L’antico veleno dell’antisemitismo e le nuove forme della propaganda: dalla Chiesa medievale ad Al Jazeera, passando per Hamas e il Vaticano
Accusati di rapire bambini cristiani e berne il sangue: è uno dei più vecchi e infondati miti antisemiti della storia europea. Una menzogna, quella dell’omicidio rituale, costruita nel Medioevo dalla propaganda religiosa cattolica per giustificare pogrom, espulsioni e ghetti. Un meccanismo di disumanizzazione che, con nuove maschere, continua a riprodursi nei secoli: dal Terzo Reich alla propaganda di Hamas, fino a certe narrazioni contemporanee alimentate da media apparentemente neutrali, come Al Jazeera, e da linguaggi ambigui provenienti da istituzioni religiose internazionali, Vaticano incluso.
La continuità dell’odio: il modello Goebbels
Nel XX secolo, il nazismo portò l’antisemitismo all’estremo: Joseph Goebbels non inventò gli stereotipi contro gli ebrei, ma seppe industrializzarli. Il suo apparato mediatico trasformò il pregiudizio in ideologia di Stato, legittimando con il consenso popolare la “Soluzione finale”. Gli ebrei, presentati come parassiti, complottisti, corrotti, diventarono bersaglio di una delle macchine di sterminio più perfette della storia moderna. La parola d’ordine era semplice: ripetere la menzogna finché non diventa verità.
Hamas e la narrazione dell’odio
La strategia comunicativa di Hamas ricalca molte di queste tecniche. L'organizzazione palestinese, ritenuta terroristica da Unione Europea, Stati Uniti e Israele, diffonde una narrativa che dipinge Israele come entità assoluta del male, legittimando così la violenza contro civili. La demonizzazione non colpisce solo lo Stato, ma tutto il popolo ebraico, in un gioco pericoloso in cui la distinzione tra conflitto geopolitico e odio etnico si annulla. La cultura della martirizzazione, la glorificazione della violenza e l’uso dei bambini come strumenti simbolici sono elementi centrali di questa macchina propagandistica.
Qatar, Hamas e l’ambigua imparzialità di Al Jazeera
In questo quadro, Al Jazeera rappresenta un caso emblematico. Considerata da molti in Occidente come fonte autorevole di informazione internazionale, la rete con sede a Doha è finanziata direttamente dal governo del Qatar, lo stesso governo che ospita da anni i leader di Hamas. Un legame che pone interrogativi cruciali: è possibile garantire una copertura imparziale di un conflitto quando si è economicamente e politicamente legati a una delle parti in causa? È una domanda scomoda, che tocca il cuore della credibilità giornalistica. I contenuti prodotti e rilanciati da Al Jazeera in Occidente — reportage selettivi, framing emotivo e narrazioni unilaterali — sembrano più strumenti di persuasione ideologica che inchieste equilibrate. In gergo occidentale si parlerebbe di conflitto di interessi strutturale.
Il Vaticano e il peso delle parole
Ma anche la voce morale della Chiesa cattolica è finita al centro di una tempesta diplomatica e semantica. A novembre 2024, Papa Francesco ha dichiarato, nel libro La speranza non delude mai, che “secondo alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio”. Parole caute, ma che hanno fatto esplodere la reazione dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede: «Genocidio è stato il massacro del 7 ottobre», ha replicato duramente Tel Aviv, accusando il Pontefice di alimentare indirettamente l’isolamento diplomatico di Israele.
Il Papa ha più volte condannato l’antisemitismo e incontrato le famiglie degli ostaggi israeliani. Ma in un’epoca in cui ogni parola è amplificata e politicizzata, anche l’ambiguità lessicale può essere strumentalizzata. Il rischio è che, pur senza intenzione, il linguaggio vaticano finisca per legittimare la narrazione “genocidaria” di Hamas, fornendo copertura morale a chi non cerca la pace, ma l’eliminazione dell’altro.
Dove finisce il diritto e inizia la propaganda
La questione di Gaza è tragica e reale. Il blocco, denunciato da Oxfam come "prigione a cielo aperto", ha avuto effetti devastanti sulla popolazione palestinese. Ma le critiche alle politiche israeliane devono restare distinte dal pregiudizio etnico o religioso. Troppe volte si scivola da un’analisi politica legittima a una demonizzazione del “popolo ebraico”, spesso mascherata da attivismo umanitario o anticolonialismo.
L’antisemitismo non ha mai avuto un solo volto. Assume maschere diverse in ogni epoca: teologica, ideologica, politica, mediatica. Ma resta sempre lo stesso veleno, capace di trasformare la menzogna in verità, la legittima difesa in crimine, la vittima in carnefice.
Oggi come ieri, combatterlo significa una cosa sola: difendere la verità, anche quando è scomoda.