domenica 4 maggio 2025

Il terrorismo palestinese /The Forgotten Attacks: When Palestinian Terrorism Targeted Europe

 


 

 Gli attentati dimenticati: quando il terrorismo palestinese colpiva l’Europa

Dalla fondazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nel 1964, l'Europa ha vissuto diverse fasi di minaccia terroristica di matrice islamista. Inizialmente, gli attacchi erano orchestrati da gruppi organizzati come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e Settembre Nero. Negli ultimi anni, invece, si è assistito a una crescente incidenza di attacchi perpetrati da singoli individui radicalizzati, spesso ispirati dalla propaganda jihadista online.

  • 1972, Monaco di Baviera: 11 atleti israeliani uccisi da Settembre Nero alle Olimpiadi.
  • 1973, Fiumicino (Italia): 34 morti in un attacco del FPLP all’aeroporto.
  • 1976, Entebbe (dirottamento aereo): ostaggi ebrei selezionati e separati dagli altri passeggeri.
  • 1982, Roma: un bambino ucciso e decine di feriti all’uscita dalla sinagoga.
  • 1985, Fiumicino e Vienna: 19 morti in attacchi coordinati del gruppo Abu Nidal.

Dall’organizzazione al lupo solitario: la minaccia continua

Oggi gli attentati non arrivano più solo dai gruppi strutturati. Negli ultimi dieci anni, una nuova ondata di terrorismo ha colpito l’Europa: quella dei singoli individui radicalizzati, spesso immigrati o figli di immigrati musulmani, cresciuti in Europa e radicalizzati online o nelle moschee.

Attacchi terroristici in Europa da parte di individui radicalizzati

Negli ultimi anni, l'Europa ha assistito a una serie di attacchi terroristici compiuti da singoli individui radicalizzati, spesso ispirati dalla propaganda jihadista online. Questi attacchi, definiti "low cost" per la loro semplicità e imprevedibilità, hanno colpito diverse città europee.

Alcuni esempi:

Francia

  • Nizza, Francia (14 luglio 2016): Durante le celebrazioni della festa nazionale, un uomo ha guidato un camion sulla folla lungo la Promenade des Anglais, uccidendo 86 persone e ferendone oltre 400. L'attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico
  • Assassinio di Samuel Paty (16 ottobre 2020): Un insegnante di storia è stato decapitato a Éragny da un giovane ceceno radicalizzato, dopo aver mostrato in classe caricature di Maometto durante una lezione sulla libertà di espressione.
  • Attentato al liceo di Arras (13 ottobre 2023): Un ex studente radicalizzato ha accoltellato a morte un insegnante e ferito altre persone all'interno di un liceo.

Germania

  • Berlino, Germania (19 dicembre 2016): Un camion è stato lanciato contro il mercatino di Natale a Breitscheidplatz, causando 12 morti e 56 feriti. L'attentatore, un tunisino radicalizzato, è stato ucciso dalla polizia italiana alcuni giorni dopo.
  • Attacco a Solingen (23 agosto 2024): Un siriano di 26 anni ha accoltellato tre persone durante una festa locale, uccidendole. L'attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico.
  • Attacco a Mannheim (maggio 2024): Un poliziotto è stato pugnalato a morte durante un controllo di routine.

Belgio, Olanda, Svezia: decine di attacchi falliti o sventati da individui con profilo jihadista.

Stoccolma, Svezia (7 aprile 2017):

Un uomo ha guidato un camion contro i pedoni in una zona commerciale, uccidendo cinque persone e ferendone 15. L'attacco è stato attribuito a un richiedente asilo uzbeko radicalizzato

Londra, Regno Unito (3 giugno 2017): Un furgone è stato utilizzato per investire pedoni sul London Bridge, seguito da un attacco con coltelli al Borough Market. Otto persone sono state uccise e 48 ferite

Austria

Attacco a Vienna (2 novembre 2020): Un attentatore ha aperto il fuoco in diverse zone del centro città, uccidendo quattro persone e ferendone altre 23. L'attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico.

Attacchi con veicoli: la nuova strategia del terrore

Una delle tattiche più devastanti adottate dai terroristi negli ultimi anni è l'uso di veicoli per investire deliberatamente civili. Questi attacchi, spesso perpetrati da singoli individui radicalizzati, hanno causato numerose vittime in diverse città europee.

Tutti questi episodi sono legati da un filo comune: il rifiuto violento della cultura occidentale e dei suoi valori, mascherato da atti isolati ma chiaramente ispirati a una visione totalitaria dell’Islam.

Negli ultimi anni, l'Italia ha assistito a diversi episodi di violenza perpetrati da individui di origine islamica, spesso radicalizzati, che hanno utilizzato coltelli o altri oggetti contundenti per attaccare civili o forze dell'ordine. Sebbene molti di questi attacchi non siano stati formalmente rivendicati da organizzazioni terroristiche, le modalità e le motivazioni suggeriscono una matrice jihadista o comunque ispirata all'estremismo islamico.

Attacchi con coltello in Italia attribuiti a individui radicalizzati

Torino, aprile 2019
Un cittadino senegalese di 26 anni, Ndiaye Migui, ha aggredito due poliziotti al grido di "Allah Akbar". L'uomo, già destinatario di due provvedimenti di espulsione, aveva precedentemente rifiutato di farsi identificare e aveva aggredito un vigilante con una sbarra di ferro. È stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio

Roma, aprile 2019
Un altro episodio simile si è verificato nella capitale, dove un immigrato musulmano ha aggredito passanti con un coltello, inneggiando ad Allah e insultando la fede cristiana. Anche in questo caso, l'aggressore è stato arrestato dalle forze dell'ordine.

Milano, ottobre 2023
Due uomini egiziani sono stati arrestati con l'accusa di essere membri dell'ISIS, pochi giorni dopo che un altro egiziano aveva accoltellato diverse persone nel capoluogo lombardo, in risposta agli attacchi israeliani su Gaza. Questi episodi hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla presenza di cellule radicalizzate sul territorio italiano.

Sebbene l'Italia non abbia subito attacchi terroristici su larga scala come quelli avvenuti in altri paesi europei, questi episodi evidenziano la presenza di individui radicalizzati pronti a compiere atti violenti. Le autorità italiane continuano a monitorare attentamente la situazione, cercando di prevenire ulteriori attacchi attraverso l'intelligence e la cooperazione internazionale.

Evoluzione della minaccia

Secondo Europol, la maggior parte degli attentati terroristici nell'UE sono compiuti da estremisti solitari, spesso radicalizzati attraverso contenuti online. Questi individui, pur agendo da soli, sono spesso influenzati da reti di propaganda ben organizzate.

Conclusione: riconoscere cosa, e a quale prezzo?

Il riconoscimento dello “Stato di Palestina” in questo momento, senza condizioni, senza reciprocità e sotto la pressione di una minoranza ideologizzata e spesso ostile all’identità europea, rappresenta una resa morale, diplomatica e culturale. Non si tratta di pace. Si tratta di sottomissione strategica.

L’Europa, culla di diritti, si sta piegando non per convinzione, ma per timore. E nel farlo, non solo non avvicina la pace, ma legittima il terrorismo, indebolisce Israele e si consegna a chi non riconosce nemmeno il suo stesso diritto di esistere.

L'occultamento linguistico: quando “islamico” diventa impronunciabile

Eppure, davanti a questa lunga sequenza di attacchi, emerge un altro dato inquietante: la sistematica riluttanza da parte di molti media europei a usare il termine “islamico” per descrivere la matrice ideologica degli attentatori. Negli articoli di cronaca e nei lanci delle agenzie, si preferisce parlare di “uomini armati”, “squilibrati”, “lupi solitari” o “profili a rischio”, mentre la motivazione religiosa – quando pure confermata dalle indagini – viene minimizzata o omessa del tutto.

Questa censura semantica, che si presenta come forma di prudenza o di rispetto multiculturale, ha l’effetto paradossale di disinformare l’opinione pubblica, oscurando il movente ideologico e impedendo un dibattito lucido su una minaccia reale. Si evita il termine “islamico” anche quando gli attentatori gridano “Allahu Akbar” durante gli attacchi, lasciano messaggi di fedeltà all’ISIS o confessano esplicitamente di aver agito “per la causa”.

In realtà, questa reticenza riflette il clima di paura che aleggia nella narrazione occidentale: paura di essere etichettati come islamofobi, paura di provocare tensioni sociali, paura di dire una verità scomoda. Ma non si combatte un’ideologia violenta nascondendola dietro eufemismi. Al contrario: solo chiamandola per nome si può disinnescarla.

In questo contesto, la scelta di riconoscere politicamente uno “Stato” che ospita o tollera attori come Hamas, e di farlo sotto la pressione delle piazze radicalizzate, è un gesto che non nasce da un’idea di pace, ma da un clima di paura culturale e complicità ideologica.

Conclusione

L'Europa continua a fronteggiare una minaccia terroristica in evoluzione, con attacchi sempre più imprevedibili e compiuti da singoli individui radicalizzati. La risposta delle autorità si concentra sulla prevenzione della radicalizzazione e sul monitoraggio delle reti di propaganda online, tuttavia davanti al processo culturale di islamizzazione non sarà sufficiente.

 

 

 

The Forgotten Attacks: When Palestinian Terrorism Targeted Europe

Since the founding of the Palestine Liberation Organization (PLO) in 1964, Europe has gone through several phases of Islamist-inspired terrorist threats. Initially, attacks were orchestrated by organized groups such as the Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP) and Black September. In recent years, however, there has been a growing trend of attacks carried out by radicalized lone individuals, often inspired by online jihadist propaganda.

  • 1972, Munich: 11 Israeli athletes killed by Black September during the Olympic Games.
  • 1973, Fiumicino (Italy): 34 dead in a PFLP attack at the airport.
  • 1976, Entebbe (Plane Hijacking): Jewish hostages selected and separated from other passengers.
  • 1982, Rome: A child killed and dozens injured outside the synagogue.
  • 1985, Fiumicino and Vienna: 19 dead in coordinated attacks by the Abu Nidal group.

From Organizations to Lone Wolves: The Threat Persists

Today, terrorist attacks no longer come only from structured groups. Over the past decade, a new wave of terrorism has hit Europe: attacks by radicalized individuals, often Muslim immigrants or second-generation youth, raised in Europe and radicalized online or in certain mosques.

Terrorist Attacks in Europe by Radicalized Individuals

In recent years, Europe has witnessed a series of terrorist attacks carried out by radicalized lone actors, often inspired by online jihadist propaganda. These "low-cost" attacks are known for their simplicity and unpredictability, targeting various European cities.

Examples include:

France

  • Nice (July 14, 2016): During Bastille Day celebrations, a man drove a truck into the crowd along the Promenade des Anglais, killing 86 and injuring over 400. Claimed by ISIS.
  • Samuel Paty’s murder (October 16, 2020): A history teacher was beheaded in Éragny by a radicalized Chechen youth after showing cartoons of Muhammad during a class on freedom of expression.
  • Arras School Attack (October 13, 2023): A former student stabbed a teacher to death and wounded others inside a high school.

Germany

  • Berlin (December 19, 2016): A truck was driven into a Christmas market in Breitscheidplatz, killing 12 and injuring 56. The attacker, a radicalized Tunisian, was later shot by Italian police.
  • Solingen Attack (August 23, 2024): A 26-year-old Syrian stabbed three people to death at a local festival. Claimed by ISIS.
  • Mannheim Attack (May 2024): A police officer was fatally stabbed during a routine check.

Belgium, Netherlands, Sweden
Dozens of attacks failed or were thwarted involving individuals with jihadist profiles.

  • Stockholm (April 7, 2017): A man drove a truck into pedestrians in a shopping district, killing five and injuring 15. The attacker was a radicalized Uzbek asylum seeker.
  • London (June 3, 2017): A van was used to run over pedestrians on London Bridge, followed by a stabbing spree at Borough Market. Eight killed and 48 injured.

Austria

  • Vienna (November 2, 2020): A gunman opened fire in various city center locations, killing four and injuring 23. Claimed by ISIS.

Vehicle Attacks: The New Strategy of Terror

One of the most devastating tactics adopted in recent years has been the deliberate use of vehicles to mow down civilians. These attacks, often carried out by radicalized lone individuals, have resulted in numerous casualties in various European cities.

All these incidents share a common thread: a violent rejection of Western culture and values, disguised as isolated acts but clearly inspired by a totalitarian vision of Islam.

Italy: A Rising Concern

In recent years, Italy has also witnessed several violent episodes perpetrated by individuals of Islamic origin, often radicalized, who used knives or blunt objects to attack civilians or law enforcement. Although many of these attacks have not been formally claimed by terrorist organizations, the methods and motivations suggest a jihadist or Islamist extremist influence.

Knife Attacks in Italy by Radicalized Individuals

  • Turin, April 2019
    A 26-year-old Senegalese man, Ndiaye Migui, attacked two police officers shouting “Allahu Akbar.” Previously targeted for deportation, he had also assaulted a security guard with an iron bar.
    He was arrested and charged with attempted murder.
  • Rome, April 2019
    A Muslim immigrant attacked passersby with a knife, invoking Allah and insulting the Christian faith.
    He was subdued and arrested by police.
  • Milan, October 2023
    Two Egyptian men were arrested for ISIS affiliation, days after another Egyptian man stabbed several people in Milan in retaliation for Israeli strikes on Gaza. These episodes raised concerns about the presence of radicalized cells in Italy.

While Italy has not suffered large-scale attacks like those in other European countries, these incidents highlight the presence of radicalized individuals ready to commit acts of violence. Italian authorities continue to closely monitor the situation through intelligence and international cooperation.

Evolution of the Threat

According to Europol, most terrorist attacks in the EU are carried out by lone extremists, often radicalized via online content. Though acting alone, they are usually influenced by well-structured propaganda networks.

Conclusion: What Are We Recognizing, and at What Cost?

The recognition of a “State of Palestine” at this moment—unconditionally, without reciprocity, and under pressure from an ideologically motivated and often hostile minority—represents a moral, diplomatic, and cultural surrender. This is not peace. It is strategic submission.

Europe, cradle of rights, is bowing not out of conviction, but out of fear. And in doing so, it does not bring peace any closer. Instead, it legitimizes terrorism, weakens Israel, and yields to those who do not even recognize Europe's own right to exist.

The Language Veil: When “Islamic” Becomes Unspeakable

Amid this long list of attacks, another troubling trend emerges: the systematic reluctance of many European media outlets to use the word “Islamic” to describe the ideological background of the attackers. News articles and wire reports prefer terms like “armed men,” “disturbed individuals,” “lone wolves,” or “at-risk profiles,” while the religious motivation—though confirmed by investigations—is often downplayed or entirely omitted.

This semantic censorship, presented as caution or multicultural sensitivity, paradoxically misinforms the public, conceals the ideological motive, and prevents a clear discussion of a very real threat. The term “Islamic” is avoided even when attackers shout “Allahu Akbar,” leave pledges of loyalty to ISIS, or explicitly state they acted “for the cause.”

In reality, this reluctance reflects the climate of fear hanging over Western narratives: fear of being labeled Islamophobic, fear of sparking social tensions, fear of stating an inconvenient truth. But a violent ideology cannot be countered by hiding it behind euphemisms. Quite the opposite: only by naming it can we begin to dismantle it.

Final Thoughts

Europe continues to face an evolving terrorist threat, with increasingly unpredictable attacks carried out by radicalized individuals. While authorities focus on preventing radicalization and monitoring online propaganda networks, these efforts alone are insufficient against a broader process of cultural Islamization.

Recognizing a "state" that tolerates or shelters actors like Hamas—under pressure from radicalized street movements—is not an act of peace, but one born from cultural fear and ideological complicity.

 

 

Il riconoscimento dello Stato che non esiste: la Palestina / The Recognition of a State That Doesn't Exist: Palestine

 


 
File:Flag of Italy.svg

Riconoscere uno Stato che non c’è: la scelta ideologica (e pericolosa) di Spagna, Irlanda e Norvegia

Spagna, Irlanda e Norvegia dichiarano di voler riconoscere lo Stato di Palestina. Un gesto presentato come “storico”, ma che sta già dividendo l’Europa e suscitando una reazione furiosa da parte di Israele, che ha richiamato immediatamente i suoi ambasciatori.

Premiano il terrorismo”, ha commentato senza giri di parole il governo israeliano. E il contesto non lascia spazio a equivoci: a poco più di sette mesi dal massacro del 7 ottobre, quando Hamas ha compiuto il peggior attacco contro civili ebrei dai tempi della Shoah, tre Paesi europei scelgono di riconoscere uno Stato che, nei fatti, è frammentato, instabile, governato in parte da un gruppo armato jihadista e non in grado – né disposto – a riconoscere Israele.

Riconoscimento o resa?

Sulla carta, oltre 140 Paesi nel mondo riconoscono lo Stato di Palestina, ma si tratta per lo più di atti simbolici, privi di conseguenze pratiche. Non esiste un confine definito, né una capitale condivisa, né un governo unitario. La Striscia di Gaza è controllata da Hamas, un’organizzazione che rifiuta il diritto di Israele a esistere, e che viene considerata terrorista da Unione Europea e Stati Uniti.

Il nodo politico di fondo è chiaro: si sta riconoscendo uno Stato che non esiste davvero, e che nella sua parte più attiva, violenta e organizzata, nega esplicitamente ogni possibilità di coesistenza con Israele. Paradossalmente, nessuno dei principali Paesi arabi ha mai pienamente riconosciuto lo Stato ebraico; neppure l’Autorità Nazionale Palestinese ha mai rilasciato un atto formale e inequivocabile in tal senso.

E allora perché farlo oggi, e proprio in Europa?

La verità dietro la retorica

La risposta, per molti osservatori, è meno idealista di quanto i governi di Madrid, Dublino e Oslo vogliano far credere. La loro è una mossa politica dettata più da pressioni interne che da un’autentica strategia di pace. In particolare, la crescente presenza e pressione delle comunità musulmane nei loro territori – spesso radicalizzate, mobilitate sui social e attive in piazza – ha creato un clima politico esplosivo, in cui la sinistra di governo teme la perdita del consenso o, peggio, la destabilizzazione sociale.

Insomma, si legittima uno “Stato” fantasma sotto la spinta di minacce interne, ma senza esigere nulla in cambio da chi, quel riconoscimento reciproco, lo nega da sempre.

È il cortocircuito di un’ideologia che si ammanta di pace ma cede di fatto al ricatto della violenza. Il gesto diplomatico assume così un sapore di resa, non di coraggio. Si accontenta la piazza islamista, ma si calpesta il principio base di ogni processo di pace: il riconoscimento reciproco.

L’Europa che si divide… e si indebolisce

Il rischio, ora, è duplice. Sul piano internazionale, si rompe l’unità europea, creando una frattura tra chi sostiene il negoziato bilaterale e chi cede all’unilateralismo. Sul piano interno, si crea un precedente pericoloso: dimostrare che le pressioni di piazza, anche se ideologicamente aggressive o antidemocratiche, possono piegare la politica estera di un Paese.

Intanto, Israele rimane isolato, accusato di genocidio proprio mentre piange le vittime del 7 ottobre e combatte un nemico che si nasconde dietro i civili. La narrazione si ribalta. La vittima diventa carnefice. E lo Stato ebraico si trova ancora una volta a dover giustificare il proprio diritto a esistere.

Conclusione

Spagna, Irlanda e Norvegia non hanno riconosciuto lo Stato di Palestina per spirito di giustizia o per amore della pace. Hanno ceduto alla paura, alle pressioni demografiche, all’ideologia e al calcolo elettorale. Hanno premiato chi non riconosce Israele e hanno ignorato che nessuna pace può nascere senza reciprocità.

In definitiva, questa non è una vittoria della diplomazia. È un colpo inferto al principio stesso di coesistenza. E rischia di aprire la strada a nuovi ricatti, nuove violenze e nuove illusioni.

 Flag of the United Kingdom

 Recognizing a State That Doesn’t Exist: The Ideological (and Dangerous) Choice of Spain, Ireland, and Norway

Spain, Ireland, and Norway have declared their intention to recognize the State of Palestine. A gesture presented as “historic,” but one that is already dividing Europe and provoking a furious reaction from Israel, which immediately recalled its ambassadors.

“They are rewarding terrorism,” said the Israeli government bluntly. And the context leaves little room for doubt: just over seven months after the October 7 massacre—when Hamas carried out the worst attack on Jewish civilians since the Holocaust—three European countries have chosen to recognize a state that, in reality, is fragmented, unstable, partly governed by a jihadist armed group, and neither capable nor willing to recognize Israel.
Recognition or Surrender?

On paper, over 140 countries worldwide recognize the State of Palestine, but these are mostly symbolic gestures with no practical consequences. There are no defined borders, no agreed capital, and no unified government. The Gaza Strip is controlled by Hamas, an organization that denies Israel’s right to exist and is considered a terrorist group by both the European Union and the United States.

The core political issue is clear: what is being recognized is a state that doesn’t truly exist and whose most active, violent, and organized faction explicitly denies any possibility of coexistence with Israel. Paradoxically, none of the major Arab countries has ever fully recognized the Jewish state; not even the Palestinian National Authority has issued a formal and unequivocal act to that effect.

So why do it now—and why in Europe?
The Truth Behind the Rhetoric

According to many observers, the answer is less idealistic than the governments of Madrid, Dublin, and Oslo would have us believe. Their move is a political calculation driven more by internal pressures than by a genuine peace strategy. In particular, the growing presence and pressure of Muslim communities in their territories—often radicalized, active on social media, and mobilized in the streets—has created a politically explosive climate. In this context, the governing left fears losing public support or, worse, facing social destabilization.

In short, a ghost “state” is being legitimized under internal threats, without demanding anything in return from those who have always denied the principle of mutual recognition.

It’s the short circuit of an ideology that wraps itself in the rhetoric of peace while ultimately yielding to the blackmail of violence. The diplomatic gesture ends up resembling surrender, not courage. It appeases the Islamist street, while trampling on the basic premise of any peace process: reciprocal recognition.
A Divided—and Weakened—Europe

The risk now is twofold. On the international level, Europe’s unity is broken, with a rift opening between those who support bilateral negotiations and those who give in to unilateralism. Domestically, it sets a dangerous precedent: showing that street pressure—even when ideologically extreme or anti-democratic—can bend a country’s foreign policy.

Meanwhile, Israel remains isolated, accused of genocide even as it mourns the victims of October 7 and fights an enemy that hides behind civilians. The narrative is flipped. The victim becomes the perpetrator. And the Jewish state once again finds itself having to justify its right to exist.
Conclusion

Spain, Ireland, and Norway did not recognize the State of Palestine out of a sense of justice or a love for peace. They gave in to fear, demographic pressure, ideology, and electoral calculation. They rewarded those who do not recognize Israel and ignored the fact that no peace can emerge without reciprocity.

In the end, this is not a victory for diplomacy. It is a blow to the very principle of coexistence. And it risks paving the way for new blackmail, new violence, and new illusions.

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