
"Capisco bene chi invoca il dialogo, è una posizione nobile. Ma permettetemi di spiegare perché, secondo me, questa prospettiva, se non è ancorata alla realtà concreta e storica di quel contesto, rischia di essere solo retorica.
Per comprendere davvero ciò che accade in Medio Oriente, dobbiamo fare un passo indietro. Non possiamo analizzare quella realtà con le nostre categorie mentali occidentali, quelle che derivano dalla rivoluzione francese, dalla secolarizzazione e dal relativismo moderno. Il nostro sguardo è quello di chi ha interiorizzato il concetto di Stato laico, di dialogo tra religioni, di compromesso politico. Ma laggiù, in quelle terre, la logica è profondamente diversa.
Parliamoci chiaro: Israele esiste dal 1948, è uno Stato, è una potenza militare, ed è sostenuto dalla stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo, anche da quelli non religiosi. Che si sia o meno d’accordo con le politiche israeliane, questo è un dato di realtà. E se davvero vogliamo parlare di dialogo, dobbiamo prima accettare questo fatto, altrimenti stiamo immaginando soluzioni che partono da premesse false.
Poi c’è un altro punto, fondamentale: il conflitto non è solo territoriale. Se fosse così, come nel caso Russia-Ucraina, potremmo almeno ipotizzare una soluzione negoziale. Ma qui c'è di più: c’è una componente religiosa profonda, viscerale, che coinvolge visioni del mondo inconciliabili. L’Iran sciita, ad esempio, non ha mai nascosto di voler distruggere Israele. Non è una mia deduzione: è scritto, proclamato, è parte di una visione religiosa e ideologica. E agiscono in tal senso, armando e finanziando gruppi come Hamas, Hezbollah, gli Houthi.
Certo, molti parlano di dialogo interreligioso: tra cattolici ed ebrei, tra musulmani e cristiani... ma diciamoci la verità, spesso è un racconto che ci facciamo per stare meglio, per coltivare l’illusione di un "buon vicinato" globale. La religione, in quei contesti, non è una questione privata, ma identitaria, collettiva, totalizzante. Non è separabile dalla politica. Perciò, un laico, o un pensatore occidentale, non può pretendere di razionalizzare tutto ciò partendo dal proprio schema mentale: deve prima fare lo sforzo di capire la visione del mondo dell’altro.
Pensateci: per i cristiani, il dialogo è frutto di una maturazione storica, iniziata dopo le evangelizzazioni forzate e culminata con la secolarizzazione. Ma l’ebraismo non cerca proseliti, si fonda sull’alleanza con la propria terra, su Gerusalemme, sulla Torah. L’islam invece, almeno nella sua versione storica e tradizionale, promuove apertamente la diffusione della fede e la superiorità dell’umma islamica. Sono visioni molto diverse, che si confrontano in uno spazio dove la religione è ancora motore della storia.
E ancora: nel mondo islamico non c’è un fronte unico. C’è una lotta interna tra sciiti e sunniti. L’Iran sciita pretende la leadership spirituale e politica del mondo musulmano, mentre i Paesi sunniti più moderati – Arabia Saudita, Egitto, Emirati – pur contestando Israele a parole, di fatto temono l’Iran molto più. Per questo non si oppongono davvero a Tel Aviv: Israele, volenti o nolenti, sta facendo il lavoro sporco per loro, arginando l’espansione iraniana e il jihadismo sciita.
E i palestinesi? Sono diventati una pedina. Nessun Paese arabo li ha davvero integrati. Perché? Perché la cultura del martirio e della lotta armata li ha resi un popolo difficile da assorbire. E perché, anche per i Paesi arabi, la “questione palestinese” è utile a livello politico: mantiene alta la pressione su Israele e permette ai leader arabi di continuare a recitare la parte dei difensori dell’islam, senza compromettersi troppo.
In definitiva, io non sono contrario al dialogo. Ma il dialogo vero nasce dalla comprensione autentica dell’altro, non da una proiezione delle nostre categorie morali e razionali su chi non le condivide. Non è la buona volontà che basta, ma la capacità di vedere la storia, le ideologie, le fedi religiose per ciò che sono. E da lì – solo da lì – forse si può iniziare a parlare.
Altrimenti, è come voler dialogare tra sordi e ciechi. E in questo scenario, purtroppo, si rischia di alimentare illusioni pericolose. Se vogliamo davvero contribuire alla pace, dobbiamo iniziare ad ascoltare con le orecchie del Medio Oriente, non con quelle dell’Europa laica."