La strana alleanza tra sinistra e islam politico: un paradosso del nostro tempo
La domanda è inevitabile: come è possibile che la sinistra, da sempre paladina delle battaglie civili per l’uguaglianza, i diritti delle donne e delle comunità LGBT+, oggi trovi un terreno di convergenza con l’islam politico e integralista, che sul piano culturale rappresenta l’esatto contrario di quei valori?
Il paradosso si manifesta con forza nel dibattito sulla crisi di Gaza. Da un lato, i movimenti progressisti sventolano le bandiere del pacifismo, della difesa delle minoranze e dell’emancipazione individuale. Dall’altro, si ritrovano accanto a realtà islamiste che negano quei principi, relegando la donna a un ruolo subordinato, criminalizzando l’omosessualità e imponendo la religione come unico fondamento sociale.
Globalismo come terreno comune
Le possibili spiegazioni sono diverse: ignoranza culturale, calcolo politico, ricerca di alleanze alternative al neoliberismo. Ma c’è anche un terreno ideologico comune: il globalismo.
La sinistra contemporanea tende a dissolvere concetti come nazione e patria in favore di una visione transnazionale e collettiva. Le differenze culturali vengono percepite come ostacoli, mentre il “politicamente corretto” diventa uno strumento per uniformare linguaggi e comportamenti: non più “mamma e papà”, ma “genitori”; non “immigrati”, ma “richiedenti asilo”.
In questa prospettiva, i diritti dei residenti vengono spesso compressi per non urtare la sensibilità delle minoranze. È un ribaltamento che, secondo i critici, finisce per minare la stessa identità culturale occidentale.
Islam politico e censura
Sorprendentemente, questa logica trova eco nell’islam politico, che si presenta come un progetto universale: la pace si raggiunge solo quando tutte le società saranno islamizzate e sottomesse al Corano.
Anche qui la censura è centrale: non si può criticare Allah o il testo sacro. Basti ricordare l’attacco terroristico del 2015 alla redazione di Charlie Hebdo, colpevole di aver pubblicato vignette satiriche su Maometto. Oppure le violente reazioni al discorso di Benedetto XVI a Regensburg (2006), quando il Papa citò un testo medievale critico verso la violenza religiosa: quelle parole furono sufficienti a scatenare proteste in tutto il mondo islamico.
Sono episodi che mostrano come il dissenso verso l’islam politico non sia tollerato, proprio come accade nei sistemi che puntano al pensiero unico.
Cavallo di Troia culturale
Entrambi i modelli – globalismo di sinistra e islamismo – puntano dunque a un’omologazione culturale. E non sorprende che molti leader islamici vedano nei movimenti progressisti un cavallo di Troia per penetrare legittimamente nel tessuto occidentale, fino a trasformarlo dall’interno.
A questo scenario si aggiunge la Chiesa cattolica, che in nome dell’accoglienza e del dialogo interreligioso ha spesso aperto spazi e strutture ai migranti musulmani, finendo di fatto per affiancarsi a questo processo di globalizzazione culturale.
La contraddizione irrisolta
Resta però una contraddizione evidente: come possono i movimenti femministi e LGBT+ marciare accanto ad associazioni islamiste che, nei territori in cui hanno potere, negano la parità di genere e perseguitano gli omosessuali?
La risposta non è univoca. È un paradosso figlio della geopolitica, del calcolo politico e, in parte, di una certa cecità ideologica. Una convivenza fragile, che oggi si regge sull’illusione di una battaglia comune contro l’Occidente neoliberale, ma che domani potrebbe rivelarsi una resa culturale irreversibile.
Nessun commento:
Posta un commento