Il 6-9 giugno 2024 si voterà per il parlamento europeo ed il panorama dei partiti che si presenta molto deludente. E' certo che il voto per il parlamento UE è importante, perché in quella sede si decidono le sorti dei paesi membri, provvedimenti che i parlamenti nazionali devono ratificare sotto la pressione delle lobby industriali e finanziarie. I partiti di centro destra come i partiti di centro sinistra promettono cose che non possono mantenere, alzano il tono del dibattito accusandosi reciprocamente di essere la causa delle anomalie della UE, con il solo scopo di insabbiare la capacità di ragionare degli elettori. In raltà non ci sono ne fascisti e ne europeisti, ne chi propende per un'europa dei popoli, e ne promuove l'europa globalista nei valori, ma solo una polarizzazione manovrata dai media, giornali e Tv per distoglierci dalle vere manovre che i poteri finanziari e le grandi famiglie industriali vogliono implementare a nostro danno. La magistratura militante incalza per delegittimare il centro destra perché oggi è percepito non come un rischio per la democrazia, ma come una forza destabilizzante per la UE. Si sposta il dibattito sul terrore del fascismo e sulla corruzione per evitare di riflettere sul tema principale: sostenere una Europa dei popoli, o un'Europa dei poteri forti. La corruzione è trasversale a tutte le forze politiche che governano, ma il vero argomento è che idea di Europa abbiamo.
domenica 25 febbraio 2024
Religione e democrazie
1Samuele 84 Allora tutti gli anziani d'Israele si radunarono, e andarono da Samuele a Rama 5 per dirgli: «Ecco tu sei ormai vecchio e i tuoi figli non seguono le tue orme; stabilisci dunque su di noi un re che ci amministri la giustizia, come lo hanno tutte le nazioni».
I popoli non amano essere governati dal buon senso ma da persone che dispongano della loro vita. Oggi, i popoli sono governati da dittature e democrazie, repubblicane o monarchiche. La domanda è: per un religioso (cristiano o ebreo) qual'è la forma di governo migliore? Il cristiano o ebreo se chiamati a votare come dovrebbe orientare le loro scelte? Sicuramente la dittatura è la forma di governo peggiore perché priva l'individuo della libertà di opinione. Questa libertà può condizionare anche l'esercizio della fede religiosa se la dittatura è atea o se è integralista come quelle islamiche. Le democrazie, per natura laiche, sono invece un'opportunità per vivere la propria religiosità. Tuttavia noi sappiamo che il cristianesimo, come l'ebraismo, si sviluppano quando ci sono le persecuzioni, ovvero quando le persone si sentono minacciate nella loro vita a causa della loro fede, perché questa minaccia porta al limite la fede testimoniata e stringe l'uomo a Dio, e Dio opera. Sappiamo anche che dietro le democrazie c'è un inganno: il conformarsi al mondo secolare. Questo conformarsi uccide la fede. Vediamo come oggi i cristiani come gli ebrei sono perseguitati nei paesi islamici a rischio della vita, ma sono anche perseguitati nei paesi democratici a rischio della loro integrità. Nella dittatura sappiamo chi è il nemico, nella democrazia non lo vediamo. Gesù, Messia per i cristiani e Rabbino per gli ebrei, esprime questa verità nel vangelo di Giovanni 17:14 Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Esprimere una "identità" forte fondata sui valori espressi dall'etica religiosa, spesso in contrasto con i valori laici della società (esempio le posizioni sulle famiglie arcobaleno), implica un rischio, finanche alla loro libertà di opinione, in tutte le forme di governo sia che siano dittature, sia che siano democrazie (politicamente corretto). Vediamo come nelle democrazie occidentali originariamente cristiane, oggi sono le più ostili nei confronti delle religioni se esse esprimono idee contrarie alla morale dominante. Le società democratiche da una parte, in nome del giusto laicismo, ti danno la libertà di culto perché rispettano le libertà individuali, dall'altra ti censurano con il politicamente corretto quando la religione promuove valori in contrasto con la visione sociale dominante. Quindi la libertà delle idee è esaltata come dogma, purché rimanga nel tuo privato e non rechi turbamento alla società laica. L'etica dominante non vuole essere messa in discussione. Nel libro dei Proverbi è scritto:10 Figlio mio, se i peccatori ti vogliono sviare, non dar loro retta. Nell'istante in cui non diamo loro retta verremmo perseguitati anche nelle democrazie. Ricordiamoci delle ostilità che il Congresso delle Famiglie di Verona hanno suscitato. Tutti i media si sono scagliati contro il Congresso disinformando perché il messaggio minava le loro coscienze.
venerdì 23 febbraio 2024
Il cristianesimo e Gesù

lunedì 19 febbraio 2024
La professione del politico in Italia
Mi chiedo come mai noi tutti votiamo e nulla cambia. Sembra quasi un paradosso ma è vero, votare, esercitare il diritto di voto, non produce cambiamenti. Il Leader che vince le elezioni giustamente lamenta che ha bisogno di tempo, che ha trovato un quadro economico disastroso a causa delle scelte irresponsabili dei precedenti governi, poi ci sono i vincoli di bilancio, i condizionamenti della Comunità Europea ed ancora il quadro geopolitico generale ecc. Il Leader incaricato quando si insedia ha già pronte queste argomentazioni e poi tira diritto su quel programma che nessuno ha votato. Si signori, quel programma che nessuno ha votato, perché quelle famose promesse elettorali altro che non erano specchietti per le allodole, per noi poveri imbecilli, che crediamo per l'ennesima volta di contribuire al cambiamento, salvo accorgerci che così non era, non è e non sarà. Chiedo scusa, la costituzione dice che la sovranità spetta al popolo che la esercita con il voto, ma dice anche che il parlamentare non ha vincoli di mandato, per salvaguardare la sua indipendenza, quindi tutto quello che dichiara sono CAZZATE è sancito dalla costituzione. La classe politica (parlamentari, consiglieri regionali, consiglieri comunali ecc il multilivel marketing della politica), qualunque sia il colore, è l'unica che rimane solida anche in assenza di un concreto contributo al paese. I Manager cadono, gli operai vengono licenziati, gli impiegati tollerati se non producono , ma i "politici" no, sono li eterni, inossidabili. Un esempio emblematico? l'On Pierferdinando Casini, cambia casacca, cambia collegio, cambia ruolo ma è sempre li per il nulla che ha fatto con tutti i benefici della sua carica o posizione. Come lui molti altri. L'Italia è quel paese dove nonostante i fallimenti della politica nessun politico ha la decenza di dimettersi, giustificando il loro presunto contributo con la loro presenza nelle "commissioni", o con inutili "interrogazioni parlamentari, utili solo per rilasciare dichiarazioni pubbliche. A noi elettori rimangono le loro iniziative infelici. Pensioni, Sanità, Scuola, Sicurezza sono problemi nostri, Loro hanno pensioni certe e ricche, una polizza sanitaria, la scuola privata per i figli e la scorta per la loro sicurezza. Solo la morte ci libera da queste presenze inutili, salvo che non siano longevi. Questa è la democrazia italiana.
domenica 18 febbraio 2024
La lega araba e la palestina
Lega Araba: cooperazione, politica e un’agenda che divide
La Lega Araba nasce ufficialmente il 22 marzo 1945 – come confermato dal portale ufficiale legaaraba.org – anticipando persino la fondazione delle Nazioni Unite. La missione dichiarata: promuovere la cooperazione tra i Paesi arabi. Fin qui, tutto sembra rientrare nella normale dinamica delle alleanze regionali.
Ma una lettura più attenta dei documenti costitutivi e della struttura organizzativa solleva interrogativi scomodi. Tra gli obiettivi politici, la Lega evidenzia accordi di cooperazione non solo con le Nazioni Unite, ma anche con l’Organizzazione per l’Unità Africana e l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Quest’ultimo dettaglio è cruciale: l’orientamento politico-religioso dell’istituzione sembra assumere una connotazione chiaramente islamica, escludendo rapporti formali di consultazione con altre confessioni religiose presenti nei Paesi membri, come cristianesimo ed ebraismo.
La struttura interna della Lega rende ancora più evidente questa impostazione. Due dipartimenti spiccano per il loro peso politico: il “Dipartimento Generale degli Affari della Palestina” e il “Bureau Principale per il Boicottaggio di Israele”. Una combinazione che suggerisce una linea di condotta ben precisa e un’interpretazione della questione mediorientale che va oltre la semplice diplomazia.
Secondo alcuni analisti, questa impostazione non è neutrale: sembrerebbe puntare a un progetto di lungo termine volto a ridefinire il Medio Oriente, marginalizzando la presenza ebraica e rafforzando l’egemonia islamica. Non si tratterebbe dunque solo di cooperazione regionale, ma di una strategia politico-religiosa che arriva a influenzare persino il dibattito globale.
E qui la questione diventa internazionale. I Paesi arabi membri della Lega siedono alle Nazioni Unite con posizioni politiche e religiose già delineate, influenzando la narrativa storica e politica che arriva all’opinione pubblica occidentale. Mentre in Europa e negli Stati Uniti si parla di dialogo e convivenza, flussi di denaro – provenienti anche da Paesi legati all’islamismo radicale – finanziano università di prestigio (Harvard è uno degli esempi più citati) e centri culturali, contribuendo a plasmare il dibattito accademico e mediatico.
Il risultato? Un racconto che rischia di occultare i lati più controversi della vicenda. Secondo fonti critiche, questo ha favorito anche il lavoro di agenzie internazionali come l’UNHCR, accusate di aver indirettamente finanziato Hamas tramite stipendi e aiuti, consentendo a quest’ultima di costruire una rete sotterranea di tunnel a Gaza lunga oltre 700 chilometri, spesso sotto ospedali, scuole e luoghi di culto. Risorse che, secondo le accuse, sarebbero state dirottate da aiuti umanitari destinati ai civili a scopi militari e terroristici.
Il vero nodo della questione, per molti osservatori, non è quindi una disputa territoriale risolvibile con la formula “due popoli, due Stati”, ma un conflitto ideologico e religioso. Una guerra a più fasi: prima contro gli ebrei, poi contro i cristiani e, secondo questa lettura, in prospettiva contro altri modelli di società. Una prospettiva che, se confermata, renderebbe la tanto invocata soluzione a due Stati una mera illusione diplomatica.
venerdì 16 febbraio 2024
L'islamizzazione dell'Occidente
L’Europa e la sfida dell’islamizzazione: tra libertà religiosa e rischio ideologico
In tutta Europa la presenza di moschee e luoghi di culto islamici è in costante crescita. Oggi se ne contano circa 1.800 nel Regno Unito, 2.500 in Francia, 1.000 in Spagna, 800 in Italia e oltre 2.600 in Germania. Un fenomeno in espansione che, se da un lato è espressione del diritto alla libertà religiosa, dall’altro solleva interrogativi sul futuro assetto sociale e culturale del continente.
Un monito in tal senso arrivava già oltre vent’anni fa dal Sinodo dei Vescovi per l’Europa. In quella sede, Mons. Giuseppe Germano Bernardini, arcivescovo di Izmir, riportò la convinzione di diversi leader musulmani: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». Un messaggio, ribadito anche da altri esponenti religiosi, che interpretava l’avanzata dell’Islam non come una semplice questione di pluralismo religioso, ma come un disegno politico-culturale.
Secondo alcuni osservatori, il processo di islamizzazione non si limita alla sfera spirituale ma procede su più fronti: dalla jihad alla leva demografica, fino ai finanziamenti per la promozione culturale e per lo sviluppo di attività economiche legate al mondo islamico. Il punto critico – sostengono i critici – non è la presenza dell’Islam in sé, ma l’assenza di una chiara visione laica nella sua dimensione politica. Ciò rischierebbe di trasformare le società ospitanti, sfruttando i meccanismi democratici, fino a raggiungere una posizione dominante quando la presenza musulmana diventerà socialmente ed economicamente rilevante.
Il dibattito si intreccia oggi con la questione palestinese, che ha riacceso manifestazioni e proteste in tutta Europa. Molti movimenti progressisti, nel loro sostegno alla causa palestinese, rischiano – secondo alcuni analisti – di sposare in modo acritico un’idea di società che non necessariamente garantisce la parità di diritti tra uomini e donne, la libertà sessuale e la tutela delle minoranze. La sinistra, nel suo impegno per i diritti umani, sarebbe così esposta a una manipolazione ideologica che strumentalizza la retorica dell’integrazione e dell’antirazzismo.
In questo contesto, la domanda centrale resta aperta: l’Europa sta davvero costruendo una società pluralista e inclusiva, o sta sottovalutando i rischi di un cambiamento culturale che potrebbe minare i suoi stessi valori democratici?
mercoledì 14 febbraio 2024
Bambini vittime della guerra/Children Killed in War
Bambini uccisi in guerra: il conto
che nessuno vuole fare
“I bambini sono sempre le prime vittime della guerra.”
È una frase che scivola spesso tra i titoli delle agenzie stampa e i discorsi
ufficiali, ma che quasi mai riceve il rispetto politico e morale che merita.
Perché, a ben guardare, i numeri parlano chiaro. E sono numeri che non fanno
rumore.
Secondo Save the Children, almeno 545 bambini sono stati uccisi in
Ucraina dall’inizio del conflitto nel 2022. Una cifra drammatica, eppure
accettata con relativa serenità politica dall’Occidente che, senza esitazioni,
continua a finanziare l’Ucraina in quella che viene definita una guerra “di
difesa”. Una guerra che, per quanto giusta sul piano del diritto
internazionale, sacrifica bambini nel nome della resistenza.
Eppure, nel discorso pubblico
europeo, la tragedia ucraina non riceve la stessa condanna morale che accompagna
altri conflitti, come quello a Gaza o in Yemen.
Perché? Perché, se l’Ucraina è una democrazia invasa da una potenza
autoritaria, Israele – anch’esso una democrazia, attaccata brutalmente il 7
ottobre 2023 – non gode dello stesso sostegno incondizionato? Perché il
dolore dei bambini ucraini appare “necessario”, mentre quello dei bambini
palestinesi viene amplificato come simbolo di un’aggressione?
E soprattutto: chi decide quali bambini contano? I giornalisti in base alle
loro posizioni ideologiche.
Il caso Gaza: chi controlla i
numeri?
Nella Striscia di Gaza, le cifre
sulle vittime civili – soprattutto i bambini – provengono esclusivamente dal Ministero
della Sanità gestito da Hamas, un’organizzazione definita terroristica
da gran parte della comunità internazionale.
Diversi osservatori, think tank e governi occidentali contestano giustamente
l'affidabilità di questi numeri:
- Non
esistono organismi indipendenti che possano verificare le
informazioni sul campo.
- Non
viene chiarita la distinzione tra civili e combattenti.
- Le
cifre vengono utilizzate come strumento di propaganda, con
l’intento di suscitare condanna internazionale verso Israele.
Eppure, queste stesse cifre vengono
spesso rilanciate dai media occidentali organici alla sinistra, senza alcun
filtro critico, generando una narrazione sbilanciata in cui l’IDF (Israel
Defense Forces) – l’esercito israeliano – è sistematicamente descritto come
aggressore, anche quando agisce in risposta ad attacchi terroristici e
con una strategia militare fondata sull’etica operativa.
L’IDF, infatti, applica un codice
di condotta unico nel suo genere:
- Emana avvertimenti
preventivi alla popolazione civile (telefonate, messaggi, volantini).
- Si
avvale di consulenti legali militari per valutare la legittimità di
ogni bersaglio.
- Utilizza
armi di precisione anche in zone densamente popolate.
Ma nessun esercito, per quanto
etico, può evitare il prezzo umano in una guerra urbana dove i terroristi si
nascondono tra i civili, utilizzati come scudi umani, sotto scuole,
ospedali e moschee. Questo è l’effetto perverso della strategia di Hamas,
che viola sistematicamente le Convenzioni di Ginevra usando i propri cittadini
come scudi umani. Nonostante questa evidenza le manifestazioni nelle
nostre piazze, sono contro Israele con la partecipazioni di organizzazioni
palestinesi fiancheggiatrici e sostenitrici di HAMAS con il consenso di ANPI e
Organizzazioni sindacali di sinistra.
Altri teatri di guerra (2023–2024):
i bambini sotto attacco
L’ipocrisia del sistema
internazionale emerge in tutta la sua crudezza quando si analizzano i conflitti
“ignorati”. In Sudan, oltre 1.200 bambini sono morti tra maggio e
dicembre 2023 nei campi profughi, secondo l’UNICEF. Nessuna mobilitazione
globale.
Nella Repubblica Democratica del Congo, almeno 150 bambini sono
stati uccisi nel solo 2023. In Siria, la guerra “dimenticata” ha
continuato a mietere vittime: almeno 100 bambini uccisi nei
bombardamenti su Idlib. Nel Tigray etiope, oltre 500 bambini sono
morti di fame nel 2023 per via dei blocchi agli aiuti.
Silenzio. Quasi nessuna condanna
pubblica. Nessun boicottaggio. Nessun embargo. Da parte di nessun leader della
sinistra.
Chi decide quali bambini valgono?
Il discorso internazionale si fonda
oggi su una gerarchia morale artificiale, in cui il valore della vita
infantile è piegato alle convenienze geopolitiche. Nel caso
dell’Ucraina, la causa è considerata legittima: il sostegno politico, economico
e militare è pieno e costante, anche se i bambini muoiono. Nel caso di Israele,
la legittima difesa viene relativizzata, condizionata, problematizzata,
nonostante l’attacco del 7 ottobre sia stato tra i più sanguinosi attentati
contro civili nella storia recente.
Perché questa differenza di
trattamento?
Le ragioni sono strutturali:
- Petrolio
e investimenti arabi: i Paesi del Golfo detengono leve finanziarie immense, con interessi
in banche, infrastrutture e startup occidentali.
- Pressione
migratoria:
evitare di urtare la “sensibilità araba” è diventata una scelta politica
interna in molte capitali europee.
- Ideologia
politica: molte
sinistre occidentali confondono il legittimo dissenso verso il governo
israeliano con un rifiuto ideologico dello Stato di Israele,
spingendo verso una visione monocorde del conflitto.
Ipocrisia selettiva: il vero nemico
della pace
Non esiste guerra giusta per un
bambino. Non esiste missile intelligente abbastanza da risparmiare un’infanzia.
Il vero scandalo non è solo la morte, ma la banalizzazione della morte,
il suo utilizzo strumentale come leva politica o arma mediatica.
Chi finanzia l’Ucraina e condanna
Israele.
Chi difende Gaza e dimentica il Sudan.
Chi piange per Aleppo e ignora Goma.
Tutti contribuiscono a una morale selettiva che uccide due volte: con le
bombe e con il silenzio.
Conclusione: il diritto dei bambini
non è negoziabile
Il dolore infantile non ha bandiera,
non ha passaporto, non ha confessione religiosa.
Il mondo ha bisogno di coerenza, non di fazioni. Finché la comunità
internazionale continuerà a decidere quali morti meritano indignazione e
quali no, sarà complice di una violenza ipocrita e selettiva. Se un
bambino viene ucciso a Kherson, a Sderot, a Nyala o a Idlib, il dovere
morale è lo stesso: difendere la sua memoria, condannare chi lo ha ucciso, e
impedire che accada ancora. Nel caso di Gaza chi ha ucciso il bambino è Hamas ed
i leader ed intellettuali occidentali di sinistra che strumentalizzano in
chiave antisemita quei bambini uccisi.
Children Killed in War: The Toll No One Wants to Count
“Children are always the first victims of war.”
It’s a phrase that often floats through press headlines and official speeches,
yet it rarely receives the political and moral weight it deserves. Because when
you look closely, the numbers speak clearly—and they speak in silence.
According to Save the Children, at
least 545 children have been killed in Ukraine since the conflict began in
2022. A dramatic figure, yet one that is met with political composure in the
West, which continues—without hesitation—to fund Ukraine in what is described
as a “defensive war.” A war that, however justified under international law, sacrifices
children in the name of resistance.
And yet, in European public
discourse, the Ukrainian tragedy does not receive the same moral
condemnation that accompanies other conflicts, such as Gaza or Yemen.
Why?
If Ukraine is a democracy invaded by an authoritarian power, why doesn’t
Israel—also a democracy, brutally attacked on October 7, 2023—receive the same
unconditional support?
Why does the suffering of Ukrainian children appear “necessary,” while that of
Palestinian children is amplified as a symbol of aggression?
And above all, who decides which children matter? Journalists, perhaps,
guided by their ideological positions.
The Gaza
Case: Who Controls the Numbers?
In Gaza, civilian casualty
figures—especially those of children—are provided almost exclusively by the Ministry
of Health run by Hamas, an organization designated as terrorist by the
United States, the European Union, the United Kingdom, Canada, and others.
Multiple observers, security think
tanks, and Western governments rightfully question the reliability of
these figures:
- There
are no independent bodies able to verify the data on the ground.
- There
is no clear distinction between civilians and combatants.
- The
numbers are used as a propaganda tool to fuel international outrage
against Israel.
Nevertheless, these same figures
are often echoed by Western media aligned with leftist narratives, without
any critical filter—creating a one-sided account in which the IDF (Israel
Defense Forces) is systematically portrayed as the aggressor, even when
responding to terrorist attacks and operating under a military doctrine
based on ethical conduct.
In fact, the IDF implements a unique
code of conduct, which includes:
- Advance
warnings to
civilians (phone calls, messages, leaflets).
- Legal
advisors
embedded with military units to assess target legitimacy.
- Use of precision-guided
weapons, even in densely populated areas.
But no army, no matter how ethical,
can fully prevent civilian casualties in urban warfare, especially when terrorists
use civilians as human shields, hiding beneath schools, hospitals, and
mosques. This is the perverse effect of Hamas’s strategy, which systematically
violates the Geneva Conventions by using its own population as shields.
Despite this reality, protests in
our streets are directed against Israel, often organized or supported by Palestinian
groups aligned with or sympathetic to Hamas, with the backing of leftist
trade unions and the ANPI.
Other War
Theaters (2023–2024): Children Under Attack
The hypocrisy of the international
system becomes starkly evident when examining ignored conflicts.
- In Sudan,
more than 1,200 children died between May and December 2023 in
refugee camps, according to UNICEF. No global mobilization.
- In the Democratic
Republic of Congo, at least 150 children were killed in 2023
alone.
- In Syria,
the "forgotten war" continued to claim victims: at least 100
children were killed in airstrikes on Idlib.
- In
Ethiopia’s Tigray region, over 500 children died of starvation
in 2023 due to blocked humanitarian aid.
Silence.
Almost no public condemnation. No boycotts. No embargoes. Not from any
left-wing political leader.
Who Decides
Which Children Matter?
Today’s international discourse is
built upon an artificial moral hierarchy, in which the value of a
child’s life is shaped by geopolitical convenience.
- In Ukraine,
the cause is considered legitimate: political, economic, and military
support flows constantly—even if children die.
- In Israel,
legitimate self-defense is relativized, conditional, problematized,
despite the October 7th attack being one of the deadliest assaults on
civilians in recent history.
Why this double standard?
The reasons are structural:
- Oil and
Arab investments: Gulf
nations hold enormous financial power, with stakes in Western banks,
infrastructure, and startups.
- Migration
pressure:
Avoiding offense to “Arab sentiment” has become a political calculation in
many European capitals.
- Ideological
bias: Many
Western leftist circles confuse dissent toward Israel’s government with
outright hostility toward the state’s existence, pushing a
one-dimensional narrative of the conflict.
Selective
Hypocrisy: The Real Enemy of Peace
There is no such thing as a just
war for a child.
There is no smart bomb precise enough to spare a childhood.
The real scandal isn’t just the
death of children—it’s the banalization of that death, its instrumental
use as political leverage or media weapon.
Those who fund Ukraine and
condemn Israel.
Those who defend Gaza and forget Sudan.
Those who weep for Aleppo and ignore Goma.
All contribute to a selective morality that kills twice: once with
bombs, and once with silence.
Conclusion:
The Rights of Children Are Non-Negotiable
A child’s pain knows no flag,
no passport, no religion.
The world needs coherence,
not factions.
As long as the international community continues to decide which deaths
deserve outrage and which do not, it will remain complicit in a hypocritical
and selective violence.
Whether a child is killed in Kherson,
Sderot, Nyala, or Idlib, the moral duty is the same:
to honor their memory, condemn their killers, and prevent it from ever
happening again.
In the case of Gaza, those responsible are Hamas—and the Western
left-wing leaders and intellectuals who weaponize those children's deaths
through antisemitic narratives.
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