venerdì 16 maggio 2025

Emor

 

Emòr: Santità, servizio e trasformazione giorno per giorno

La parashà di Emòr (Levitico 21–24) si apre con un richiamo profondo alla santità del sacerdozio. I kohanìm, discendenti di Aharòn, ricevono una serie di mitzvòt che regolano la loro vita, il loro comportamento e la loro partecipazione al culto. Anche dopo la distruzione del Bet Ha-Mikdàsh, queste norme non sono scomparse: il loro spirito e molte delle loro applicazioni rimangono vive.

Come spiega, essere kohen non è solo una questione di genealogia: comporta responsabilità spirituali permanenti. La mitzvà di “ve-kidashtò” — “e lo santificherai” — è ancora in vigore oggi. I kohanìm vanno onorati pubblicamente: chiamati per primi alla lettura della Torà, coinvolti nelle benedizioni (birkàt kohanìm), e rispettati nel loro ruolo simbolico di servitori del Divino. È un onore che appartiene a tutta la comunità, come un modo per elevare chi è incaricato di servire Dio anche a nome nostro.

Una delle mitzvòt più simboliche è il divieto per i kohanìm di contaminarsi con i morti. Questo, spiega il Talmud, è un confine tra la vita e la morte, tra la presenza divina e il mondo terreno. È il tentativo di mantenere i kohanìm “vicini al Santuario”, anche in senso esistenziale.

Il testo del Levitico prosegue specificando che i kohanìm devono osservare regole di purezza, di moralità matrimoniale e di integrità fisica. Anche chi ha una malformazione è escluso dal servizio attivo, ma non dal diritto di partecipare ai pasti sacri. È un modo — tutt'altro che discriminante — di proteggere la simbologia del culto. Come ci insegna il Talmud (Megillah 24b), la dignità della persona è intatta, anche se il ruolo pubblico cambia.

Il tempo sacro e la terapia dell’Òmer

Il capitolo 23 del Levitico introduce le feste di Dio — non solo celebrazioni, ma vere e proprie “convocazioni sante”, tappe nel cammino dell’identità ebraica. Una delle più profonde è quella del conteggio dell’Òmer, il periodo tra Pesach e Shavuòt.

Qui entra l’insegnamento del documento Emor 5785, che illumina il senso del conteggio quotidiano. Il Talmud (Menachot 66a) discute se il conteggio sia biblico anche oggi. Secondo Rambam, lo è. Secondo Tosafot, no. Rabbenu Yerucham, invece, propone una via intermedia: il conteggio dei giorni è biblico, quello delle settimane solo rabbinico.

Questa distinzione diventa, nella visione chassidica, un’allegoria potente del percorso interiore umano. Le settimane rappresentano le emozioni profonde da trasformare (amore, disciplina, compassione…), mentre i giorni rappresentano la nostra capacità di scegliere come comportarci oggi, anche se dentro sentiamo ancora confusione, rabbia o paura.

È il principio spirituale della gestione del giorno: anche se non riesco a trasformare tutto il mio carattere, posso non urlare oggi, non cedere a un pensiero autodistruttivo oggi, offrire amore oggi. È qui che la mitzvà dell’Òmer diventa uno strumento di guarigione, come raccontato nella storia di John Nash: anche in presenza di deliri e sofferenze profonde, possiamo restare al timone. Anche se non riesco a contare “le settimane” (cioè a guarire tutto), posso contare “i giorni”, cioè scegliere un piccolo passo di luce.

Giustizia, parola e responsabilità

Il Levitico si conclude con un caso drammatico: un uomo bestemmia e viene lapidato. Il testo non è da leggere come una condanna fredda, ma come un segnale sull’importanza della parola. Il Talmud chiarisce che la parola crea mondi — benedice o distrugge. E i Maestri ci dicono che le punizioni erano precedute da ammonizioni, testimoni e tentativi di ravvedimento. Anche qui, il principio è educativo, non vendicativo.

Segue la legge del taglione (“occhio per occhio”), ma la tradizione rabbinica spiega chiaramente che si tratta di compensazione, non di mutilazione. L’obiettivo è sempre il Tikun, la riparazione. E questo vale anche per le emozioni: ciò che non puoi cambiare in profondità, puoi almeno raddrizzarlo nell’azione.

La santità nel quotidiano

La parashà di Emòr, vista attraverso la lente della halakhà, del Talmud e del pensiero chassidico, ci consegna un messaggio profondissimo:

  • Santificare i kohanìm oggi significa onorare chi si dedica al servizio divino e vivere noi stessi con dignità, anche senza Tempio.
  • Contare i giorni è più di un rituale: è un metodo di crescita personale, giorno dopo giorno, emozione dopo emozione.
  • Anche se non possiamo cambiare tutto, possiamo scegliere il bene oggi. E questo, secondo la Torah, basta per iniziare a trasformare il mondo.

 

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