Riconoscere uno Stato che non c’è: la scelta ideologica (e pericolosa) di Spagna, Irlanda e Norvegia
Spagna, Irlanda e Norvegia dichiarano di voler riconoscere lo Stato di Palestina. Un gesto presentato come “storico”, ma che sta già dividendo l’Europa e suscitando una reazione furiosa da parte di Israele, che ha richiamato immediatamente i suoi ambasciatori.
“Premiano il terrorismo”, ha commentato senza giri di parole il governo israeliano. E il contesto non lascia spazio a equivoci: a poco più di sette mesi dal massacro del 7 ottobre, quando Hamas ha compiuto il peggior attacco contro civili ebrei dai tempi della Shoah, tre Paesi europei scelgono di riconoscere uno Stato che, nei fatti, è frammentato, instabile, governato in parte da un gruppo armato jihadista e non in grado – né disposto – a riconoscere Israele.
Riconoscimento o resa?
Sulla carta, oltre 140 Paesi nel mondo riconoscono lo Stato di Palestina, ma si tratta per lo più di atti simbolici, privi di conseguenze pratiche. Non esiste un confine definito, né una capitale condivisa, né un governo unitario. La Striscia di Gaza è controllata da Hamas, un’organizzazione che rifiuta il diritto di Israele a esistere, e che viene considerata terrorista da Unione Europea e Stati Uniti.
Il nodo politico di fondo è chiaro: si sta riconoscendo uno Stato che non esiste davvero, e che nella sua parte più attiva, violenta e organizzata, nega esplicitamente ogni possibilità di coesistenza con Israele. Paradossalmente, nessuno dei principali Paesi arabi ha mai pienamente riconosciuto lo Stato ebraico; neppure l’Autorità Nazionale Palestinese ha mai rilasciato un atto formale e inequivocabile in tal senso.
E allora perché farlo oggi, e proprio in Europa?
La verità dietro la retorica
La risposta, per molti osservatori, è meno idealista di quanto i governi di Madrid, Dublino e Oslo vogliano far credere. La loro è una mossa politica dettata più da pressioni interne che da un’autentica strategia di pace. In particolare, la crescente presenza e pressione delle comunità musulmane nei loro territori – spesso radicalizzate, mobilitate sui social e attive in piazza – ha creato un clima politico esplosivo, in cui la sinistra di governo teme la perdita del consenso o, peggio, la destabilizzazione sociale.
Insomma, si legittima uno “Stato” fantasma sotto la spinta di minacce interne, ma senza esigere nulla in cambio da chi, quel riconoscimento reciproco, lo nega da sempre.
È il cortocircuito di un’ideologia che si ammanta di pace ma cede di fatto al ricatto della violenza. Il gesto diplomatico assume così un sapore di resa, non di coraggio. Si accontenta la piazza islamista, ma si calpesta il principio base di ogni processo di pace: il riconoscimento reciproco.
L’Europa che si divide… e si indebolisce
Il rischio, ora, è duplice. Sul piano internazionale, si rompe l’unità europea, creando una frattura tra chi sostiene il negoziato bilaterale e chi cede all’unilateralismo. Sul piano interno, si crea un precedente pericoloso: dimostrare che le pressioni di piazza, anche se ideologicamente aggressive o antidemocratiche, possono piegare la politica estera di un Paese.
Intanto, Israele rimane isolato, accusato di genocidio proprio mentre piange le vittime del 7 ottobre e combatte un nemico che si nasconde dietro i civili. La narrazione si ribalta. La vittima diventa carnefice. E lo Stato ebraico si trova ancora una volta a dover giustificare il proprio diritto a esistere.
Conclusione
Spagna, Irlanda e Norvegia non hanno riconosciuto lo Stato di Palestina per spirito di giustizia o per amore della pace. Hanno ceduto alla paura, alle pressioni demografiche, all’ideologia e al calcolo elettorale. Hanno premiato chi non riconosce Israele e hanno ignorato che nessuna pace può nascere senza reciprocità.
In definitiva, questa non è una vittoria della diplomazia. È un colpo inferto al principio stesso di coesistenza. E rischia di aprire la strada a nuovi ricatti, nuove violenze e nuove illusioni.
Recognizing a State That Doesn’t Exist: The Ideological (and Dangerous) Choice of Spain, Ireland, and Norway
Spain, Ireland, and Norway have declared their intention to recognize the State of Palestine. A gesture presented as “historic,” but one that is already dividing Europe and provoking a furious reaction from Israel, which immediately recalled its ambassadors.
“They are rewarding terrorism,” said the Israeli government bluntly. And the context leaves little room for doubt: just over seven months after the October 7 massacre—when Hamas carried out the worst attack on Jewish civilians since the Holocaust—three European countries have chosen to recognize a state that, in reality, is fragmented, unstable, partly governed by a jihadist armed group, and neither capable nor willing to recognize Israel.
Recognition or Surrender?
On paper, over 140 countries worldwide recognize the State of Palestine, but these are mostly symbolic gestures with no practical consequences. There are no defined borders, no agreed capital, and no unified government. The Gaza Strip is controlled by Hamas, an organization that denies Israel’s right to exist and is considered a terrorist group by both the European Union and the United States.
The core political issue is clear: what is being recognized is a state that doesn’t truly exist and whose most active, violent, and organized faction explicitly denies any possibility of coexistence with Israel. Paradoxically, none of the major Arab countries has ever fully recognized the Jewish state; not even the Palestinian National Authority has issued a formal and unequivocal act to that effect.
So why do it now—and why in Europe?
The Truth Behind the Rhetoric
According to many observers, the answer is less idealistic than the governments of Madrid, Dublin, and Oslo would have us believe. Their move is a political calculation driven more by internal pressures than by a genuine peace strategy. In particular, the growing presence and pressure of Muslim communities in their territories—often radicalized, active on social media, and mobilized in the streets—has created a politically explosive climate. In this context, the governing left fears losing public support or, worse, facing social destabilization.
In short, a ghost “state” is being legitimized under internal threats, without demanding anything in return from those who have always denied the principle of mutual recognition.
It’s the short circuit of an ideology that wraps itself in the rhetoric of peace while ultimately yielding to the blackmail of violence. The diplomatic gesture ends up resembling surrender, not courage. It appeases the Islamist street, while trampling on the basic premise of any peace process: reciprocal recognition.
A Divided—and Weakened—Europe
The risk now is twofold. On the international level, Europe’s unity is broken, with a rift opening between those who support bilateral negotiations and those who give in to unilateralism. Domestically, it sets a dangerous precedent: showing that street pressure—even when ideologically extreme or anti-democratic—can bend a country’s foreign policy.
Meanwhile, Israel remains isolated, accused of genocide even as it mourns the victims of October 7 and fights an enemy that hides behind civilians. The narrative is flipped. The victim becomes the perpetrator. And the Jewish state once again finds itself having to justify its right to exist.
Conclusion
Spain, Ireland, and Norway did not recognize the State of Palestine out of a sense of justice or a love for peace. They gave in to fear, demographic pressure, ideology, and electoral calculation. They rewarded those who do not recognize Israel and ignored the fact that no peace can emerge without reciprocity.
In the end, this is not a victory for diplomacy. It is a blow to the very principle of coexistence. And it risks paving the way for new blackmail, new violence, and new illusions.
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