domenica 4 maggio 2025

Il terrorismo islamico in Europa/Islamic Terrorism in Europe




Terrorismo islamico in Europa: il rischio della legittimazione e le crepe nella sicurezza democratica

Nel cuore dell’Europa si agita una minaccia che da anni mina la stabilità e la coesione sociale del continente: il terrorismo islamico. Non si tratta solo di attentati o di cellule dormienti, ma di un rischio più profondo e insidioso: la progressiva legittimazione politica di attori e ideologie radicali, sotto la spinta di una retorica ideologica e disinformata.

Negli ultimi mesi, alcuni governi europei hanno espresso l’intenzione di riconoscere lo Stato di Palestina, talvolta aprendo al dialogo con Hamas come interlocutore politico. Una scelta che, nelle intenzioni ufficiali, dovrebbe favorire la soluzione dei “due popoli due Stati”. Ma che, in concreto, rischia di produrre effetti devastanti per l’Europa stessa.

Riconoscere un'entità che non si fonda su un processo di reciproco riconoscimento, e che al suo interno continua a legittimare la resistenza armata e il rifiuto dell’esistenza di Israele, significa inviare un messaggio chiaro: la violenza paga. Hamas, nella sua Carta fondativa del 1988, definisce Israele un’entità da eliminare e invoca la jihad come strumento politico e religioso. Anche il documento del 2017, spesso citato come segnale di moderazione, non riconosce Israele né rinuncia alla lotta armata. La sua ideologia resta ancorata a una visione teocratica, irriducibile e militarizzata.

Il rischio è quello di normalizzare il terrorismo come strumento di pressione politica. Legittimare Hamas equivale a premiare strategie fondate sull’attacco sistematico alla convivenza, sul sabotaggio della diplomazia e sull’uso del terrore come mezzo di negoziazione. E questo, in una Europa già scossa da tensioni identitarie e radicalizzazioni crescenti, potrebbe rappresentare un colpo alla tenuta democratica interna.

Nel frattempo, il terrorismo jihadista muta pelle. In Spagna, cresce nei penitenziari e nelle periferie abbandonate, alimentato da disagio sociale e propaganda digitale. In Francia, le autorità hanno sventato 45 attentati nel solo 2023, mentre giovani radicalizzati cresciuti nelle banlieue diventano il nuovo volto del jihadismo domestico. In Germania, il pericolo è legato all’ISPK (Stato Islamico della Provincia di Khorasan) e alla “scena islamista nordcaucasica”, con cellule che progettano attacchi coordinati, come quello sventato al Duomo di Colonia, o attentati ai mercatini di Natale.

In Inghilterra, persino l’arte è finita sotto il mirino dell’antiterrorismo, come nel caso del gruppo rap Kneecap, accusato di sovversione. La linea che separa dissenso e pericolo, espressione e minaccia, si fa sempre più sottile. Ma proprio in questa ambiguità si nasconde il nuovo volto della radicalizzazione: meno appariscente, più ideologica, più capace di insinuarsi nei vuoti della politica e della cultura.

Oggi il jihadismo non si limita a colpire con le armi, ma cerca legittimazione politica, riconoscimento pubblico, spazio nei processi decisionali. E l’Europa, nel suo tentativo di mediazione o di consenso, rischia di indebolire se stessa.

La domanda è urgente: fino a che punto è possibile dialogare con chi rifiuta il dialogo? E quanto può resistere una democrazia che tollera il terrorismo sotto l’abito della causa nazionale?

Nel momento in cui si apre alla legittimazione di chi rifiuta l’esistenza dell’altro, non si costruisce la pace: si mina la sicurezza. E l’Europa, se vuole restare fedele ai suoi valori, dovrà deciderlo chiaramente.

 

Islamic Terrorism in Europe: The Risk of Legitimization and Cracks in Democratic Security

At the heart of Europe, a threat has long been undermining the continent’s stability and social cohesion: Islamic terrorism. It’s not just about attacks or dormant cells, but about a deeper and more insidious risk—the progressive political legitimization of radical actors and ideologies, driven by ideological and misinformed rhetoric.

In recent months, some European governments have expressed their intention to recognize the State of Palestine, at times even opening dialogue with Hamas as a political interlocutor. Officially, such moves are presented as steps toward the “two states for two peoples” solution. But in reality, they risk having devastating consequences for Europe itself.

Recognizing an entity not founded on mutual recognition, and which internally continues to legitimize armed resistance and deny Israel’s existence, sends a clear message: violence pays. Hamas, in its founding charter of 1988, defines Israel as an entity to be eliminated and calls for jihad as a political and religious tool. Even the 2017 document—often cited as a sign of moderation—does not recognize Israel or renounce armed struggle. Its ideology remains anchored in a theocratic, intransigent, and militarized vision.

The risk is the normalization of terrorism as a tool of political pressure. Legitimizing Hamas is equivalent to rewarding strategies based on the systematic attack on coexistence, the sabotage of diplomacy, and the use of terror as a negotiating tactic. And in a Europe already shaken by identity tensions and growing radicalization, this could deal a severe blow to internal democratic stability.

Meanwhile, jihadist terrorism is evolving. In Spain, it is growing within prisons and neglected suburbs, fueled by social unrest and digital propaganda. In France, authorities thwarted 45 attacks in 2023 alone, while radicalized youths from the banlieues have become the new face of domestic jihadism. In Germany, the threat is linked to ISPK (Islamic State–Khorasan Province) and the "North Caucasian Islamist scene," with cells planning coordinated attacks—such as the one foiled at Cologne Cathedral—or plotting assaults on Christmas markets.

In the UK, even art has come under the scrutiny of counterterrorism, as seen in the case of the rap group Kneecap, accused of subversive activity. The line between dissent and danger, expression and threat, is becoming increasingly blurred. And it is in this ambiguity that the new face of radicalization hides: less overt, more ideological, and more capable of infiltrating the voids of politics and culture.

Today, jihadism does not limit itself to violence—it seeks political legitimacy, public recognition, and a role in decision-making processes. And in its attempt to mediate or appease, Europe risks weakening itself.

The question is urgent: how far can one go in dialoguing with those who reject dialogue? And how long can a democracy survive if it tolerates terrorism under the guise of a national cause?

When legitimacy is granted to those who deny the existence of others, peace is not built—security is undermined. And if Europe wishes to remain true to its values, it must make that choice clear.


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