domenica 6 aprile 2025

LA CASA NEGATA: GIOVANI, FAMIGLIE E IL NUOVO GHETTO DELL’ABITARE

 


Un sogno sempre più irraggiungibile.
È questa la realtà che si presenta a migliaia di giovani coppie, studenti e famiglie monoreddito che cercano di costruirsi una vita autonoma. Trovare una casa oggi in Italia, specie nelle grandi città come Roma e Milano, è diventato un lusso riservato a pochi. Se non sei figlio di un professionista, di un imprenditore, di un politico o di un dirigente con un solido patrimonio immobiliare alle spalle, il mercato ti esclude o ti espelle.

Dati alla mano, la situazione è drammatica.
Secondo il rapporto ISTAT 2023, oltre il 40% dei giovani under 35 vive ancora nella casa dei genitori, non per scelta, ma per necessità economica. A Roma, l’affitto medio di un monolocale ha superato i 900 euro mensili, mentre a Milano si sfiorano i 1.100 euro. Per studenti universitari o neolaureati con contratti precari, accedere a un affitto regolare è un’impresa titanica.

E non basta poter pagare: ai futuri inquilini vengono richieste garanzie spropositate, come fideiussioni bancarie o genitori garanti con redditi alti, condizioni che di fatto escludono la maggior parte delle persone normali. Come se si stesse richiedendo un mutuo e non la semplice locazione di un piccolo appartamento.

Le famiglie monoreddito e le madri single sono ancora più penalizzate.
Secondo il CENSIS, 1 famiglia su 5 in Italia vive in condizioni di vulnerabilità abitativa. Il risultato? Una crescente marginalizzazione sociale. Nel frattempo, in ogni angolo delle nostre città spuntano Bed&Breakfast e affitti turistici: il numero di B&B a Roma è aumentato del 29% negli ultimi cinque anni (fonte: Confcommercio 2024), riducendo ulteriormente l’offerta di immobili destinati all’affitto residenziale.

Ma quali sono le cause di questa emergenza abitativa?
Una parte della sinistra politica tende a indicare nella “proprietà privata” la radice del problema, legittimando, di fatto, pratiche come l’occupazione abusiva delle case. Non a caso, l’Onorevole Ilaria Salis, eletta al Parlamento Europeo nonostante una pendenza penale, ha più volte sostenuto l’occupazione come strumento di rivendicazione sociale. Questo messaggio, già di per sé pericoloso, si somma all'azione di gruppi criminali organizzati, spesso composti da immigrati irregolari o comunità rom, che occupano illegalmente appartamenti pubblici e privati.

A questo si aggiunge un altro fenomeno sommerso:
Sempre più spesso, persone che hanno perso il lavoro smettono di pagare l'affitto e, protette da una normativa estremamente garantista, restano negli immobili per mesi o anni, rendendo complesso e costoso il procedimento di sfratto. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2023 ci sono stati oltre 53.000 sfratti esecutivi pendenti, ma solo il 18% è stato effettivamente eseguito.

Il quadro si complica ulteriormente quando si affrontano le occupazioni abusive. In Italia, il recupero di un immobile occupato è spesso lento e ostacolato da interpretazioni giurisprudenziali che, in nome dell’inclusione sociale, sacrificano i diritti dei proprietari.

E allora, viene naturale chiedersi: perché i proprietari oggi chiedono così tante garanzie? Perché preferiscono gli affitti brevi turistici invece di rischiare lunghi contenziosi legali? La risposta non è nella "cattiveria" del privato, ma in un sistema legislativo che penalizza chi affitta in modo regolare e tutela chi viola le regole.

La vera radice del problema è un impianto normativo sbagliato, che protegge l’illegalità e disincentiva il mercato residenziale. Leggi confuse, procedure di sfratto farraginose e una magistratura spesso imbrigliata da pregiudizi ideologici creano un ambiente tossico, in cui il diritto alla casa si trasforma in privilegio per pochi.

In questo contesto, senza sponsor politici o appoggi influenti, trovare casa diventa quasi impossibile.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: giovani costretti a restare a casa dei genitori, famiglie spezzate, studenti fuori sede in difficoltà cronica. E intanto il tessuto sociale delle nostre città si sfilaccia, mentre nessuno sembra voler cambiare davvero le regole del gioco.


Va-icra Levitico 1-5 Sacrificare il proprio EGO

 



L'Olocausto, in ebraico olah (עֹלָה), deriva da una radice che significa "salire". Era un sacrificio completamente bruciato sull'altare: il fumo si innalzava verso Dio, senza che nessuna parte dell’animale venisse consumata. Era un gesto di dedizione totale e sottomissione alla volontà divina, non necessariamente legato al peccato, ma espressione di amore assoluto verso Dio.

Accanto a questo tipo di sacrificio troviamo i shelamim (שְׁלָמִים), i sacrifici di pace o offerte di benessere. Il termine evoca pace, completezza e armonia. In questo caso, l’animale veniva sacrificato ma il dono era condiviso: una parte veniva bruciata sull’altare, una parte mangiata dai sacerdoti e una parte dallo stesso offerente, spesso in compagnia di amici e parenti, in un banchetto sacro che celebrava l'armonia con Dio.

Esistevano anche sacrifici legati all’espiazione dei peccati, come il chatat (חַטָּאת) e l’asham (אָשָׁם). Il chatat veniva offerto per errori involontari, mentre l’asham era richiesto per colpe più gravi, come appropriazioni indebite o profanazioni del sacro. In questi sacrifici, parte dell’animale veniva bruciata, parte assegnata ai sacerdoti, e il sangue impiegato in riti specifici di purificazione.

La Torah ci offre esempi concreti: Abramo che offre Isacco sul monte Moriah è un olocausto; il nazirato che si concludeva con i shelamim; e il Sommo Sacerdote che a Yom Kippur offriva un chatat per purificare l’intero popolo.

Solo animali domestici e mansueti potevano essere sacrificati: bovini, ovini, caprini, simboli della parte più pura e controllata dell’essere umano. Chi non poteva permettersi grandi offerte, poteva presentare un sacrificio più umile, come colombe o farina, perché a Dio importa il cuore, non il valore materiale.

Il toro rappresentava forza, orgoglio e potenza fisica: offrire un toro significava sottomettere la propria forza a Dio. La pecora e l’agnello, simboli di innocenza e umiltà, rappresentavano la fedeltà e la purezza. La capra, più indipendente, alludeva alla testardaggine umana. Gli uccelli, come le tortore e i colombi, erano l’offerta dei poveri, e simboleggiavano semplicità e pace. Le offerte farinacee, come la minchah, erano per chi non poteva offrire animali: semplici ingredienti – farina, olio e incenso – ma il gesto era carico di valore, come insegna il Talmud: "Chi offre una minchah è come se avesse offerto la propria anima."

A questo si collega un bellissimo Midrash narrato in Vayikrà Rabbah. Un uomo, tanto povero da non poter permettersi nemmeno una colomba, desiderava comunque avvicinarsi a Dio. Raccolse la poca farina che aveva e la portò come offerta al Tempio. Dio, vedendo il suo cuore, disse: "È come se avesse offerto la sua stessa vita davanti a Me." Quella manciata di farina, donata con amore, fu accolta da Dio con più gioia di tanti tori e arieti sacrificati dai ricchi.

Il Talmud, in Menachot, aggiunge che oggi chi studia e recita le parti della Torah sui sacrifici è considerato come se li avesse realmente offerti. Il Midrash Tanchuma racconta ancora che, dopo la distruzione del Tempio, gli angeli chiesero a Dio come sarebbe stato possibile mantenere il legame con Lui senza più sacrifici. Dio rispose: "Quando leggono e studiano la Torah sui korbanot, è come se Mi portassero tori sull'altare." E aggiunse: una preghiera detta con sincerità vale più di mille tori sacrificati senza cuore.

Le parole sincere salgono fino al Trono Celeste, proprio come i profumi e i fumi dei sacrifici antichi. Oggi, il nostro cuore è il nuovo altare. Il Salmo 51 lo esprime meravigliosamente: "I sacrifici di Dio sono uno spirito spezzato; un cuore contrito e umile, Dio non disprezzerà." Non conta quanto offriamo materialmente, conta quanto ci doniamo con sincerità.

Oggi i nostri "sacrifici" sono la preghiera, che ha preso il posto dei korbanot; lo studio della Torah, che è come offrire un olocausto; e gli atti di gentilezza, che sostituiscono i shelamim di pace.

Nel sistema dei sacrifici, anche il tipo di animale offerto rifletteva la gravità della colpa e la responsabilità della persona. Il Sommo Sacerdote e il popolo, responsabili spiritualmente dell’intera nazione, offrivano un toro, simbolo di forza e orgoglio da purificare. I principi offrivano un capro, animale associato alla testardaggine, mentre le persone comuni offrivano una pecora o una capra femmina, segno di peccati più personali e fragili.

Quando la colpa era collettiva, era come una ferita inferta al "corpo unico" di Israele. Nella Torah, Israele non è una somma di individui, ma un solo organismo vivente. Se un dito si ferisce, soffre solo il dito; ma se si ferisce il cuore, l'intero corpo è in pericolo. Una colpa collettiva è una ferita al cuore stesso di Israele.

Dio ha scelto Israele per essere "una luce per le nazioni". Quando Israele pecca come popolo, la sua missione si oscura, e con essa ne soffre tutto il progetto divino per il mondo. La purezza spirituale di Israele non riguarda solo se stesso, ma anche il benessere dell’umanità intera.

Nella tradizione ebraica vige il principio "Kol Yisrael arevim zeh bazeh" – "Tutti gli ebrei sono responsabili gli uni degli altri". Non esiste salvezza personale separata: ogni individuo ha una responsabilità reciproca, deve educare, aiutare e migliorare chi gli sta intorno. Se una società intera sbaglia, vuol dire che qualcosa si è rotto nel tessuto stesso della comunità, e tutti ne portano una parte di responsabilità.

Quando Israele è unito, è come un unico cuore vivo e pulsante. Quando pecca collettivamente, è come se tutto il cuore fosse ferito. La santità si moltiplica quando il popolo è unito nella purezza, ma si ritira quando cade nel peccato. E questa perdita non colpisce solo Israele, ma tutto il mondo, che da Israele attende luce, guida e benedizione.

LA CASA NEGATA: GIOVANI, FAMIGLIE E IL NUOVO GHETTO DELL’ABITARE

  Un sogno sempre più irraggiungibile. È questa la realtà che si presenta a migliaia di giovani coppie, studenti e famiglie monoreddito che...