazioni del sacro. In questi sacrifici, parte dell’animale veniva bruciata, parte assegnata ai sacerdoti, e il sangue impiegato in riti specifici di purificazione.

La Torah ci offre esempi concreti: Abramo che offre Isacco sul monte Moriah è un olocausto; il nazirato che si concludeva con i shelamim; e il Sommo Sacerdote che a Yom Kippur offriva un chatat per purificare l’intero popolo.

Solo animali domestici e mansueti potevano essere sacrificati: bovini, ovini, caprini, simboli della parte più pura e controllata dell’essere umano. Chi non poteva permettersi grandi offerte, poteva presentare un sacrificio più umile, come colombe o farina, perché a Dio importa il cuore, non il valore materiale.

Il toro rappresentava forza, orgoglio e potenza fisica: offrire un toro significava sottomettere la propria forza a Dio. La pecora e l’agnello, simboli di innocenza e umiltà, rappresentavano la fedeltà e la purezza. La capra, più indipendente, alludeva alla testardaggine umana. Gli uccelli, come le tortore e i colombi, erano l’offerta dei poveri, e simboleggiavano semplicità e pace. Le offerte farinacee, come la minchah, erano per chi non poteva offrire animali: semplici ingredienti – farina, olio e incenso – ma il gesto era carico di valore, come insegna il Talmud: "Chi offre una minchah è come se avesse offerto la propria anima."

A questo si collega un bellissimo Midrash narrato in Vayikrà Rabbah. Un uomo, tanto povero da non poter permettersi nemmeno una colomba, desiderava comunque avvicinarsi a Dio. Raccolse la poca farina che aveva e la portò come offerta al Tempio. Dio, vedendo il suo cuore, disse: "È come se avesse offerto la sua stessa vita davanti a Me." Quella manciata di farina, donata con amore, fu accolta da Dio con più gioia di tanti tori e arieti sacrificati dai ricchi.

Il Talmud, in Menachot, aggiunge che oggi chi studia e recita le parti della Torah sui sacrifici è considerato come se li avesse realmente offerti. Il Midrash Tanchuma racconta ancora che, dopo la distruzione del Tempio, gli angeli chiesero a Dio come sarebbe stato possibile mantenere il legame con Lui senza più sacrifici. Dio rispose: "Quando leggono e studiano la Torah sui korbanot, è come se Mi portassero tori sull'altare." E aggiunse: una preghiera detta con sincerità vale più di mille tori sacrificati senza cuore.

Le parole sincere salgono fino al Trono Celeste, proprio come i profumi e i fumi dei sacrifici antichi. Oggi, il nostro cuore è il nuovo altare. Il Salmo 51 lo esprime meravigliosamente: "I sacrifici di Dio sono uno spirito spezzato; un cuore contrito e umile, Dio non disprezzerà." Non conta quanto offriamo materialmente, conta quanto ci doniamo con sincerità.

Oggi i nostri "sacrifici" sono la preghiera, che ha preso il posto dei korbanot; lo studio della Torah, che è come offrire un olocausto; e gli atti di gentilezza, che sostituiscono i shelamim di pace.

Nel sistema dei sacrifici, anche il tipo di animale offerto rifletteva la gravità della colpa e la responsabilità della persona. Il Sommo Sacerdote e il popolo, responsabili spiritualmente dell’intera nazione, offrivano un toro, simbolo di forza e orgoglio da purificare. I principi offrivano un capro, animale associato alla testardaggine, mentre le persone comuni offrivano una pecora o una capra femmina, segno di peccati più personali e fragili.

Quando la colpa era collettiva, era come una ferita inferta al "corpo unico" di Israele. Nella Torah, Israele non è una somma di individui, ma un solo organismo vivente. Se un dito si ferisce, soffre solo il dito; ma se si ferisce il cuore, l'intero corpo è in pericolo. Una colpa collettiva è una ferita al cuore stesso di Israele.

Dio ha scelto Israele per essere "una luce per le nazioni". Quando Israele pecca come popolo, la sua missione si oscura, e con essa ne soffre tutto il progetto divino per il mondo. La purezza spirituale di Israele non riguarda solo se stesso, ma anche il benessere dell’umanità intera.

Nella tradizione ebraica vige il principio "Kol Yisrael arevim zeh bazeh" – "Tutti gli ebrei sono responsabili gli uni degli altri". Non esiste salvezza personale separata: ogni individuo ha una responsabilità reciproca, deve educare, aiutare e migliorare chi gli sta intorno. Se una società intera sbaglia, vuol dire che qualcosa si è rotto nel tessuto stesso della comunità, e tutti ne portano una parte di responsabilità.

Quando Israele è unito, è come un unico cuore vivo e pulsante. Quando pecca collettivamente, è come se tutto il cuore fosse ferito. La santità si moltiplica quando il popolo è unito nella purezza, ma si ritira quando cade nel peccato. E questa perdita non colpisce solo Israele, ma tutto il mondo, che da Israele attende luce, guida e benedizione.

domenica 23 marzo 2025

STRADE DISSESTATE: MALAFEDE O INCOMPETENZA? UN'INCHIESTA SUL DEGRADO SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI

 

Passeggiare oggi sulle nostre strade equivale a vivere un safari urbano. Marciapiedi sconnessi, asfalto rattoppato, buche che sembrano trappole. Una situazione che, da anni, si ripete sotto ogni amministrazione, di qualsiasi colore politico. I cittadini inciampano, letteralmente, nell’indifferenza. E non si tratta solo di una questione estetica: si parla di sicurezza, di soldi pubblici e, forse, di qualcosa di più grave.

Durante ogni campagna elettorale le promesse abbondano: "Metteremo a posto le strade!", "Stop al degrado!". Eppure, una volta chiuse le urne, tutto resta com'è. O peggiora. La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: "problemi di bilancio". Ma davvero i soldi sono l’unico ostacolo? Oppure dietro questo disastro urbano si nasconde malafede o, nella migliore delle ipotesi, incompetenza?

A detta dei tecnici, la causa principale del deterioramento delle strade sarebbe da ricercare nelle infiltrazioni d’acqua piovana, nelle escursioni termiche e nel traffico pesante. È vero, le sollecitazioni climatiche e meccaniche stressano il manto stradale. Tuttavia, il problema reale emerge quando le opere non sono realizzate ad arte.

Secondo le norme tecniche UNI, l'asfalto deve rispettare precisi standard qualitativi. Se i materiali impiegati sono scadenti, o se gli strati di asfalto sono troppo sottili, il risultato è una superficie fragile, destinata a cedere in poco tempo. Non meno grave è l’esecuzione dei sottoservizi: scavi mal ripristinati e rattoppi improvvisati compromettono definitivamente la stabilità del fondo stradale.

E qui sorge spontanea una domanda: chi dovrebbe vigilare sulla qualità dei lavori appaltati? La risposta è chiara: il Direttore dei Lavori, nominato dal Comune. È lui il responsabile del controllo dei materiali, della corretta esecuzione, della conformità al capitolato d’appalto. Se le nostre strade sono in queste condizioni, significa che i controlli non vengono svolti adeguatamente.

A questo punto, le ipotesi sono due: o il Direttore dei Lavori è incompetente, o è ingenuamente fiducioso verso l’impresa esecutrice. Oppure, ipotesi ancor più grave, complice. Un'ombra che dovrebbe allertare non solo i cittadini, ma anche le autorità competenti, perché la mala esecuzione di opere pubbliche non è solo un danno economico, è una ferita al tessuto civile.

Non si tratta di un problema limitato a questa o a quella amministrazione. È una piaga trasversale, che si ripete a ogni cambio di governo locale, come un copione già scritto. Possibile che politici e dirigenti, camminando ogni giorno su strade dissestate, non vedano? O peggio, facciano finta di non vedere?

C'è poi l’incredibile questione della pianificazione dei lavori. Si riasfalta una strada – spesso male – salvo poi, poche settimane dopo, assegnare un nuovo appalto per realizzare sottoservizi. Risultato: scavi sull’asfalto nuovo e ripristini approssimativi che rendono vani i soldi appena spesi. Una gestione grottesca delle risorse pubbliche, che alimenta un continuo circolo vizioso di appalti e rattoppi.

A fronte di un problema così evidente, stupisce il silenzio. Nessun approfondimento giornalistico, nessuna interrogazione consiliare degna di nota, nessun dibattito pubblico acceso. Una complice unanimità nel tacere, mentre i cittadini sbandano, inciampano e pagano il prezzo di strade insicure.

Eppure le conseguenze sono gravissime: oltre al degrado urbano, si compromette la sicurezza di pedoni e automobilisti. Aumentano i costi sociali, gli incidenti, la necessità di ulteriori bandi di gara.

La domanda finale è inquietante: è forse questo l’obiettivo? Un sistema che, invece di risolvere, alimenta sé stesso? Dove il degrado diventa un’occasione di spesa continua, un business della riparazione perpetua?

Il degrado delle strade non è solo un segno di inefficienza amministrativa. È un indicatore di quanto la cura del bene comune sia stata sacrificata sull'altare di interessi opachi.

giovedì 13 marzo 2025

IN UN PAESE DIVISO, ANCHE LA DEMOCRAZIA SI SGRETOLA: IL CASO ITALIA TRA CONFLITTO POLITICO E CRISI SOCIALE

 

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"Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi." Questo monito antico, pronunciato da Gesù nel Vangelo di Marco (3,24-25), riecheggia oggi con inquietante attualità nella situazione politica italiana. E non è un ammonimento isolato: anche nella Torah, nei testi di Isaia (19,2) e 2 Samuele (3,1), si avverte che la divisione interna di una casa o di un regno ne prelude alla rovina.

Storia antica? Affatto. La cronaca politica italiana sembra, infatti, riprodurre fedelmente questi scenari, incapace di imparare dagli errori del passato. La divisione interna, lungi dall'essere soltanto una questione ideologica, si traduce in lacerazioni sociali, impoverimento economico e degrado culturale.

Secondo un recente rapporto dell'Istat (2024), oltre il 65% degli italiani ritiene che il linguaggio politico sia divenuto "aggressivo" e "delegittimante", mentre il 62% afferma che il dibattito pubblico sia più orientato allo scontro personale che alla proposta di soluzioni concrete.

Nei talk show televisivi, il confronto sui contenuti è ormai un miraggio: slogan, accuse reciproche, etichette infamanti come "comunisti", "fascisti", "complottisti", "clericali" sostituiscono ogni tentativo di dialogo costruttivo. Il vero obiettivo non è risolvere problemi, ma consolidare posizioni di potere all'interno dei partiti.

E mentre il cittadino rimane prigioniero di problemi irrisolti, la politica riesce a trovare una sorprendente unità su un solo tema: il denaro.
L’ultimo scandalo? L’aumento del finanziamento pubblico ai partiti, passato da 25 a 42 milioni di euro annui con voto bipartisan. Solo l'intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha evitato un incremento ancora maggiore.
Nonostante il tentativo di mascherare l’operazione abbassando l'aliquota, i fondi non destinati esplicitamente dai cittadini vengono comunque redistribuiti ai partiti. Uno stratagemma che appare ancora più scandaloso se si considera che l’astensione elettorale ha raggiunto il 41% alle ultime elezioni europee, il massimo storico.

Sanità, sicurezza, casa e lavoro? Questi temi cruciali restano senza una sintesi politica. I politici, al riparo di assicurazioni private e privilegi, sembrano incapaci di fornire risposte efficaci, mentre aumentano i costi energetici e cresce il debito pubblico, ora al 137% del PIL secondo Eurostat.

La minaccia interna: l'Islam radicale e il fallimento dell'integrazione

In un'Italia politicamente frantumata, si fa strada un'altra crisi: quella identitaria.
La Commissione Europea ha segnalato nel 2023 che l'Italia è tra i paesi UE con il tasso più basso di integrazione degli immigrati di origine musulmana, evidenziando una crescente marginalizzazione sociale e culturale.

Secondo il Ministero dell'Interno, oltre il 60% dei reati nelle aree metropolitane è commesso da stranieri, molti dei quali di fede islamica. Al contempo, cresce l'occupazione abusiva di case popolari, l'uso improprio degli spazi pubblici e le denunce di molestie ai danni di donne italiane.

La sinistra democratica, in nome di diritti e tolleranza, appare spesso inconsapevole di prestarsi come cavallo di Troia per frange dell'Islam più radicale. Un paradosso tragico: i valori liberali che la sinistra ha difeso per decenni – laicità, uguaglianza di genere, libertà di espressione – vengono oggi minati da una cultura che li rigetta apertamente.

Dall'altra parte, la destra democratica si arena nella distinzione tra "immigrazione regolare" e "irregolare", senza interrogarsi a fondo su chi entra e quali valori porta con sé.
Il rischio? Favorire l’ingresso di gruppi culturali non integrabili, che non intendono assimilarsi ma piuttosto sostituire il modello sociale europeo.

Come osservava lo storico Bernard Lewis già negli anni '90, "L'Europa rischia di essere conquistata non con la spada, ma con la demografia e la cultura."
Una profezia che, nella frammentazione e nella debolezza attuali, rischia di avverarsi.

Conclusione: Dividersi è Morire

La storia insegna, la politica dimentica.
Se la casa è divisa contro se stessa, come ammonivano i testi sacri, non potrà reggersi. In Italia oggi si assiste ad una drammatica replica di questo schema, mentre il tempo a disposizione per correggere la rotta si assottiglia.
Un popolo diviso è un popolo destinato a soccombere.

sabato 1 marzo 2025

L'Europa e Trump

 

Il 28 Febbraio 2025 il presidente Ukraino Volodymyr Zelensky ed il Presidente USA Donald Trump hanno avuto un bilaterale dalla conclusione inverosimile. Non mi piace l'arroganza di Trump e la sua scarsa diplomazia, ma non posso che condividere le sue intenzioni di tutelare gli interessi degli americani a non essere trascinati in una guerra dagli sviluppi imprevedibili. Tuttavia l'aspetto su cui rifletto è l'impatto che questa posizione determinata degli USA, unitamente alla politica sui dazi, potrà avere sull'Europa. L'Europa come progetto politico potrebbe implodere.

L'ostinazione dei paesi Europei a trazione Tedesca e Francese di perseguire un "pace giusta" personalmente non la capisco, ovvero faccio finta di non capirla. Cosa significa "pace giusta"? La pace giusta è possibile solo quando si sconfigge militarmente il nemico, ed in questo caso mi sembra irrealizzabile perché l'aggressione Russa ha fatto acquisire a Putin territorio e quindi una posizione negoziale di forza; inoltre non mi sembra che si possa  negoziare con un Dittatore, se tale lo riteniamo. Se per "pace giusta" l'Europa, non unita, e senza il sostegno USA, intende la sconfitta militare di Putin, occorrerà allora supporre la pianificazione di un intervento diretto, con uomini e mezzi, nella guerra ucraina da parte degli eserciti europei. Ciò comporterebbe una dichiarazione di guerra alla Russia.

Non credo che la "pace giusta" l'Europa voglia e possa conseguirla con le sanzioni economiche e le forniture di armi ad oltranza(a vantaggio delle industrie militari), considerando che gli embarghi sono un esempio di inutile pressione politica perché aggirabili con operazioni triangolari. Inoltre gli embarghi contro la Russia danneggiano solo i paesi europei (ne stiamo pagando il prezzo) ma non sono efficaci contro la Russia essendo un paese ricco di risorse ed alleato con economie quali la Cina, l'India, altri paesi asiatici e sudamericani, del medio oriente ecc. Quindi decodificando il linguaggio politico della tecnocrazia europea, non potendo costruire la pace giusta con la diplomazia e le pressioni economiche, l'unica opzione è l'intervento militare.

In realtà, ed esprimo una mia opinione, i "democratici europei" una sintesi tra popolari e socialisti, in linea con le direttive dei presidenti democratici americani per finire con Joe Biden, vogliono proprio parlare di "guerra" perché la corsa al riarmo che stanno promuovendo per i prossimi 5 anni dimostra che è l'unica opzione considerata. Del resto nel marzo del 2024 Macron dichiarò: Europa deve essere pronta alla guerra se vuole la pace (https://www.rainews.it/articoli/2024/03/macron-non-esclude-linvio-di-truppe-in-ucraina-tutte-le-opzioni-sono-possibili-europa-deve-essere-pronta-alla-guerra-1eda9a14-7923-49ff-882a-19ab57256b68.html). Cosa ne pensano i pacifisti? 

Perché i leader, anche italiani, non ne parlano apertamente? Perché non avrebbero il consenso delle rispettive opinioni pubbliche, soprattutto in ordinamenti come il nostro in cui la costituzione dichiara che l'Italia ripudia la guerra. Non  escludo, anche questa prendetela come una fantasia, che le intelligence europee possano provare a creare un "casus belli" inventarsi una violazione russa dei territori europei o altro per giustificare un intervento armato davanti alle loro opinioni pubbliche facilmente manipolabili. Non dimentichiamoci che una guerra ha anche un post-guerra che si chiama ricostruzione, che in un clima di costante crisi economica sarebbe un'opportunità. Si direte che è fantapolitica, è possibile, ma la politica non è mai trasparente.

Per chiudere questa banale riflessione fantasiosa, cosa dovrebbe proporre l'Europa a Volodymyr Zelensky? L'ingresso nella NATO subito come garanzia di sicurezza, a condizione che ceda i territori occupati/conquistati dalla Russia in cambio della fine del conflitto. Questa non si chiama "pace giusta" ma negoziato per chiudere una contesa territoriale. Del resto Volodymyr Zelensky poteva evitare di bombardare i ribelli delle provincie russofane, o promulgare leggi per soffocare lo studio della lingua russa e della cultura Russa. Mi sembra che anche nella nostra europa abbiamo esempi come la Provincia del trentino (Adige)con un accordo del 1946 tra Italia ed Austria, ne è un esempio, e l'Italia ha salvaguardato la cultura e tradizione tedesca della provincia. Quindi per la pace si può cedere un territorio e rispettare la cultura e la tradizione di una popolazione frontaliera bilingua. Cosa che Volodymyr Zelensky non ha fatto. Ma l'Europa vuole la guerra. Per questo ben venga Trump con i suoi modi.




sabato 11 gennaio 2025

L'evasione fiscale


Tutta la classe politica dibatte alternativamente la questione dell'infedeltà dei contribuenti lamentando una elevata evasione fiscale che caratterizza l'Italia, in particolare degli imprenditori, artigiani e liberi professionisti, causa di una limita capacità di erogare servizi da parte dello stato, determinando un incremento della spesa pubblica  che grava solo sui poveri dipendenti del settore privato e pubblico. Questa è la narrazione.

Tuttavia nessun politico assume le proprie responsabilità dell'aumento della spesa pubblica per favorire le loro clientele, spesa che contribuisce all'aumento degli interessi passivi sul debito italiano. Perché, anziché ingegnarsi con le alchimie per far quadrare i conti con diminuzioni dello 0,01% e contemporaneamente l'aumento di ulteriori oneri a carico dei cittadini, non studiano tagli lineari alla spesa pubblica? Ogni livello pubblico, governativo, regionale, provinciale, comunale, oltre che enti vari, nasconde costi inutili. Spese dei parlamentari ( in modo bipartisan hanno tentano ,raddoppiando, di aumentare i finanziamenti ai partiti), spese ministeriali (abuso di auto di rappresentanza ed altro), spese sostenute dalle Regioni e dagli Enti locali. Non mi riferisco alla riduzione degli stanziamenti ai servizi (scuola, sociale, sanità, casa, sicurezza ecc), ma alle modalità di spesa. Spese prive di controllo. Sappiamo che il ricorso alle gare di appalto, l'affidamento alle cooperative di taluni servizi ( quale per esempio il servizio di prenotazione regionale per le prestazioni sanitarie, il sistema dell'accoglienza, ecc) ovvero il ricorso all'affidamento esterno dei servizi da parte delle amministrazioni ("costi" che favoriscono clientele locali), commissioni ecc, sono la causa vera  del debito fuori controllo. Anche se aumentiamo il prelievo o dovesse diminuire l'infedeltà fiscale, non si potrebbe rientrare dal debito.

Tutte queste spese che arricchiscono pochi a discapito di molti non sono assolutamente toccate dai propositi dei nostri politici. Questi costi eccessivi vanificano il prelievo fiscale eccessivo, a fronte di  disservizi e di una burocrazia inefficiente, a fronte di molti privilegi. Se io contribuente devo retrocedere più del 50% in fiscalità allo stato (tra imposte dirette, indirette, e tasse amministrative ecc) è chiaro che se posso cerco di ingegnarmi a pagarne di meno. Se aggiungo che devo pagare le prestazioni sanitarie, perché il servizio sanitario non è efficiente, devo comprare i testi per studiare, interfacciarmi con le lungaggini della burocrazia, essere dissanguato dal costo degli affitti o del mutuo, oltre che sostenere le spese correnti, diventa "ETICO" e  " GIUSTO" cercare di ridurre il peso fiscale. E' un esito logico. 

I parla parla della politica (leader politici e sindacalisti) si lamentano dei salari bassi, ma si sono chiesti perché? Un'impresa oggi paga in salario in base a standard di mercato, perché il suo prodotto/servizio sia competitivo, e il business sia economicamente sostenibile. Quindi non è l'impresa  che da salari bassi. E' lo stato con il suo peso fiscale lascia meno margine al dipendente tra costi fiscali e contributivi. E' lo stato che per pagare i "costi occulti prodotti dalla politica" deve incrementare il prelievo  sui lavoratori. Similmente, se l'imprenditore non investe ulteriormente nella sua impresa, è perché tra anticipi e saldi, il prelievo fiscale non lascia nelle mani dell'imprenditore la liquidità necessaria. 

Ad aggravare il quadro complessivo c'è stata anche la scelta idiota di aderire all'Euro (epoca Prodi) che ha impoverito la classe media - bassa a vantaggio dei gruppi finanziari. Oggi il nostro paese, grazie a quella classe politica, è ostaggio finanziario della UE e fino ad oggi benefici non ne  abbiamo avuto se non l'indebitamento. Era certamente preferibile rimanere con la LIra (moneta nazionale) anche al costo di avere un'inflazione più alta battendo moneta, come il Giappone ed altri paesi con moneta sovrana insegnano. 

Quindi chi si dimostra "infedele" con l'amministrazione fiscale non sbaglia, salvo che la classe politica dia il primo segnale di riduzione della spesa pubblica, che la pubblica amministrazione funzioni, e che i servizi  funzionino, la sanità in primis. Il patto tra cittadini e stato è stato tradito prima ancora dalla stato nella declinazione della sua classe dirigente. E fino a quando la classe dirigente non si attiverà a ridurre i costi e a fornire servizi efficienti, chi riesce a  pagare meno tasse è un EROE.

mercoledì 1 gennaio 2025

L'eredità del 2024 ed il futuro



Auguri a tutti i lettori di un buon inizio anno

Brindiamo al nuovo anno, ma non rilassiamoci e cerchiamo di vedere con realismo le prospettive future. Non possiamo non ricordare che il 2025 è iniziato con scenari internazionali  che non ci aiutano ad avere fiducia nel futuro, eredità del 2023 e del 2024. 

Da una parte abbiamo la guerra Russo - Ucraina a seguito dell'aggressione russa, che dopo due anni, e le velleitarie ambizioni della UE di piegare Putin armando l'Ucraina, e dopo tanti morti civili (si stima più di 10.000 tra i quali bambini, donne ed anziani) e più di 50.000 militari russi morti e più di 80,000 militari ucraini morti (fonti non attendibili), è in una fase di stallo con una significativa  avanzata russa. Ricordo che alla fine del 2023 i media e la classe dirigente europea mentivano spudoratamente dicendo che dopo pochi mesi la Russia avrebbe capitolato. Putin non doveva vincere.  Il risultato? La Russia acquista territori, i morti aumentano, ed oggi si parla  di pace in cambio di territorio, e i paesi Europei in una profonda crisi, perché le sanzioni contro la Russia hanno prodotto solo una crisi economia nelle nostre democrazie. Chi ci ha guadagnato? L'industria degli armamenti. Infatti questa guerra avrebbe avuto una possibilità di successo solo se i paesi europei entravano direttamente in guerra a difesa dell'ucraina, come fu fatto durante la prima e seconda guerra mondiale. Aveva certamente ragione il realismo di Macron che sosteneva la necessità di inviare truppe. Contro questa guerra e per i popoli ucraino e russo è  mancato il "pacifismo", nessuno è sceso in piazza per promuovere n tavolo di pace tra Russia ed Ucraina, nessun Rettore universitario  e nessuna istituzione accademica si  è attivata per la pace, nessun sindacato e nessuna associazione LGBT, femministe ecc ha mai promosso sit in difronte all'ambasciata russa ecc. L'arcipelago variopinto dei pacifisti oltre a limitarsi a dichiarare in varie occasioni la necessità di una politica negoziale, non si è mossa lungo le strade europee. La guerra è stata considerata giusta, perché l'aggressore Putin era un dittatore ed andava punito, ma nessun Leader europeo ha avuto il coraggio e l'onestà intellettuale di Macron, perché avrebbero avuto l'ostilità delle opinioni pubbliche democratiche, che oggi non avrebbero potuto brindare al 2025. 

Cosa dire dell'altro scenario, la guerra in Medio-oriente? Il 07-10-2023 con il massacro di Hamas nei kibbutzum lungo il confine con Gaza e la presa di 200 ostaggi israeliani tra cui bambini ed anziani, i terroristi palestinesi hanno iniziato una nuova guerra araba(palestinese)-israeliana. Una guerra che potrebbe terminare in qualunque momento se i palestinesi  rilasciassero gli ostaggi, che prosegue tutt'oggi, dopo un anno, per scelta degli stessi palestinesi. Non sappiamo se per un errore di valutazione in quanto pensavano che gli Hezbollah, sostenuti dall'Iran avrebbero attaccato (anche lungo il confine del libano sono stati trovati tunnel), e che che gli USA di Jon Biden più morbido ed interessato a mantenere la Leadership nel medio oriente, avrebbe indotto Israele a più miti consigli, qualora il bliz di Hamas non avesse prodotto il risultato sperato. Oppure speravano che i gruppi jihadisti sparsi nel mondo arabo ed occidentale avrebbero preso l'iniziativa. E' difficile comprendere cosa avessero pianificato, ma di certo non hanno ottenuto la la liberazione della Palestina dalla riva al mare, ma l'uccisione da parte di Israele dei leader di hamas e Hezbollah il controllo militare da parte di Israele di Gaza e del Sud del Libano, l'indebolimento dell'Iran e la caduta del regime siriano. Certo che oggi l'utopia dei governi occidentali di 2 popoli e 2 stati è deragliata ancora una volta a causa dei "palestinesi". Israele è sempre li, ed anche in questo caso le sanzioni di alcuni paesi europei quali spagna, Francia, Irlanda, Inghilterra ecc non hanno esordito il loro effetto. Israele è una potenza tecnologica matura che può fare a meno delle ritorsioni degli altri paesi. Tuttavia questa guerra araba-israeliana ha avuto il merito di risvegliare l'antisemitismo/sionismo in occidente, ed il sentimento pacifista sostenuto con boicottaggi da parte delle università, proteste e violenze nelle strade e nelle piazze in nome della pace STOP AL GENOCIDIO in nome di una manipolazione della verità da parte di Hamas grazie al supporto di associazioni palestinesi infiltrate da Hamas.

Rimane in sospeso lo scenario in oriente con la questione della pretesa annessione di Taiwan da parte della Cina, con prove muscolari tra la Cina, la Corea del Nord e gli USA. Potrebbe essere la sorpresa del 2025? Non lo sappiamo; ma non possiamo ignorare che anche l'area del pacifico è in ebollizione con tensioni mai sopite e politiche espansionistiche da parte della Cina e degli USA. Questa è una pagina ancora da scrivere.

Ricordiamoci che questi scenari unitamente alla crisi economica, alla povertà diffusa in intere aree della terra non sono rassicuranti. Oggi più che mai siamo chiamati a non seguire le Leadership politiche con fiducia, ma di mettere in dubbio ogni cosa perché fino ad oggi hanno dimostrato di mentire e le loro menzogne portano a tragedie per i popoli che diventano vittime inconsapevoli dei loro giochi.


LA CASA NEGATA: GIOVANI, FAMIGLIE E IL NUOVO GHETTO DELL’ABITARE

  Un sogno sempre più irraggiungibile. È questa la realtà che si presenta a migliaia di giovani coppie, studenti e famiglie monoreddito che...