La storia degli ebrei in Terra di Israele/Palestina è lunga e complessa, con periodi di esilio e di ritorno. Tuttavia, è importante notare che, nonostante gli esili e le persecuzioni, gli ebrei hanno sempre mantenuto una presenza in Terra di Israele/Palestina.
Anche durante i periodi di esilio, gli ebrei sono rimasti legati alla loro terra d'origine e hanno continuato a vivere lì, anche se in minoranza. Questo è stato possibile grazie alla presenza di comunità ebraiche in città come Gerusalemme, Safed, Tiberiade e Hebron.
Inoltre, durante il periodo ottomano (1517-1917), gli ebrei hanno potuto tornare in Terra di Israele/Palestina e stabilirsi lì. Molti ebrei provenienti dall'Europa e dal Nord Africa sono emigrati in Palestina durante questo periodo.
D'altra parte, la presenza araba in Palestina è relativamente recente. Infatti, la maggior parte dei palestinesi odierni sono discendenti di arabi giordani e siriani che si sono trasferiti in Palestina durante il periodo ottomano e britannico (1917-1948). Prima di quel periodo, la regione era abitata da una popolazione mista di ebrei, cristiani e musulmani.
Inoltre, fino agli anni '60 del XX secolo, i palestinesi non erano considerati un popolo distinto, ma piuttosto come parte della più ampia comunità araba. La creazione di un'identità palestinese distinta è un fenomeno relativamente recente, che si è sviluppato in risposta alla creazione dello Stato di Israele e al conflitto israelo-palestinese.
Quindi, sebbene gli ebrei siano stati esiliati e perseguitati nel corso della storia, hanno sempre mantenuto una presenza in Terra di Israele/Palestina. La creazione di uno Stato ebraico in Palestina è stata una risposta legittima alla storia di persecuzione e di esilio degli ebrei, e non ha cancellato i diritti dei palestinesi, ma ha piuttosto creato una situazione complessa che richiede una soluzione negoziata e pacifica non sempre possibile.
La questione palestinese è stata imposta alla comunità internazionale mediante pochi leader che non erano neanche palestinesi, in chiave antisionista. Si deve considerare che dalla fondazione dello Stato di Israele ogni tentativo militare arabo è fallito, da cui il ricorso al terrorismo.
Se consideriamo legittimo il terrorismo palestinese come metodo di lotta per rivendicare uno Stato, allora dobbiamo considerare legittimo il terrorismo come metodo di lotta in generale.
Tuttavia, questo solleva una serie di problemi etici e morali. Il terrorismo, per definizione, coinvolge l'uso della violenza e della paura per raggiungere obiettivi politici, e spesso comporta la morte e il ferimento di innocenti.
Gli attentati palestinesi nel mondo hanno causato la morte e il ferimento di migliaia di persone, tra cui civili, donne e bambini. Alcuni esempi includono:
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Gli attentati alle Olimpiadi di Monaco del 1972, in cui 11 atleti israeliani furono uccisi.
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L'attentato alla sinagoga di Roma del 1982, in cui 2 persone furono uccise e 37 ferite.
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Gli attentati suicidi a Gerusalemme e Tel Aviv negli anni '90 e 2000, in cui centinaia di persone furono uccise e ferite.
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L'attentato alla scuola di Ma'alot del 1974, in cui 22 scolari furono uccisi.
Se consideriamo legittimo il terrorismo palestinese, allora dobbiamo anche considerare legittimo il terrorismo di altre organizzazioni, come Al-Qaeda, l'ISIS, le Brigate Rosse, l'ETA basca, ecc. Questo significherebbe che la violenza e il terrore sono accettabili come metodi di lotta politica, il che è moralmente ed eticamente inaccettabile, oltre che estremamente pericoloso.
Inoltre, è importante notare che i palestinesi negano il diritto di esistere dello Stato ebraico per ragioni religiose, in quanto considerano la Palestina come una terra sacra islamica (waqf) e ritengono che gli ebrei non abbiano il diritto di stabilirsi lì.
Il Corano contiene alcuni versetti che possono essere interpretati come una prescrizione di violenza contro gli ebrei, i cristiani e altri non musulmani, come ad esempio la sura 9, versetto 29.
Questi fattori aggiungono un'ulteriore dimensione di complessità alla questione, e sottolineano l'importanza di promuovere metodi di lotta pacifici e democratici, come la negoziazione, la diplomazia e la protesta non violenta.
Tuttavia, è doveroso osservare che parlare di "negoziato" risulta particolarmente complesso considerando il contesto religioso. In particolare, l'Islam, nella sua interpretazione più tradizionale, non prevede il riconoscimento di uno Stato non musulmano su una terra considerata sacra. Questa visione rende estremamente difficile la possibilità di un compromesso duraturo, poiché per molti non si tratta solo di una questione politica, ma di un dovere religioso.
Allo stesso modo, per gli ebrei religiosi, la Terra di Israele non è semplicemente una patria storica o politica, ma costituisce un elemento fondamentale della fede ebraica, radicato nella promessa divina fatta ad Abramo. La terra ha un valore sacro e costitutivo dell’identità religiosa e nazionale ebraica. Ignorare questa dimensione spirituale significa fraintendere la profondità del legame ebraico con la regione.
Se le diplomazie occidentali non tengono conto di questo duplice elemento religioso — da entrambe le parti — sarà impossibile trovare soluzioni stabili e durature. La questione israelo-palestinese non può essere trattata come una semplice disputa territoriale: essa tocca convinzioni profonde, identità religiose e visioni del mondo non facilmente negoziabili.
Invece di legittimare il terrorismo, dovremmo lavorare per creare un ambiente in cui i diritti e le esigenze di tutte le parti coinvolte siano rispettati e considerati. Ciò richiede un impegno sincero per la pace, la giustizia e la comprensione reciproca.
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