Guardiamoci attorno con onestà: oggi assistiamo a un ribaltamento sorprendente di posizioni, alleanze e visioni del mondo. Da una parte religioni e ideologie nate con una vocazione universale—come cristianesimo e islam—continuano a muoversi nello scenario globale. Ma mentre il cristianesimo sembra avere perso la sua spinta espansiva, ripiegandosi tra nostalgie di ortodossia e tentativi di modernizzazione, l’islam riesce a crescere e a radicarsi anche nelle società occidentali. E lo fa spesso proprio sfruttando quei valori che l’Occidente ha costruito: accoglienza, integrazione, solidarietà, uguaglianza.
Ed è qui che nasce la domanda che dovrebbe farci riflettere: com’è possibile che movimenti, gruppi e persone che difendono diritti individuali, libertà personali, uguaglianza di genere e riconoscimento delle diversità finiscano talvolta per sostenere istanze provenienti da contesti religiosi che non condividono affatto questi principi? Com’è possibile che proprio chi difende la libertà, la pace e i diritti delle minoranze si trovi, senza quasi accorgersene, ad affiancare posizioni che, nella loro forma più rigida, mirano a limitare quelle stesse libertà?
La risposta, forse, non riguarda né l’islam né il cristianesimo, ma noi.
L’Occidente, concentrato sul benessere, sull’intrattenimento, sulla gratificazione immediata, ha smarrito il suo primo nucleo educativo: la famiglia. Per generazioni, la famiglia è stata il luogo in cui si costruivano identità, senso di appartenenza, trasmissione dei valori. Oggi quel ruolo si è assottigliato, rimpiazzato da tempo libero, consumi, fine settimana, vacanze, svaghi. La nostra cultura si è trasformata in un modello edonistico, che rincorre piacere e comodità più che responsabilità e continuità.
E nell’edonismo, la prospettiva del futuro scompare. I figli—che richiedono tempo, energia, sacrificio—sembrano un ostacolo. Molti li evitano per ragioni economiche, o semplicemente perché non vogliono rinunciare a qualcosa. Ma così rischiamo di impoverire le nostre società proprio dove nessuna economia potrà mai compensare: nel ricambio generazionale, nella cura, nella continuità. I nonni lo dicevano chiaramente: ogni scarpa diventa scarpone. Chi vive solo per il presente, prima o poi si troverà davanti un futuro vuoto.
Pensiamo a cosa significhi diventare anziani in un mondo senza figli e senza nipoti. Possiamo davvero credere che sarà lo Stato a occuparsi di tutti noi? Che basterà il risparmio? È una speranza fragile. Una società senza futuro demografico è destinata a vivere la vecchiaia come un incubo, non come una stagione della vita.
E allora, quel versetto antico che appare all’inizio della Genesi—
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…” e che ritorna dopo il diluvio rivolto a Noè e ai suoi figli, non è soltanto un richiamo religioso.
È un avvertimento universale, un monito che attraversa epoche e civiltà: se una società smette di generare vita, smette anche di generare futuro.
Ignorarlo significa avviarsi lentamente verso il declino.