Il Cavallo di Troia: quando l’inganno travolge la ragione
Tutti conosciamo la celebre vicenda narrata da Virgilio nell’Eneide: il leggendario inganno del cavallo di legno, con cui i Greci, dopo dieci anni di assedio inconcludente, riuscirono a conquistare la roccaforte troiana. Costruito da Epeo con l’aiuto della dea Atena e ideato da Ulisse, il colossale cavallo venne lasciato sulle rive di Troia mentre l’esercito acheo fingeva di ritirarsi, nascondendosi invece sull’isola vicina di Tenedo. Al suo interno, alcuni dei più valorosi guerrieri greci attendevano il momento di agire. I Troiani, ingannati dall’apparente ritirata nemica, discussero a lungo sul destino del misterioso dono, e alla fine lo trascinarono entro le mura cittadine. Quella notte stessa, i guerrieri uscirono dal cavallo, aprirono le porte della città e permisero all’esercito greco di entrare e distruggere Troia.
La forza di questa narrazione non è solo mitologica, ma eternamente attuale: essa rappresenta una strategia universale, quella dell’infiltrazione e della manipolazione, che risulta vincente quando il nemico è disorientato, quando i meccanismi di difesa razionali vengono abbassati e l’analisi critica si annebbia sotto il peso della retorica, della speranza o dell’ideologia.
Questa tecnica non si applica solo alla guerra militare, ma è spesso decisiva nei conflitti ideologici, culturali, perfino sociali. Pensiamo alla Guerra Fredda: il KGB sovietico non puntava solo alle armi ma al consenso, infiltrando ambienti universitari, movimenti pacifisti e organizzazioni culturali in Occidente. O ancora, al modo in cui regimi totalitari del XX secolo si sono serviti di intellettuali e artisti per propagandare messaggi all’apparenza pacificatori, ma funzionali a un progetto di potere.
Oggi, nel cuore del conflitto israelo-palestinese, il modello del “Cavallo di Troia” sembra riproporsi con contorni nuovi, ma dinamiche simili. Hamas – organizzazione riconosciuta come terroristica da molte nazioni – non affronta Israele solo sul piano militare, ma anche e soprattutto su quello ideologico. La narrazione del “genocidio” a Gaza, amplificata in molti contesti occidentali, ha trovato terreno fertile in movimenti legati alla tutela dei diritti civili: studenti universitari, attivisti per i diritti delle donne e delle minoranze, collettivi LGBT+, associazioni studentesche e centri sociali.
Ma qui si apre la contraddizione profonda e, per certi versi, tragica: l’Islam fondamentalista rappresentato da Hamas è radicalmente contrario a tutti i valori che questi movimenti professano. Nei territori governati da Hamas, l’omosessualità è perseguitata, le donne sono sottoposte a regole patriarcali e oppressive, la libertà di stampa e di opinione è pressoché inesistente.
Come può, allora, una parte della sinistra intellettuale europea – che affonda le sue radici storiche nella lotta contro fascismi e autoritarismi – sostenere, anche indirettamente, un’organizzazione che reprime proprio quei diritti per cui essa ha sempre combattuto? È qui che l’inganno si manifesta con la forza del paradosso: l’ideologia ha superato la realtà, la narrazione ha oscurato i fatti.
Questa forma di “utilità inconsapevole” – per citare Lenin che definiva alcuni simpatizzanti occidentali come "utili idioti" – si traduce in una disponibilità, a volte ingenua, a diventare strumenti inconsapevoli di una propaganda che nulla ha a che fare con i valori occidentali. Il cavallo, oggi, non è più di legno, ma è fatto di slogan, post virali, articoli accademici, appelli al “cessate il fuoco” che ignorano deliberatamente la matrice ideologica e violenta di Hamas.
E qui si inserisce il ruolo chiave della propaganda. Al Jazeera, emittente qatariota notoriamente vicina agli interessi dei Fratelli Musulmani – di cui Hamas è diretta emanazione – è il più potente megafono della narrazione pro-palestinese. Trasmissioni, reportage emotivi, immagini selezionate e decontestualizzate vengono rilanciate in tutto il mondo arabo e filtrate nel dibattito occidentale attraverso i social media e i media progressisti. Questo flusso unidirezionale viene poi raccolto e rilanciato nei talk show, nei telegiornali e persino nelle dichiarazioni istituzionali.
In Italia, questo fenomeno assume contorni inquietanti. Diversi leader politici si sono fatti portavoce – consapevoli o no – di questa narrazione distorta. Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) ha più volte evitato di condannare Hamas come organizzazione terroristica, preferendo parlare di “resistenza palestinese”. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha richiesto un “cessate il fuoco immediato” senza mai affrontare la responsabilità diretta di Hamas nell’innescare il conflitto e nel violare ogni principio di diritto internazionale umanitario. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha evocato il termine “genocidio” riferendosi all’operazione israeliana, ignorando completamente l’assenza di basi giuridiche per tale accusa, come evidenziato da numerosi esperti di diritto internazionale.
In questo scenario, i leader progressisti si trasformano in cassa di risonanza involontaria della propaganda di Hamas. E non si tratta solo di dichiarazioni: basti pensare alla presenza di bandiere palestinesi e striscioni filo-Hamas nei cortei per i diritti civili, all’interno di università italiane, eventi culturali e manifestazioni pacifiste. Chi lotta per la libertà, finisce così per sostenere – senza rendersene conto – chi la libertà la nega con ferocia.
Proprio come accadde a Troia, la città cadde non per forza militare, ma per ingenuità e divisione interna. Oggi il pericolo non bussa alle porte in armi, ma si insinua nei discorsi, nei post condivisi, nei talk televisivi, nei commenti dei leader politici. È il ritorno del Cavallo di Troia, in versione mediatica.
E come allora, la domanda è sempre la stessa: siamo pronti ad aprire le porte senza chiederci chi c’è nascosto dentro?
The Trojan Horse: When Deception Overwhelms Reason
We all know the famous story told by Virgil in the Aeneid: the legendary ruse of the wooden horse, through which the Greeks, after ten long years of fruitless siege, finally managed to conquer the fortified city of Troy. Built by Epeius with the help of the goddess Athena and conceived by Odysseus, the colossal horse was left on the shore outside Troy, while the Greek army pretended to retreat, hiding instead on the nearby island of Tenedos. Inside the horse, some of the most valiant Greek warriors waited silently. The Trojans, deceived by the apparent withdrawal, debated the fate of the mysterious gift, and ultimately brought it into the city walls. That very night, the hidden warriors emerged, opened the gates to the returning Greek army, and brought Troy to its knees.
The power of this narrative is not merely mythological but eternally relevant: it symbolizes a universal strategy—deception and infiltration—which prevails when the enemy is disoriented, and rational defenses are lowered under the weight of rhetoric, ideology, or misplaced hope.
This tactic is not limited to military conflict but is equally effective in ideological, cultural, and social struggles. Think of the Cold War: the Soviet KGB didn’t just rely on weapons but infiltrated Western universities, peace movements, and cultural organizations to win hearts and minds. Or think of how 20th-century totalitarian regimes used intellectuals and artists to spread seemingly peaceful messages that served authoritarian ends.
Today, at the center of the Israeli–Palestinian conflict, the model of the “Trojan Horse” resurfaces with new contours but familiar dynamics. Hamas—a group officially recognized as terrorist by many nations—does not face Israel solely on the battlefield but especially in the realm of ideas. The narrative of “genocide” in Gaza, amplified in many Western contexts, has found fertile ground among movements advocating civil rights: university students, women’s rights activists, LGBTQ+ collectives, minority associations, and left-wing social centers.
But here lies a profound and tragic contradiction: the fundamentalist Islam represented by Hamas is diametrically opposed to the very values these movements claim to uphold. In Hamas-controlled territories, homosexuality is criminalized, women are subject to strict patriarchal laws, and freedom of speech and press is nonexistent.
So how is it possible that a portion of the European left—historically rooted in anti-fascist and anti-authoritarian traditions—can lend support, even indirectly, to an organization that suppresses the very rights it has always defended? This is where deception takes on the force of paradox: ideology overwhelms reality, and narrative blinds truth.
This form of “useful idiocy”—to quote Lenin, who referred to sympathetic Westerners in these terms—manifests in a willingness, sometimes naive, to become unwitting instruments of propaganda completely disconnected from Western democratic values. The Trojan Horse today is not made of wood but of slogans, viral posts, academic articles, and calls for “immediate ceasefires” that deliberately ignore the violent and ideological nature of Hamas.
Here, propaganda plays a central role. Al Jazeera, the Qatari network closely aligned with the Muslim Brotherhood—of which Hamas is an offshoot—is a powerful megaphone for pro-Hamas narratives. Emotional reports, selectively edited footage, and unverified testimonies are broadcast throughout the Arab world and filtered into Western discourse via social media and progressive media outlets. This unidirectional flow is then echoed by talk shows, news broadcasts, and even official political statements.
In Italy, this phenomenon takes a particularly concerning shape. Various political leaders have become—knowingly or not—mouthpieces for this distorted narrative. Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) has repeatedly refused to label Hamas as a terrorist organization, preferring to refer to “Palestinian resistance.” Giuseppe Conte, leader of the Five Star Movement, has called for an “immediate ceasefire” without addressing Hamas’s role in triggering and perpetuating the conflict through constant violations of international humanitarian law. Elly Schlein, secretary of the Democratic Party (PD), invoked the term “genocide” in reference to Israel’s actions, ignoring the lack of any legal foundation for such an accusation, as pointed out by numerous international law experts.
In doing so, these progressive leaders have become an echo chamber for Hamas propaganda. And it’s not just words: one need only look at pro-Palestine rallies in Italy where rainbow flags fly next to posters glorifying jihadist leaders—an ideological paradox bordering on the absurd. Activists fighting for LGBTQ+ rights in Italy and France end up—perhaps unwittingly—supporting a cause represented by those who violently deny those very rights.
As in ancient Troy, the city fell not through brute force, but through internal naivety and division. Today, danger does not knock at the gates with battering rams but slips in through speeches, social media posts, primetime talk shows, and political declarations. The horse is already within the walls.
And just like then, the fundamental question remains:
Are we truly prepared to open the gates without asking who’s hiding inside?
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